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Poesie di Chebnikov. Il rifiuto

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Angelo Maria Ripellino nel suo saggio, antologia e commento “Poesie di Chebnikov”:

«Il vagabondaggio, l’orgoglio del corpo, la nausea del linguaggio comune e dei sentieri battuti, la brama di solitudine, il riso, la gioia della danza, la «mezzanotte profonda», il disprezzo per i pinzocheri, per i molto-troppi, la fede nella propria missione rinnovatrice: quanti temi di Chlebnikov sono tributari della “somma di Nietzsche”. E la congrega dei Presidenti del Globo Terrestre non rassomiglia all’eccentrica radunanza di eletti nell’antro di Zaratustra?»

E altrove scriverà Velemir Chlébnikov: «La creazione verbale insegna che tutta la varietà della parola deriva dai suoni fondamentali dell’alfabeto, che corrispondono ai semi della parola. È a partire da qui che la parola si costruisce, e il nuovo seminatore di parole non ha che da riempirsi la mano con i ventotto suoni dell’alfabeto, la semente del linguaggio». Dobbiamo trovare il modo di seminare parole nuove, e fondare la semina nel rifiuto.

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Il rifiuto

È per me di gran lunga piú gradevole

osservare le stelle,

che sottoscrivere una sentenza di morte.

È per me di gran lunga piú gradevole

ascoltare le voci dei fiori,

che bisbigliano: «è lui!»,

quando passo per il giardino,

che vedere i fucili,

che uccidono quelli che vogliono

uccidere me.

Ecco perché non sarò mai

e poi mai

un uomo di governo!

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