Non è Sara Brivio la protagonista di questo romanzo. Piersandro Pallavicini imbastisce un personaggio ventriloquo che racconta la sua storia – scrittrice, donna, madre di Monica e delle sue amiche, Elena e Fanny: le sue altre personalità, rispettivamente B e C, alla Carl Gustav Jung versione millennio.Non è un romanzo, questo (Nel giardino delle scrittrici nude, Feltrinelli, 2019, pp. 238, euro 16), è un set; sì, è già un set di una fiction “ideata” da un regista che dovrebbe avere origini italiane, anglosassoni e un poco spagnole.Sara Brivio, la voce narrante, ha attraversato ogni orrore del quotidiano: genitori anaffettivi, un marito laido e senza una dichiarata identità sessuale; le cure alla madre “impiombata” in un cancro all’ultimo stadio. Tutto da sola, sedendosi ogni sera al suo capezzale, senza le manfrine cattoliche del “lo devo fare”, ma per il legame del sangue: il più nobile, il più antico. La sua qualità consiste nell’intelligenza di sapere chi sia davvero, questa donna; pur essendo “realista”, ha un cuore vivo che non è stato intaccato né orbato, definitivamente, dal suo vissuto.La chiave di volta del romanzo sta però nell’eredità stratosferica che la protagonista riceve dal padre, adrenalina pura, quella “divina provvidenza” che la risuscita e le permette di sistemare o tentare di sistemare ciò che ha gravemente sbagliato con sua figlia Monica.C’è poi la vendetta (innocente, di cornice infantile) che trama nei confronti del mondo letterario al completo, quello che ha conosciuto e del quale non fa quasi più parte. Come? Istituendo il premio Brivio: 500mila euro, il montepremi.Le colpe di cui si sono macchiati tutti questi personaggi, al contempo scontati ed eccentrici, ecco, sono quelle, Care Lettrici e Lettori: la forza magnetica del libro, che racconta l’ordinario, ciò che poco attrae, per renderlo attraente, quasi ammirevole, e di sicuro stupore.Pallavicini ha uno sguardo compassionevole, non giudica a passo breve, guarda da lontano le sue “Scrittrici Nude”, e così fa anche con i personaggi minori: li lancia sul set, tali e quali ai cubetti di ghiaccio, per un’altra coppa di Cristal. A tratti si avverte il gelo, una soffocante percezione di sconfitta che riguarda Sara Brivio; e tu, lettore, quando lo leggerai penserai: robe dell’altro mondo… Riuscirà Pallavicini a mantenere fino alla fine la giusta equazione di eleganza, trivialità, wit e pop? Lo stile di questo romanzo è impeccabile: una prosa caleidoscopica tra dialetti, gergo piano, assurdi lirismi e l’ossessione (wildiana) del bon mot sono atti a strappare sorrisi veraci e sentimenti di varia natura. Se volessi essere a ritmo con il nostro tempo direi che Sara Brivio- anzi La Sara Brivio- è l’amica geniale che vorrei.L’ambientazione nel mondo dell’editoria italiana, a mio modesto parere, è al dettaglio: chi non riconoscerebbe qualcosa di sentito, visto o vissuto? E nello stesso tempo è metafora della società contemporanea. Sara Brivio sarebbe potuta essere una donna concreta sia nell’ambiente della finanza che in quello dell’urbanistica o della televisione on demand.Se dovessi assegnare un colore a questo romanzo sarebbe un rosa: il colore scelto da Pallavicini per raccontarci le donne con tanto affetto “femminista”.