La discesa agli inferi di un irregolare: il romanzo di una vita sotto copertura, quella di Gian Ruggero Manzoni
«Col tempo sarebbe giunto a pensare di poter fare tutto ciò che voleva senza doverne rispondere a nessuno, e avrebbe finito col prenderci gusto.»
Due vite. Più nomi di quanti un uomo possa ricordare. Un bagaglio pieno di segreti inconfessabili. Per oltre vent’anni, la storia di Gian Ruggero Manzoni – pronipote di Alessandro e cugino dell’irriverente Piero – è stata una messinscena dai toni tragici, un buco nero da cui nessuno sarebbe potuto uscire vivo. Figuriamoci raccontarla.
Fino all’incontro con Pier Paolo Giannubilo, un’onda d’urto da cui è nato questo romanzo, il ritratto impietoso e intimo di un uomo qualunque con un cognome fatale che ha saputo fare di sé, del bambino Palla di grasso bullizzato dai coetanei a Lugo di Romagna, un’inspiegabile leggenda. Dalla militanza nella Bologna del ’77, segnata dall’amicizia con Tondelli e Pazienza e dal clima libertino del Dams, al reclutamento nei Servizi, dalle missioni under cover in Libano a quelle nei Balcani in fiamme, passando per ingaggi da killer, prodezze erotiche e sogni d’artista affascinato dalle avanguardie degli anni Ottanta: Ruggero firma ogni suo gesto con l’inchiostro dell’eccesso, dannato e insieme eroe, fuori da ogni schema e per questo irresistibile, sempre disposto a tutto pur di restare umano.
Con struggente lucidità Giannubilo ci racconta ciò che dell’altro gli fa più paura come se si stesse guardando allo specchio, mettendo a nudo le contraddizioni che rendono unica una vita. Nelle sue pagine la grande Storia abbraccia la vicenda avventurosa di un irregolare fino a rendere impossibile riconoscere dove finisca l’una e inizi l’altra. Ed è questo il punto esatto dove si fa letteratura.
In uscita oggi per Rizzoli, pubblichiamo un breve estratto.
#
La Košava schiaffeggia senza tregua la BMW. Ogni scossone ti inchioda alla tua inadeguatezza da residuato. Cosa ci fa un uomo vulnerabile come te, un riservista obeso e martoriato dal morbo di Crohn, in una missione così delicata, che esigerebbe la prestanza fisica e la fermezza d’animo di uno con la metà dei tuoi anni? Ora che sei padre, e che tua madre invecchia, non funziona più come in passato: un tuffo nell’altra dimensione e il rapido ritorno nella finzione della vita reale, pronto a ricominciare la commedia. Se si vengono a sapere certe cose sul tuo conto ora, be’, è finita. È un kaputt per te, per tua madre e – ciò che più ti avvelena d’ansia – per tua figlia.
Fammi restare vivo, Signore. Cancella le mie colpe, mia difesa e mio scampo. Fa’ che riesca a tornare a casa dalla mia bambina.
Ventitré anni dopo il tuo errore, sei ancora loro prigioniero. Ti hanno strappato i galloni di caposquadra e ignori l’identità dell’obiettivo. Ignori cosa stia succedendo a qualche centinaio di metri da te, dove il ricercato numero 1 dalle intelligence occidentali è appena caduto in un agguato – le mosse di un’operazione studiata nei dettagli dall’Alleanza Atlantica che, quando e se sarà rivelata, cambierà un paio di righe nei manuali di Storia. Ma soprattutto ignori cosa accadrà entro la prossima manciata di minuti, se te la caverai anche in questa circostanza oppure se è il tuo ultimo giorno sulla Terra.
Fuori il sole è tramontato. L’accensione dei lampioni ha imbevuto la città di una luce giallastro-rosata e la neve sui tetti si è tinta di bluette. È un colpo d’occhio fiabesco, la reinterpretazione di uno squarcio urbano contemporaneo con la brillante tavolozza di Renoir. Tu però continui a cadere in picchiata dentro te stesso, sempre più in debito di ossigeno, e il volto della piccola Ersilia è ancora lì davanti ai tuoi occhi, l’inquadratura si sta allargando dal suo primissimo piano a figura intera: indossa il vestitino che le hai regalato per il suo quattordicesimo compleanno…
Sei stato un buon risolutore un tempo, e il miglior stalker del tuo corso. Ti muovevi in territorio sconosciuto come fra i gelsi e i viburni del tuo giardino. Ora al volante dell’auto assegnata alla squadra hai sbagliato ben due incroci, perdendoti altrettante volte prima di riuscire a raggiungere la meta fra le imprecazioni dei colleghi.
Sei stato un’altra persona un tempo, quando flirtare col Diavolo ti faceva sentire al sicuro e inscalfibile; prima che il velo delle apparenze cadesse, azionavi con grinta e sicurezza. Credevi fosse finita. E invece, dopo cinque lunghi anni di sonno, ti hanno richiamato nei ranghi per un’emergenza e rispedito proprio lì, nel posto peggiore, ancora una volta la ex Jugoslavia. La paura ti annebbia la vista e sei nella scomoda posizione di ruota difettosa del carro. C’è un mucchio di gente alla festa di compleanno della Ersi. Tu te ne stai seduto in disparte a osservare sgomento, con le mani intrecciate sul ventre, ciò che la sbarbina di cui sei innamorato perso sta facendo con quell’odioso sbruffone che chiamano “il Lucky”. Passa del tempo interminabile, guardarli è un’agonia. Poi finalmente Ersilia solleva la testa, gira gli occhi intorno, si accorge di te che la fissi e ti rivolge il gesto che cambia il corso della tua vita.
Fammi restare vivo, Signore, fa’ che riesca a rientrare. Per mia madre. Per Ester. Per Noemi.
Aprono le portiere a viva forza, una ventata sferzante di Košava attraversa la vettura e la inclina sul fianco sinistro esercitando pressione a getto sul lato guidatore. Ti desti dalla tua torturante rêverie e li vedi: lo sguardo stravolto dei tuoi compagni di missione, il loro cardiopalma alle stelle, le loro pistole.
«Vai vai vai vai vai! Presto!»
«E vai, cazzo, metti in moto! Sbrigati!»
«Rapido, maledizione! Cristo, sveglia! Via da qui! Via!»
Due vite. Più nomi di quanti un uomo possa ricordare. Un bagaglio pieno di segreti inconfessabili. Per oltre vent’anni, la storia di Gian Ruggero Manzoni – pronipote di Alessandro e cugino dell’irriverente Piero – è stata una messinscena dai toni tragici, un buco nero da cui nessuno sarebbe potuto uscire vivo. Figuriamoci raccontarla.
Fino all’incontro con Pier Paolo Giannubilo, un’onda d’urto da cui è nato questo romanzo, il ritratto impietoso e intimo di un uomo qualunque con un cognome fatale che ha saputo fare di sé, del bambino Palla di grasso bullizzato dai coetanei a Lugo di Romagna, un’inspiegabile leggenda. Dalla militanza nella Bologna del ’77, segnata dall’amicizia con Tondelli e Pazienza e dal clima libertino del Dams, al reclutamento nei Servizi, dalle missioni under cover in Libano a quelle nei Balcani in fiamme, passando per ingaggi da killer, prodezze erotiche e sogni d’artista affascinato dalle avanguardie degli anni Ottanta: Ruggero firma ogni suo gesto con l’inchiostro dell’eccesso, dannato e insieme eroe, fuori da ogni schema e per questo irresistibile, sempre disposto a tutto pur di restare umano.
Con struggente lucidità Giannubilo ci racconta ciò che dell’altro gli fa più paura come se si stesse guardando allo specchio, mettendo a nudo le contraddizioni che rendono unica una vita. Nelle sue pagine la grande Storia abbraccia la vicenda avventurosa di un irregolare fino a rendere impossibile riconoscere dove finisca l’una e inizi l’altra. Ed è questo il punto esatto dove si fa letteratura.
In uscita oggi per Rizzoli, pubblichiamo un breve estratto.
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La Košava schiaffeggia senza tregua la BMW. Ogni scossone ti inchioda alla tua inadeguatezza da residuato. Cosa ci fa un uomo vulnerabile come te, un riservista obeso e martoriato dal morbo di Crohn, in una missione così delicata, che esigerebbe la prestanza fisica e la fermezza d’animo di uno con la metà dei tuoi anni? Ora che sei padre, e che tua madre invecchia, non funziona più come in passato: un tuffo nell’altra dimensione e il rapido ritorno nella finzione della vita reale, pronto a ricominciare la commedia. Se si vengono a sapere certe cose sul tuo conto ora, be’, è finita. È un kaputt per te, per tua madre e – ciò che più ti avvelena d’ansia – per tua figlia.
Fammi restare vivo, Signore. Cancella le mie colpe, mia difesa e mio scampo. Fa’ che riesca a tornare a casa dalla mia bambina.
Ventitré anni dopo il tuo errore, sei ancora loro prigioniero. Ti hanno strappato i galloni di caposquadra e ignori l’identità dell’obiettivo. Ignori cosa stia succedendo a qualche centinaio di metri da te, dove il ricercato numero 1 dalle intelligence occidentali è appena caduto in un agguato – le mosse di un’operazione studiata nei dettagli dall’Alleanza Atlantica che, quando e se sarà rivelata, cambierà un paio di righe nei manuali di Storia. Ma soprattutto ignori cosa accadrà entro la prossima manciata di minuti, se te la caverai anche in questa circostanza oppure se è il tuo ultimo giorno sulla Terra.
Fuori il sole è tramontato. L’accensione dei lampioni ha imbevuto la città di una luce giallastro-rosata e la neve sui tetti si è tinta di bluette. È un colpo d’occhio fiabesco, la reinterpretazione di uno squarcio urbano contemporaneo con la brillante tavolozza di Renoir. Tu però continui a cadere in picchiata dentro te stesso, sempre più in debito di ossigeno, e il volto della piccola Ersilia è ancora lì davanti ai tuoi occhi, l’inquadratura si sta allargando dal suo primissimo piano a figura intera: indossa il vestitino che le hai regalato per il suo quattordicesimo compleanno…
Sei stato un buon risolutore un tempo, e il miglior stalker del tuo corso. Ti muovevi in territorio sconosciuto come fra i gelsi e i viburni del tuo giardino. Ora al volante dell’auto assegnata alla squadra hai sbagliato ben due incroci, perdendoti altrettante volte prima di riuscire a raggiungere la meta fra le imprecazioni dei colleghi.
Sei stato un’altra persona un tempo, quando flirtare col Diavolo ti faceva sentire al sicuro e inscalfibile; prima che il velo delle apparenze cadesse, azionavi con grinta e sicurezza. Credevi fosse finita. E invece, dopo cinque lunghi anni di sonno, ti hanno richiamato nei ranghi per un’emergenza e rispedito proprio lì, nel posto peggiore, ancora una volta la ex Jugoslavia. La paura ti annebbia la vista e sei nella scomoda posizione di ruota difettosa del carro. C’è un mucchio di gente alla festa di compleanno della Ersi. Tu te ne stai seduto in disparte a osservare sgomento, con le mani intrecciate sul ventre, ciò che la sbarbina di cui sei innamorato perso sta facendo con quell’odioso sbruffone che chiamano “il Lucky”. Passa del tempo interminabile, guardarli è un’agonia. Poi finalmente Ersilia solleva la testa, gira gli occhi intorno, si accorge di te che la fissi e ti rivolge il gesto che cambia il corso della tua vita.
Fammi restare vivo, Signore, fa’ che riesca a rientrare. Per mia madre. Per Ester. Per Noemi.
Aprono le portiere a viva forza, una ventata sferzante di Košava attraversa la vettura e la inclina sul fianco sinistro esercitando pressione a getto sul lato guidatore. Ti desti dalla tua torturante rêverie e li vedi: lo sguardo stravolto dei tuoi compagni di missione, il loro cardiopalma alle stelle, le loro pistole.
«Vai vai vai vai vai! Presto!»
«E vai, cazzo, metti in moto! Sbrigati!»
«Rapido, maledizione! Cristo, sveglia! Via da qui! Via!»
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Pubblicato in accordo con MalaTesta Literary Agency Milano