Leggendo Il Bafometto di Pierre Klossowski ho ritrovato Hölderlin e Nietzsche. Non è un caso che lo scrittore francese, nato nel 1905 da genitori polacchi, sia stato nel corso della sua vita studioso e traduttore delle loro opere.
Questa favola medievale prende spunto dal processo che mandò al rogo i Cavalieri Templari. Tra le accuse mosse dall’Inquisizione nei confronti dei componenti dell’Ordine c’era quella di adorare Bafometto, idolo legato alla simbologia gnostica, ma dietro cui si nasconderebbe solo un errore di pronuncia del nome del profeta Maometto. Da questo groviglio di fatti storici, di richiami alla tradizione gnostica ed esoterica e di espliciti riferimenti sessuali, Klossowski fa nascere un romanzo non semplice, ma capace di incuriosire.
In questa sorta di monastero-fortezza, in cui trovano dimora i soffi, ossia, le anime dei cavalieri finiti al rogo, e in cui compaiono anche gli avversari dell’Ordine, come Filippo IV il Bello e Federico II di Svevia, si nasconde il segreto de Il Bafometto, idolo che è donna e uomo, vergine e prostituta, peccato e salvezza; demiurgo che prende le sembianze di Ogier, giovanissimo ragazzo dalla bellezza sempreverde, sensuale come una cortigiana, virile e possente come un leone, circondato da queste anime che vivono in un mondo senza tempo e incastonato tra l’Inferno e il Paradiso. I soffi sono capaci di dar vigore a ciò che pensano, di mischiarsi tra loro o di scindersi. Sono anime in attesa di unirsi nuovamente ai loro corpi; unione che avverrà nel Giorno del Giudizio. Intanto, sono qui, in un mondo in cui non v’è differenza tra beatitudine e dannazione.
Al lettore attento, che già conosce questi argomenti, torneranno in mente le immagini dei rebis, creature che portano in loro il segreto della vita in quanto nate dal connubio tra elementi opposti; come l’Ogier-Bafometto dalle cui mammelle sgorga latte materno, mentre dal suo pene fuoriesce il seme dell’eternità. E che dire del rito in cui avviene la vestizione del giovane Ogier, il quale abbandona la sua tunica di lino per darsi alla fuga; un momento che ci fa tornare in mente il racconto dell’arresto di Gesù del Vangelo di Marco, nel quale si narra anche di un giovane che segue il Messia, coperto soltanto con un lenzuolo; e (mentre le guardie) lo afferrano; egli, lasciando andare il lenzuolo, fugge nudo.
Infine, non bisogna dimenticare che il romanzo si conclude nel 1964; un salto temporale che è sinonimo di un caos in cui ogni elemento ritrova la sua forma e torna alla vita, cosicché tutto sia perpetuo cammino per un tragitto circolare, che richiama quell’eterno ritorno tanto caro a Nietzsche.
Insomma, Klossowski riunisce tutti questi elementi in un romanzo che Adelphi propone dopo decenni di oblio. Grazie anche alla traduzione di Giuseppe Girimonti Greco, il libro conserva quel linguaggio aulico e ricercato che lo rende un testo iniziatico.