La porta dello studio si riaprì e Bollati riapparve. Che succedeva? L´America mandava i paracadutisti? I russi erano stati cacciati? S´erano ritirati? E Nagy? E il generale Maleter? E il partito? Cosa diceva il Partito comunista italiano?
Bollati aveva in mano dei fogli e senza rispondere guardò me.
Un appello all´Onu. Questo era stato deciso da Einaudi e dai suoi consiglieri più fidati. Lui stesso, Bollati, lo aveva messo a punto parola per parola con l´editore e gli altri attorno a lui. Un lungo appello all´Onu che ora io, anglista ufficiale della maison, avrei tradotto in inglese.
Mi sentii morire, lottai disperatamente per evitare quella prova funesta. A cosa poteva mai servire un simile documento? Nella bolgia di una così grave crisi internazionale cosa gliene poteva fregare all´Onu dell´indignazione di una casa editrice torinese, illustre finché vuoi ma insomma… Una goccia nell´oceano, un´iniziativa perfettamente inutile perfino ridicola, se permetti. Ma loro non la pensavano così, la casa editrice aveva una notevole influenza morale, un alto prestigio etico in Italia e in Europa, la sua voce doveva essere presa in considerazione dal mondo intero…
L´aria fritta è intraducibile, ma le tentai tutte. Tagliare, condensare, rifare, fondere, ribaltare. Ma poi arrivava Bollati che di sopra la mia spalla ripristinava la versione base, il “padrone” (ma se non sa l´inglese!) il padrone, ti dico, controllerà, andrà su tutte le furie, devi essere più letterale possibile. Alla fine mi arresi e composi (a quel punto, anzi, con perversa scrupolosità) un testo di cui ancora oggi ho confusamente vergogna. (Tratto da “Mutandine di chiffon”, edizioni Mondadori).
(Carlo Fruttero, pag. 55, la Repubblica, 16-1-12)