Il pericolo più grande per l’uomo è che la vita diventi qualcosa di quotidiano. Se questo accade, tutto diviene ovvio e scontato e non c’è più spazio alcuno per la meraviglia e lo stupore.
(Ernst Jünger, scrittore e filosofo tedesco del XX secolo)
Ho cambiato casa, amante, isola. Ma soprattutto ho cambiato energia. Da un vulcano attivo a uno spento. Io Idda, vulcano attivo, qui nella piccola isola mi placo e scrivo. Tanto. E tanto bene.
Scrivo abbarbicata nella Monachedda, deliziosa e magica dimora della Contessa SchifaNoja di Alicudi, anima danzante che conobbi per pura fatalità di vita a ottobre sul sentiero che conduce allo Stromboli.
Sfogata la mia focosa foga sull’isola di fuoco, la malia mi spinse a riprendere il mare e scelse di spedirmi a trekkeggiare – da trekking e cazzeggio – in giro per le isole minori delle Eolie.
Alicudi è stata la mia prima scelta perché remota, selvaggia, aspra e priva di autorità, ossia qui niente carabinieri, né polizia. Sono una tipa Pink Punk e se ho capito qualcosa in quest’anno epidemico, zuppo di proibizioni e divieti, è che odio ogni autorità e ogni dogma.
Di ogni tipo: religioso, politico, istituzionale, familiare.
Io voglio librarmi libera naturale e selvatica in quest’unica danza sensoriale che è concessa sulla terra.
Voglio osare.
Non frenare.
Buttarmi.
Non fermarmi.
Salire.
Non scendere.
Andare.
Non stare.
Amare.
Non scopare.
Non ho scelta.
Io sono istinto.
Il mio istinto vibra.
Sono puro moto ondoso.
Talvolta tsunami.
Mi placo in movimento, mi quieto in cammino.
Raccolgo e accolgo meritate pause dopo l’andamento lento per poi riprendere il mio sentiero di vita, seguendo la musica che vibra nelle mie viscere, ritmando in armoniosa elettrizzante dionisiaca danza i miei passetti.
La mia è una vita avventurosa, lussuriosa, coraggiosa, solitaria, appassionata, vera e verace.
Anarchica nell’anima errabonda, salpo di isola in isola, di amante in amante, di casa in casa. Io erro. Sulla strada e sulla vita.
Come i leggendari scrittori viaggiatori, io narro la vita in cammino, in un viaggio dentro e fuori di sé in perpetua estasi, dal greco ek-stasis, letteralmente ‘stare fuori’ che indica quindi l’essere fuori di sé.
Lo faccio affrontando e superando i miei limiti, snobbando fallaci imposizioni e sacramenti, tendenziose illusioni che costringono a una vita non propria, innaturale, ignorante e volgare.
E’ solo spaziando con la fantasia, se non si può altro, che la mente danza e la bellezza fiorisce.
Scrivo dal paradiso terrestre, dalla piccola isola tutta avviluppata in verticale e immersa in una folta e feroce natura.
Qualsiasi luogo qui si raggiunge solo affrontando centinaia e migliaia di gradoni affacciati sul mare. Unico mezzo di locomozione muli e gambe. In questa reale fantasia, meglio fantasiosa realtà, sfocia naturale l’anelito per la mitologia, la natura, l’energia e la follia.
Eros, la divinità che venero e della quale sono Sacerdotessa amorosa, è l’unico dio che merita e ottiene la mia più devota e genuflessa sottomissione.
Sono una “vergine arcaica”, come ho scoperto leggendo l’interessante libro Le Vergini Arcaiche, ovvero di come le antiche donne custodissero la libertà, l’ebbrezza e la gioia di Leda Bearné (Edizioni della Terra di Mezzo – 2006). Con il termine verginità, nei tempi antichi non s’indicava una donna illibata, bensì un essere indomito, libero, vigoroso, turgido, mai soggiogato al potere maschile. Essa emanava uno stato di natura potente e selvaggia, di energia travolgente, di languida ebbrezza, di vitalità naturale. La Dea primordiale era datrice di gioia e di libertà, suscitatrice di follia, fedele solo a Dioniso, Admete in greco ossia ‘non sposata’, ‘non domata’. La sua natura era incompatibile con uno stato di soggezione nei confronti di qualsivoglia uomo, in quanto originariamente androgina, ovvero portatrice della natura maschile e femminile tra loro armoniosamente congiunte e dunque completa, autosufficiente, autonoma generatrice di tutto l’esistente.
Sono una vergine arcaica arsa e sparsa da fuoco sacro.
Assolutamente e dissolutamente indipendente e libera.
Non ho bisogno di un uomo. Posso desiderarlo, anzi desiderarli di tanto in tanto, a seconda della mia destinazione e del mio umore uterino ma poi riprendo la via e li mando via.
Giunsi sola sull’isola e fui raggiunta da nerboruto straniero di origini arabe. Bello come un dio greco, gitano, errabondo, selvaggio e potente. Lo accolsi con la mia chioma rosa, indossando una coroncina dorata reminiscente delle dee greche, a piedi scalzi in una tunica rosa. Sembravamo due dei o anche Mariangela Melato e Giancarlo Giannini del film cult di Lina Wertmuller Travolti da Insolito Destino nell’Azzurro Mare d’Agosto.
Mi recò in dono follia lisergica qui sull’isola della segale cornuta perché come narra una leggenda isolana ad Alicudi nei primi anni del Novecento la coltivazione della segale fu colpita da filossera che annerì le spighe, producendo l’ergot della segale (Secale cornutum), un allucinogeno naturale.
Nel mio autunno trascorso alle Isole Eolie, trovai per casa e per caso il libro Il Dio degli Acidi: Conversazioni con Albert Hofmann, un’intervista con il leggendario chimico svizzero che sintetizzò per primo l’acido che dilata la coscienza, realizzata da Antonio Gnoli e Franco Volpi in due incontri: uno nel 1997 e l’altro nel 1999. I due giornalisti andarono a trovarlo nel suo eremo in montagna, a Rittimatte, in una casa spartana e semplice nei boschi. Lì lo scopritore, per caso, dell’LSD abitava solo alla veneranda età di 91 anni, un uomo che fu dionisiaco senza essere sovversivo – come fu invece Timothy Leary guru americano negli anni Sessanta del movimento psichedelico – letterario senza scadere nel romanzesco, onirico senza la pretesa di imporre l’ennesima lettura dell’inconscio. Hofmann morì nel 2008 a 102 anni dopo decenni passati a sperimentare anche su se stesso gli effetti magici della psichedelia, che letteralmente significa ‘rivelazione della psiche.’
Le sostanze psicotrope o allucinogene sono un canale per l’esplorazione e la conoscenza della psiche, occasione di trasformazione e rigenerazione. Non droghe da usare per sballare e andare fuori, bensì au contraire per andare dentro, nel profondo della propria coscienza e anima. Non si abusano, si studiano, si approcciano con devozione e rispetto, in primis per se stessi, in un rituale spirituale e religioso come si faceva nei tempi antichi.
Io provai per la prima volta l’LSD, una sola goccia 100microgrammi, a Venezia per pura fatalità nella notte del Martedì Grasso nel marzo 2019. Non dimenticherò mai quella notte.
In una laguna ammantata di ponticelli che ondeggiavano, con il Canal Grande illuminato da migliaia di lumini, con i muri che si scioglievano nelle mie mani, con le gambe che saltellavano sui masegni e ogni percezione spazio temporale alterata.
Quell’esperienza fu assai complicata perché non mi ero preparata al trip che affrontai da sola (mai farlo da soli) e che durò 12 ore. Ciononostante, quell’intensa esperienza mi rivoluzionò l’anima. Il viaggio più avventuroso, tortuoso e rivelatore della mia esistenza.
Mai avrei pensato di osare/usare una sostanza così potente. Hofmann dice che la differenza tra la mescalina, altra sostanza psicotropa usata principalmente in Centro America, e l’LSD è quella che intercorre tra una granata e la bomba atomica.
Il trip è una festa mobile, che nasce dal profondo: una luce interiore che ravviva i colori e le percezioni, con lo spazio e il tempo che si dilatano, sospendendo e mutando le geometrie e le prospettive.
Riuscii a tornare a casa e a infilare ben quattro chiavi in preda alle allucinazioni. Chissà forse ci avrò messo un paio d’ore. Durante l’esperienza lisergica, il tempo dilata le sue scansioni.
Piombata nel buio della casa, fui presa dai demoni e dalla paranoia. Temevo di vedere mostri, serpenti, diavoli e quant’altro. L’effetto fu potentissimo.
Mi infilai nel letto tremante, pregando di resistere e di non soccombere a un horror trip, come viene chiamato il viaggio all’inferno. Perché il viaggio può scatenare il paradiso o l’inferno, tutto dipende dalla nostra testa, dal nostro stato d’animo, da noi.
Nel momento più angoscioso di quella lisergica notte cercai di tranquillizzarmi, accarezzandomi il volto e dicendomi di stare tranquilla, che ero una brava persona, che tutto sarebbe passato e che non mi sarei risvegliata lobotomizzata. Quando il panico stava per cogliermi e schiantarmi, scelsi di andare nella mia zona di comfort: il sesso. Iniziai a sfiorarmi per viaggiare nel piacere. Non fu un atto di vogliosa libidine ma di salvifica pacificazione erotica. L’effetto benefico si fece immediatamente sentire e dalle viscere si emanò a tutto il mio spirito, producendo un cambio nel trip che proseguì meno violento e più sereno.
Sono fermamente convinta che aver viaggiato da adulta consapevole e intelligente mi abbia permesso di condurre il trip e di allentare la paranoia allucinogena e allucinante.
Non sto facendo in alcun modo un’apologia dell’uso di sostanze psicotrope perché possono essere assai pericolose, soprattutto per menti non coltivate e non “illuminate.” Lo stesso Hofmann definì l’LSD “il mio Sorgenkind, il bambino che mi dà preoccupazioni, il mio bambino difficile,” e LSD: Il Mio Bambino Difficile (1979) è il titolo del saggio che dedicò alla sua eterna ricerca sull’acido lisergico.
Timothy Leary ha sempre fatto una netta distinzione tra sostanze psichedeliche e droghe vere e proprie. Delle prime – hascisc, mescalina, psilocibina e Lsd – affermava che avevano un’influenza positiva sulla psiche mentre le altre – eroina, cocaina, morfina – creano dipendenza. L’alcol stesso è considerato la sostanza più tossica e nociva tra tutte quelle menzionate, eppure siamo tutti felici all’eppi auar!
Domenica 23 maggio 2021 ho fatto il mio secondo trip qui ad Alicudi. Questa volta è stata un’esplorazione di meraviglia, fantasia e stupore assolutamente dionisiaci. Ho provato un’ebbrezza intima, una divinazione spirituale, una gioiosa follia. Ho vissuto quella che Hofmann chiama “l’esperienza profonda”. Ecco come la descrive nel libro:
Antonio Gnoli – Franco Volpi: Che cosa s’intende per soglia profonda?
Albert Hofmann: Quando si scende a livello profondo, quando si ha la sensazione di non essere più separati dall’ambiente circostante, ma di formare un tutt’uno con il mondo. Si perde il senso della contrapposizione tra l’io e la realtà esterna, la coscienza personale viene meno e ci si sente parte del tutto. E’ quello che si chiama il sentimento oceanico, cosmico. E’ una sorta di esperienza mistica che può molto profonda, in senso sia positivo sia negativo. Tutto è enormemente potenziato, e lo svanire della coscienza dell’io può essere vissuto come un’estasi o un incubo. Sentendosi uno con il tutto, si può avere un’impressione di protezione e familiarità, ma anche sentirsi spaesati e angosciati. L’esperienza profonda può essere un paradiso o un inferno.”
Antonio Gnoli – Franco Volpi: E questo da cosa dipende? O meglio, è possibile pilotare un’esperienza così personale?
Albert Hofmann: In una certa misura sì, preparandosi in maniera adeguata. Ma le sensazioni che produce la droga sono come le immagini di un sogno. Non si può prevedere se il sogno sarà positivo o negativo, propizio o infausto… In un certo senso nel viaggio riaffiorano le esperienze vissute in precedenza e ormai sedimentate nelle dimensioni subconsce della psiche. L’Lsd ha l’effetto di richiamarle in superficie. Ma lo ripeto, racchiusi in noi stessi, abbiamo tanto il paradiso quanto l’inferno.
Trovandomi nel paradiso terrestre, per il luogo e lo stato dove dimoro fisicamente e spiritualmente, ho viaggiato per sei ore nell’estasi divina, ho saltellato per i sentieri con gli spiriti dell’isola, ho abbracciato la natura tutta, interna ed esterna, ho danzato con le majare – le streghe eoliane che si narra volassero di isola in isola a dispettare gli uomini – nelle case abbandonate, ho riso a crepapelle con il mio nerboruto straniero, ho fatto l’amore con il cosmo. Una copula celestiale e carnale, un amplesso di-vino e dionisiaco, una danza del ventre e della mente, una gioiosa e giocosa estasi. L’esperienza della bellezza è in fondo un’esperienza mistica e gli allucinogeni fungono da potenti stimolanti. Particolarmente impressionante è la percezione amplificata dei colori e dei suoni. Immersa ma non sommersa nella lussureggiante natura primaverile dell’isola, cullata solo dai sibili delle piante e dalle onde del mare, nell’assoluto silenzio che qui regna sovrano, ho percepito il mondo interiore ed esteriore come una ridda di cangianti colori, umori, sensazioni, emozioni, scosse.
L’LSD influisce sull’ipotalamo, la parte del cervello che regola le nostre sensazioni ed emozioni e per questo stimola soprattutto le esperienze emotive ed eccita la nostra parte poetica, musicale, paradisiaca. Non stupisce che sia stata la sostanza del movimento hippie, dei figli dei fiori, dei Beatles, dei Pink Floyd, della Beat Generation …
In un’epoca gretta e vile come la nostra, dove a predominare sono i valori del materialismo, del consumismo e dell’individualismo, una siffatta esperienza è rigenerante. Ma solo per chi vi si approccia con coscienza e conoscenza.
Aldous Huxley, autore de Le Porte della Percezione (1954) e Isola (1962) sosteneva che le sostanze psichedeliche fossero comparabili alle altre sostanze di cui ci nutriamo e rifiutava di chiamarle droghe. Io stessa non le chiamo droghe ma sostanze psichedeliche. Ciò che lo affascinava era il fatto che già la natura e le piante ci offrono queste sostanze – consiglio di lettura: Il Cibo degli Dei (1992) di Terence McKenna – e che da millenni esse sono usate per finalità curative e mistiche. Per Huxley, erano una vera e propria grazia di Madre Natura: essa ci avrebbe donato tali sostanze per aiutarci.
Ho letto moltissimo sul tema della psichedelia, ho ripreso a studiare la mitologia greca, le tragedie, i lirici, i Misteri Eleusini, ho ricercato le esperienze mistiche degli sciamani e degli Indiani d’America, ho imparato dai saggi di Franco Bolelli e dai suoi amorosi insegnamenti, insomma mi sono preparata documentandomi al viaggio. Non siate così folli e stolti da pensare che basti calarsi per estasiarsi. Tutt’altro.
La visione che ho avuto è quella che già covava in me da anni: io non appartengo alla città, io sono natura. Ho smesso quindi gli abiti e i codici urbani per abbracciare estatica e selvatica la vita in natura. Su un’isola. Aspra, remota, essenziale.
Lo stesso Hofmann disse:
Ho preferito il bosco alla città nel senso che a un certo punto mi sono ritirato dalla vita cittadina e ho scelto di abitare in mezzo alla natura. Ma anche nel senso metaforico mi sono “in-selvatichito”: insofferente alle forme di vita urbane e borghesi, sono diventato un ribelle, un anarchico. Sono convinto che per trovare la felicità, l’uomo debba tornare alla natura. Perché come già scriveva Goethe, è nella natura che alita uno spirito divino. Io sono profondamente convinto che l’uomo possa trovare la propria felicità solo ritornando a condizioni di vita il più possibile naturali.
Antonio Gnoli – Franco Volpi: Le sue considerazioni sulla fuga dalle città, una certa refrattarietà all’urbanizzazione appaiono irrimediabilmente legate a una stagione che non c’è più.
Albert Hofmann: Non vi accorgete che nella moderna vita urbana tutto è artefatto, strappato via dalle radici, morto: mentre fuori all’aria aperta, in campagna, nei boschi, tutto è vivente, si vedono i ritmi della vita della natura, l’alternarsi delle stagioni? L’urbanizzazione moderna che ci sradica dal nostro legame con la natura è una delle conseguenze negative in cui si manifesta la potenza devastatrice della tecnica e del modo di pensare che sta alla base del suo unilaterale sviluppo.
Il nostro stile di vita occidentale, materialistico e consumistico, tecnologico e globalizzato, ci sta portando alla rovina spirituale, emotiva, umana. Abbiamo completamente perso qualsiasi anelito al misticismo e alla spiritualità, i malanni del nuovo millennio riguardano la sfera psicologica, siamo tutti preda di fobie, ansie, paranoie, depressioni. Anche prima dell’avvento della pandemia.
Io la lezione l’ho imparata perché ho tanto studiato, letto, ascoltato, curiosato, sentito nel mio peregrinare di vita. Osservando le meraviglie della natura nasce spontaneamente il sentimento di appartenenza al tutto cosmico. L’urbanizzazione spezza fatalmente il nostro rapporto con i ritmi vitali della natura.
Io qui sono sola con qualche gatto randagio a farmi compagnia. Non ho paura. Né mi sento sola. Sentiero in natura, danzo con gli spiriti, anche con il mio, guardo il cielo, le isole, le nuvole. Leggo tanto e scrivo bene. Cucino poco e male. Amen. Faccio 1000 gradoni per andare a fare la spesa. L’anima si rigenera e il culo si tonifica.
Profetiche ed inquietanti risultano oggi le riflessioni di Hofmann nell’intervista del 2003:
Antonio Gnoli – Franco Volpi: Oltre che all’urbanizzazione immaginiamo che lei sia contrario anche alla globalizzazione…
Albert Hofmann: Globalizzare equivale a programmare una catastrofe. La storia occidentale mostra come la scienza in origine contemplativa e osservativa, si sia sempre più congiunta a finalità pratico-tecniche miranti al benessere dell’uomo. Per questa strada essa è diventata il maggior fattore di sviluppo economico-industriale. Ma in tal modo noi stiamo procedendo a una velocità sempre maggiore verso la devastazione sistematica dell’ecosistema… Non c’è zona della terra al riparo da questa furiosa espansione. Capite dunque perché considero la globalizzazione la più grande catastrofe della storia… Stiamo distruggendo con rapidità inaudita il meraviglioso equilibrio creatosi in natura in milioni di anni. Anche volendo, sarebbe difficile pianificare una distruzione dell’ambiente più devastante di quella che sta oggi avvenendo. L’umanità incede a grandi passi verso un’immane catastrofe.
Antonio Gnoli – Franco Volpi: Le sue previsioni sono assai pessimistiche …
Albert Hofmann: A breve termine non vedo alternative al pessimismo. Ma in una prospettiva cosmica più lontana penso che la natura abbia un respiro molto più ampio di quello dell’uomo e che la sua forma di trasformazione e di rigenerazione sia inesauribile. Quindi a lungo termine la natura finirà per integrare la storia dell’uomo nel suo letto geologico… Se non capiamo che noi stessi siamo una parte della natura , andremo ineluttabilmente verso la nostra distruzione.
L’uomo ha peccato di tracotanza e al pari di Prometeo è stato punito. Con il suo sapere, l’uomo potrebbe fare della terra un paradiso e invece sta devastandola con la sua perversione economico-tecnologica-consumistica.
Io mi chiamo fuori.
La vita è un viaggio che io ho deciso di percorrere il più possibile a piedi, vivendo e amando in natura perché mossa da religiosità cosmica.
Chissà forse a furia di trip camperò fino a cent’anni come Albert Hofmann!
Non sono più Falli Felici, da oggi sono Psychedelic Pink Punk