Se c’è un lettore che non capisco è il lettore di Pier Vittorio Tondelli.
In realtà, mi correggo, non esiste un lettore di Tondelli: esistono i fan.
Come accade anche per Alberto Arbasino: di Arbasino, però, a occhi chiusi (nel senso che sono contento di non averlo mai letto) riconosco la genialità tipica da “Fratelli d’Italia”. Tondelli, invece, proprio non l’ho mai capito.
Ne scrivevo già anni fa quando Bompiani decise di inserirlo nella collana dei suoi classici insieme a Albert Camus e Thomas Eliott. Ne scrivo ora che PVT, anche le iniziali sembrano suggerire un rapporto del tutto PRIVATO con i suoi lettori, sta per entrare nel fu Empireo dei Meridiani Mondadori e ci sta per entrare addirittura in due volumi. Sarà compagno di collana di tanti grandi, ma lo vedo meglio, in libreria, come compagno di merende, anzi merendine, di Andrea Camilleri, altro defenestrato dalla letteratura Pai (quella degli snack, delle patatine, dei libri da spiaggia unti di olio solare) e lanciato nell’Empireo della nostra Pleiade ambientalista tutta plastica e luccichii dorati.
Dunque, cosa ha scritto PVT? A me non risulta che abbia scritto niente.
Ho letto i suoi romanzi, non un grande sforzo, in realtà sono solo quattro quelli in cui si possa rintracciare un vero e proprio impianto simil narrativo, ma ancora oggi resto della convinzione che non abbia scritto niente. Mi sfugge qualcosa? Forse Un week end postmoderno o Rimini sono letteratura? Sono un’ottima fotografia degli anni ’80, possono avere qualche valenza sociologica ma alla fine è la stessa che possiamo trovare in qualsiasi articolo scritto su qualsiasi settimanale patinato di quegli anni. Leggere il panegirico musicale di Ivana Spagna o i risvolti, è il caso di dirlo, delle sfilate Pitti uomo non mi suscita grandi emozioni. Diciamo che su Dagospia di Roberto D’Agostino si trovano storie più interessanti, romanzi di più alto profilo letterario, storie più avvincenti.
Recensire o stroncare un libro di Tondelli è impossibile: è come fare buchi nella sabbia, scrivere sull’acqua, disegnare con la sigaretta cerchi in cielo. Eppure PVT è da molti considerato un genio. Non incompreso, ma compreso e compresso nel prezzo. In questo sì, un genio del postmoderno. Talmente geniale che in molti, ancora, non solo lo considerano un grande scrittore ma addirittura un talent scout, uno scopritore di talenti della nostra narrativa.
Con tutto il rispetto, non mi sembra che anche da questo punto di vista PVT ci abbia lasciato molto. Certo, Silvia Ballestra o Giuseppe Culicchia sono da rispettare, saranno delle bravissime persone, ma cosa c’entrano con la letteratura? Personalmente credo che PVT più che un talent scout sia stato un talent discount colpevole non solo di aver scritto libri per piccoli fan ma di aver tracciato la via a tutta la melassa narrativa che ancora oggi subiamo.
Gian Paolo Serino