È ambientato nelle isole Tremiti questo Incendio sul mare, nuovo romanzo di Giannubilo in uscita oggi da Rizzoli: un racconto in cui suspense, saga familiare, fantasmi che ritornano e capricci del destino si intrecciano in maniera avvincente sorretti da una solida narrazione.
L’arcipelago pugliese, infatti, fa da sfondo con la sua bellezza alle storie dei personaggi costruiti da Giannubilo e alla Storia, quella con la S maiuscola, tra miti greci e le vite dei monaci medievali che ne abitarono le isole, dediti al contrabbando e al libertinaggio, tra gli esiliati e i confinati del periodo borbonico e i deportati dalle colonie italiane dell’Africa settentrionale, e ancora tra le esistenze degli omosessuali confinati dal fascismo fino all’arrivo di Lucio Dalla, che fu profondamente legato alle Tremiti. Tutti questi elementi, e molto altro ancora, fanno di Incendio sul mare un romanzo estremamente ricco e articolato, che merita un’attenta lettura.
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La solidità è una condizione transitoria, un colossale inganno.
L’esito finale sembra implicito nelle premesse, come il collasso di un castello di carte o un pupazzo di neve. D’un tratto la realtà si palesa sottosopra in una stravolta prospettiva picassiana. Uno sparpagliamento di inerti tessere plastificate sul tavolino. Una carota annerita che galleggia in una pozza d’acqua sporca insieme a un cappello infeltrito, una sciarpa a righe e qualche bottone colorato. Le nostre certezze più granitiche ridotte a un cumulo di polvere fumante.
Le trame delle vite reali non sono forse tutte trame di disillusione? Il Grande Smacco alla fine arriverà, perché arriva per chiunque, e tutto ciò che hai costruito sarà messo a rischio. Ne hai piena consapevolezza, lo hai già visto succedere così tante volte a quanti ti stanno intorno, eppure, quando viene il tuo turno, gli eventi ti trovano comunque impreparato. Rimani incredulo come un gatto abbagliato dai fari, che mantiene gli occhi spalancati fino all’impatto, non si muove di un millimetro, pietrificato da ciò che sta per compiersi.
La vista dalla parete vetrata che dà sul mio terrazzo abbraccia l’intero arcipelago delle Tremiti, note anche come Isole Diomedee.
Il telaio di castagno della portafinestra incornicia l’isola madre di San Nicola sullo sfondo, con l’abbazia che svetta sul porticciolo. L’infisso laterale è occupato da Caprara, frastagliata di grotte e baie, e in basso dalle marne rossastre dello scoglio del Cretaccio. Se l’Adriatico non è troppo assolato, al cannocchiale si intravede in lontananza anche lo sperduto isolotto di Pianosa e le isole croate.
Lo scenario, col suo paesaggio naturale intatto e la monumentalità delle antiche costruzioni, è di una bellezza solenne che ha scavalcato i secoli come imprigionata in una colata d’ambra, e anche d’inverno ha la vividezza di tinte di una decorazione ad affresco.
Ho comprato questa residenza nell’isola di San Domino in un accesso di esaltazione, convinto di fare il più oculato degli investimenti. La dimensione stanziale che mi avrebbe restituito a me stesso dopo vent’anni vissuti di rincorsa peregrinando senza posa. Una casa con un panorama da sogno nel mio paradiso perduto e ritrovato. Sembrava un passo così benaugurante per me e Jasmin, una salda promessa di felicità. Tutto potevo presagire, eccetto che il nostro idillio con Tremiti cominciasse a incrinarsi proprio nei giorni in cui prendevamo possesso di questo posto così incantevole, e che di lì a breve la situazione precipitasse.
Non è una proprietà come le altre. Anni fa apparteneva a una personalità illustre. Un cantautore di culto che scelse queste isole come suo buen retiro e ne è stato il più generoso benefattore, diventandone cittadino onorario e, dopo la morte, una specie di nume tutelare.
I fan di Lucio Dalla, se si trovano da queste parti, fanno foto e video che caricano in Rete in barba alle più elementari regole della privacy. La loro indiscrezione non mi ha mai creato incomodo. Non di rado, anzi, ne ho invitato qualcuno a entrare per un caffè. Gli ho mostrato la sala registrazione e il 45 giri originale incorniciato di 4 marzo 1943, composta a Tremiti come tante altre sue hit. Qualche oggetto vintage accatastato nella rimessa. La caletta sottostante che ha ispirato Luna Matana.
Vederli accomiatarsi pieni di riconoscenza per il dono imprevisto mi ha lenito il peso della solitudine, da quando Jasmin non c’è più.
Ma è un genere di cortesie che oramai non sono più nelle condizioni di poter dispensare. Stamattina, uscendo, ho perso le staffe e scacciato per la prima volta in malo modo un ficcanaso che armeggiava con un drone vicino alla mia recinzione, minacciandolo di chiamare i carabinieri.
Non ho avuto altri tracolli di nervi, finora. La mia lucidità è annebbiata, fatico ad accettare le verità con cui mi trovo inaspettatamente a dover fare i conti, ma di ciò che ora so non deve trasparire nulla all’esterno. Ne va dell’avvenire dell’arcipelago – della pace dei suoi abitanti e del buon esito di quello che sono venuto a fare quaggiù.
Seguo la scia di un motoscafo rimuginando di continuo se non sarebbe stato meglio restare del tutto all’oscuro delle rivelazioni di queste ultime ore. Indugio in pensieri superstiziosi, tipicamente tremitesi, che nemmeno da bambino mi sono mai appartenuti: questa villa porta male, ci sta funestando da quando ne abbiamo varcato la soglia, come se la nostra intrusione l’avesse violata: doveva restare tutto come l’avevamo trovato, l’accozzaglia di credenze e stipi rétro, il pavimento originale di terracotta scheggiata… Poi rido amaro di me, e mi volgo di nuovo a contemplare l’opalescenza del mare.