Recentemente, un bravo poeta, Valerio Magrelli, polemizzando con l’ipotesi che il premio Nobel della letteratura potesse essere assegnato a Bob Dylan è insorto, sostenendo che Dylan non è un poeta, poiché le sue parole sono accompagnate dalla musica, e dunque giocherebbe sporco, sarebbe un ‘poeta con la protesi’.
Cito letteralmente: «proporre Dylan è un’idea insensata e pericolosa. Ha milioni di fan, si può accontentare senza invadere il campo di altri. Sono due mestieri diversi. Prometto solennemente che non chiederò mai di suonare su un palco. Ognuno al suo posto. La parola cantata è una parola con una protesi. Sarebbe come confrontare un pugile con uno spadaccino. Il Nobel è stato vinto anche da cattivi scrittori, ma scrittori. Dylan non è uno scrittore».
Sorvolando sul singolare lapsus che fa, eventualmente, di Dylan uno «scrittore», non ho difficoltà a concordare sul fatto che il cantante americano non sia un poeta, non concordo affatto, invece, con l’idea che non lo sia poiché di serve della ‘protesi’ musicale, poiché per secoli e secoli la poesia si è ‘temperata’ (accordata) con la musica e, con buona pace di Magrelli, ha ripreso a farlo oggidì, basti pensare a Linton Kwesi Johnson, Horacio Ferrer, Haroldo De Campos e tanti altri.
La differenza tra la poesia e la cosiddetta ‘canzone d’autore’ non sta nel fatto che in un caso vi sia solo parola scritta, o al limite ‘pronunciata’, e nell’altra anche musica, come ingenuamente (e anche un po’ superficialmente) crede Magrelli, a meno di non voler, di conseguenza, considerare i padri della poesia occidentale e romanza, Arnaut e Raimbaut, per non citarne che due, degli chansonnier ante litteram; essa sta piuttosto nella relazione diversa che si stabilisce tra le due ‘sonorità’, nella differente collocazione delle scelte formali (tanto verbali, quanto ritmiche, melodiche e più complessivamente musicali): a dare il tempo e a suggerire la melodia, in poesia, anche quando essa si sviluppa e si realizza in accordo con la musica, sono le parole; nella canzone d’autore, invece, è la musica a ‘concertare’ il tutto, e questa è la ragione per la quale i testi delle canzoni, senza musica, non stanno in piedi, mentre quelli della spoken music (poesia per musica), se è buona spoken music, sì.
Non si tratta, si badi, di rapporti gerarchici, ma di funzioni differenti: semplicemente in poesia è la parola a ‘dettare il tempo’ e a intonare la melodia.
Insomma, se Dylan non è un poeta, se non lo è neanche De Andrè, Conte, de Gregori, o Fossati, ciò non dipende dal fatto che nel loro lavoro sia presente la musica, cioè da un surplus musicale, da una protesi in chiave di violino, quanto, all’opposto, dal fatto che nelle loro canzoni non c’è un linguaggio capace di stabilire e dettare autonomamente i propri ritmi e la propria linea melodica.
Un enunciato linguistico è percepito come poetico proprio a partire dalla sua musicalità, dal suo ritmo, dalle caratteristiche metriche e prosodiche, sovrasegmentali.
Provate allora a spogliare codeste ‘poesie in musica’ di molti dei nostri cantautori (che spesso sono splendide canzoni, canzoni che io stesso amo profondamente) dalla loro melodia, dal ritmo che dona loro la musica, provate a leggere quei testi in silenzio, o ad alta voce, ma seguendo la loro propria prosodia: ciò che vi rimarrà tra le mani è ben poca cosa.
Questo vale anche per De André, certamente il più importante tra i cantautori italiani degli ultimi decenni, che non a caso rifiutava per sé l’etichetta di poeta, preferendo, con grande acribia, attribuirsi un ruolo di «ponte» tra poesia e canzone d’autore, impegnato com’era a traghettare nel mondo della musica grandi testi poetici, da Alvaro Mutis ad Edgar Lee Master. Alcuni dei suoi testi hanno questa capacità di stare in piedi, autonomamente, anche senza musica, ma sono eccezioni (penso qui alla Domenica delle salme, o al Bombarolo, o al limite alla melopea struggente di Amico fragile), mentre altri, magari proprio quelli di capolavori della canzone d’autore, come La storia di Marinella, o Bocca di rosa, francamente no.
Insomma Bob Dylan, Capossela, De Andrè, non sono poeti, assolutamente no, ma non perché abbiano per sé un surplus di musica, che fa di loro ‘poeti con la protesi’, come suggerisce Magrelli, quanto per difetto di caratteristiche e qualità ‘letterarie’. E la differenza non è di poco conto.
Ciò non toglie che molti di loro siano artisti di primissima levatura, ma l’arte che praticano non è la poesia.
E in tutto questo non c’entra la musica, c’entra, come sempre in poesia, piuttosto la parola.