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Popoff. Intervista a Graziano Gala

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Per Le Tre Domande del Libraio su Satisfiction questa settimana incontriamo Graziano Gala, da poche settimane arrivato in libreria con il suo secondo romanzo, Popoff, già in ristampa e giunto a tre anni di distanza dalla pubblicazione, sempre per Minimum Fax, di “Sangue di Giuda”, uno degli esordi più apprezzati e dirompenti degli ultimi anni. 

Graziano, ci vuoi raccontare da dove nasce l’idea iniziale e l’urgenza di raccontare questa favola realistica, dall’incredibile delicatezza, in cui ci viene narrata la storia del piccolo Popoff e, se ci vuoi anche dire le differenze sostanziali dal personaggio del tuo precedente romanzo?

Questo testo è un esorcismo: è servito al me bambino per provare a cancellare tante brutture, per tentare di diventare grande. E ne sta aiutando tanti altri di bimbi grandi che bimbi sono stati mai, e questa cosa mi tocca il cuore e da senso a tutto. Popoff è un ultimo, come Giuda, ma bimbo: indifeso, in formazione, ancora più fragile. Lo puoi rompere in un soffio. Questo stupidamente credevo, prima di scoprire che forza assurda potesse avere un bimbo otto anni, prima di sentire che, quando ci davamo la mano, quella che stringeva forte per rassicurarmi era la sua. Popoff era il personaggio che inseguivo da tutta la vita. Ora io ho la coscienza a posto.
 
“Mi scusi, signore, ha visto per caso mio padre?” È la domanda del bambino protagonista che risuona in un paesaggio arcaico da tragedia, dove la cattiveria umana è sempre in agguato. Popoff è, però, nell’immaginario collettivo di molti di noi quel bambino biondo che, deciso e sicuro di sè, cantava di steppe e cosacchi, diventando uno dei personaggi più noti e popolari dello Zecchino d’oro. Ci vuoi spiegare il legame con questa ricerca disperata di un padre, e soprattutto per i nostri amici lettori forti, che ci leggono, dettagliare i personaggi e i luoghi che caratterizzano questa nuova narrazione particolarissima?

Quando ho incontrato questo bimbo, che in principio nome non aveva, sono scappato il più lontano possibile: io di padri non volevo sentirne parlare. Io che padre non ero riuscito a diventare. Io che un padre me lo portavo ogni giorno nel corpo come un veleno. Non si poteva, il patto con i personaggi è chiaro: se non so come ti chiami non potrò occuparmi di te. Un giorno poi un vinile, una persona che mi voleva bene, che aveva capito: è stata una rivolta. Ho saputo come si chiamasse, gli ho detto che aveva vinto lui, che lo avrei seguito ovunque al costo di perderci la vita, se necessario. Ne abbiamo trovati tanti sulla strada: Cimino, col vento nella testa e che avremmo voluto padre, che padre è chi ti cresce e non chi ti fa (Giuda, secondo me, si è infilato qui, in questo personaggio qua); Catarino Prisciandaro uomo bello e uomo raro, che per amare una capretta e credere alle scritte sui muri ci vorrà poca testa ma di certo molto cuore. Poi Don Ato, che dice messa come può, Bambace, che condivido con Alfredo Palomba, e i cattivi, che vai a capirlo perché sono cattivi. Occhippesce lo temevo, scappavo come i matti, ma Poliure Tano lo cercavo, che mi sentivo in cuore mio che dentro a tutto quel fuoco ci fosse un principio di cuore. È stato un viaggio pazzesco: abbiamo sperato, sognato, desiderato. Abbiamo vissuto. Lo abbiamo fatto davvero.
 
Ancora una volta, accanto alla tua grande anima di persona sensibile e speciale, arriva al lettore tutta la musicalità di Sangue di Giuda e del racconto lungo, Ciabatteria Maffei, uscito per Tetra nel 2023, ma più rafforzata. La mescolanza di questa lingua alta e raffinata accanto a espressioni dialettali, rende, ormai, la tua voce assolutamente riconoscibile. Ci vuoi dettagliare come è stato lavorare a questo testo?

Io sono fortunato e questo va detto: ho lavorato con gente come Fabio Stassi, come Luca Briasco. È come tirare punizioni e avere lì vicino Del Piero che ti spiega come sistemare il collo del piede. Popoff, come Giuda, ha avuto una prima stesura in pieno delirio: occhi chiusi, cieco come l’aedo, parlavano i personaggi. Fabio ha detto: bellissimo, riscriviamo. E così si è trovata la via. La lingua è quella che tutti abbiamo frequentato, quella delle filastrocche che ci raccontavano che i draghi, se si vuole, si possono sconfiggere o quanto meno disinnescare. Sono orgoglioso di Popoff, e tanto: in un momento in cui tutto corre verso il piano, verso l’editorialese schifoso e asettico che sa di medicina, io il mio odore lo tengo e non me ne vergogno: può piacere (e succede e ringrazio molto di cuore) o non piacere, ma io un odore ce l’ho. Non devo aspettare che me lo porti il vento. Ed è l’odore di mia madre, della gente con la quinta classe, della fame. Io non mi vergogno più, di dire da dove vengo: io devo riscattare chi ha sofferto.

Buona Lettura di Popoff di Graziano Gala

Antonello Saiz

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