Quando, tempo fa, mi preannunciò l’uscita del suo nuovo romanzo, immaginai che si trattasse del quarto capitolo della fortuna serie di Viola Guarino, l’anatomopatologa che indaga sui delitti lucani col pm napoletano Loris Ferrara, tra vecchi borghi, calanchi e strade di campagna. “No no, è un’altra cosa” mi disse. A quest’altra cosa Piera ci stava lavorando da diversi anni, senza fretta forse, ma con l’idea fissa del cambiamento. Chi la conosce sa che non sta mai ferma: studia, osserva, rimugina; Viola che sfreccia con la Ducati sulla statale ionica chi altra è se non Piera l’inquieta, la scrittrice alla ricerca di nuove forme, strutture, ingegni, che la facciano deviare dal genere per collocarsi altrove? Oltre il giallo c’è il giallo, diceva qualcuno, ma oltre Viola c’è una Piera diversa. Ovunque andrò, dal 21 giugno in libreria con Solferino, è uno snodo. Snodo è la parola che ha usato lei non io, ed è la parola giusta per definire il romanzo della svolta e del cambio di passo. Piera si apre a nuovi spazi e lo fa rimanendo fedele a se stessa, alle proprie radici, quelle non si recidono mai, alle vocazioni: nel libro una dose di noir c’è ma scivola sui bordi senza intaccare il corpaccio del plot che per due terzi almeno è incentrato su una poderosa saga familiare. Le voci di dentro di Piera diventano la voce di Tania C. con quel punto che interrompe Carlomagno, per schermire il pudore di chi non osa spingersi oltre l’intuibile. Tania, che è l’erede della R&C Pelli, una grossa azienda con stabilimenti a Napoli e in Cina e con sessanta milioni di fatturato, sta aspettando la sentenza che potrebbe condannarla per l’omicidio del marito. Secondo l’accusa, l’uomo sarebbe stato spinto dall’ottantunesimo piano di un grattacielo, a Pechino, nel bel mezzo di un ricevimento di gala. Si direbbe un delitto passionale: Raniero Monforti, questo era il suo nome, nella megalopoli asiatica curava gli affari di famiglia ma nel frattempo se la spassava con una nota modella e attrice del posto. L’attesa è snervante, provate voi a mettervi nei panni di Tania col timore che il telefono squilli da un momento all’altro e vi comunichi l’infausto verdetto. Il tempo sospeso Tania decide di riempirlo raccontando la storia della Rinaldi & C. partendo dalle origini lucane di quel piccolo impero familiare.
Mettetevi comodi, dice, perché questa storia inizia nei primi del Novecento e del Novecento non risparmia nulla: mescolando vicende private a fatti realmente accaduti, Tania ci guida attraverso due guerre mondiali, il fascismo, il boom economico, il Pci di Berlinguer, fino ai gol di Diego Maradona e le canzoni di Pino Daniele, riuscendo, là dove altri hanno fallito nonostante i grandi numeri (I Leoni di Sicilia), a confezionare quel Grande Romanzo Italiano arenatosi dopo la Ferrante di Lila e Lenù. Il tentativo di Piera C., non privo di qualche sbandamento nelle parti più oleografiche, è efficace e armonioso nei tre scenari sui quali la storia si sviluppa attraverso i suoi continui andirivieni temporali: la Lucania, Napoli, Pechino.
Il romanzo, scritto in una prima persona che fa coincidere autrice e protagonista, e con parti metanarrarive che aiutano il lettore ad addentrarsi con più agio nei luoghi e nei drammi raccontati, è così denso di microstorie che appare più lungo delle sue duecentottantacinque pagine. Nei tre contesti della narrazione la voce di Tania cambia toni e registri, riproducendo uno strano intarsio di sonorità e di linguaggi, dal classico/manzoniano delle parti più rurali del sud al pop/manageriale di quelle asiatiche. Raniero Monforti si è suicidato o è stato ucciso dalla sua ex moglie? Per spiegare le ragioni del misterioso epilogo occorre fare un lungo balzo nel tempo e fermarsi a Castrappeso, un paesino tagliato in due da una frana, dove vivono i Rinaldi, piccoli industriali, i Di Salvia, latifondisti con qualche quarto di nobilità, i C. e gli Alario, perlopiù artigiani e commercianti. Figura chiave dei primi capitoli è quella di Prospero Maselli, l’avvocato trattino ingegnere che si è fatto una posizione a New York come costruttore, e che una volta tornato in Basilicata ha preso di mira il palazzo dei Di Salvia. È una vicenda di sfide la storia raccontata da Piera C., con il denaro da una parte, gli amori e i tradimenti dall’altra. Una galleria di donne coraggiose che si ribellano al potere dei maschi per emanciparsi da un destino già scritto e deciso dai ruoli. Paola, una delle figlie di Don Domenico, il ricco farmacista di Castrappeso, che un secolo più tardi “diventerà” Pauline, la borsa più chic e desiderata del mondo, si lascia ammaliare da Prospero, impegnato nel frattempo anche nella difficile opera di ricollegamento del paese. Il futuro dell’avvocato e di Paola sembra segnato ma l’americano non ha ancora fatto i conti con Eugenio Rinaldi, il conciatore di pelli, il bel forestiero, l’uomo di mondo che legge Anna Karenina e canta Smoke in your Eyes. Una notte Paola fuggirà con lui in macchina e sarà l’inizio di tutto. Ovunque andrò è un romanzo ambizioso sull’amore, sul denaro e sul riscatto, una storia crudele e profetica; in alcuni passaggi mi ha ricordato Empire Falls di Richard Russo, che nel 2002 soffiò il Pulitzer al Franzen de Le Correzioni. Un banco di prova impegnativo, una scommessa vinta. Il miglior libro di Piera Carlomagno, che si consacra tra le scrittrici più interessanti di questi anni.
Angelo Cennamo