L’esame dell’essenza del male: «Se credi che il mondo sia opera di Dio e allo stesso tempo definisci questo mondo come un’oscura caverna del male, allora offendi il Creatore. Il male indubbiamente esiste, ma non si sconfigge con i miracoli». «L’esistenza del male nel mondo è una sorta di miracolo» ribatté il parroco «e io non conosco altro modo per sconfiggere un miracolo – se non con un miracolo».
Un ufficiale tutto d’un pezzo: “Volkov non capiva molto né di icone né di pittura; andava in chiesa la domenica e credeva per le stesse ragioni per cui si rispetta lo zar – perché così deve essere, perché questo è il dovere di un ufficiale –, ma non ci aveva mai riflettuto; ciò indubbiamente lo aveva salvato dalle tentazioni libertine”.
Si incontrano personaggi assurdi e nichilisti: “«Non esiste nessun motivo per nessuna cosa; niente, nemmeno nella vita, niente è così terribile per cui dopo non se ne possa ridere – dopo, quando è finito tutto».”
Dal 14 novembre è in libreria Il destino che mi portò a Trieste di Radoslav Petković con traduzione di Rosalba Molesi (Bottega errante edizioni 2023, pp. 400, € 20,00).
Radoslav Petković (Belgrado, 1953). Autore affermato fin dagli anni Settanta, come romanziere e saggista, nonché traduttore dall’inglese, vive e lavora a Novi Sad. Alla prima pubblicazione de Il destino che mi portò a Trieste riceve i premi NIN (per il migliore romanzo serbo), B92, Borba e Meša Selimović. Ha curato le traduzioni in serbo di Chesterton, Tolkien, Defoe e Stevenson. È la prima volta che un suo romanzo esce in Italia. Nel 2003 un suo racconto è stato inserito nell’antologia Casablanca serba (Feltrinelli).
Nel 1806, Pavel Volkov, giovane ufficiale della flotta imperiale russa, intraprende un viaggio avvincente che lo conduce dal Mare Baltico al Mediterraneo, da Corfù a Trieste. In questa epoca, la città diventa il palcoscenico di scoperte straordinarie e incontri insoliti: un individuo maltese di nome Corto, un maestro nell’arte della pittura di icone, il governatore del Porto Franco, e il capitano di una nave corsara. E lì Volkov può abbandonarsi a un amore travolgente.
Il dialogo formativo di Corto il maltese con un mozzo: “Allora Corto gli disse: «Hai ucciso l’uomo che ti torturava, ora sei diventato un uomo». «Perché non mi hai mai difeso prima? » replicò il giovane ricordando tutte le bastonate prese sul San Nicola. «Perché avrei dovuto ucciderlo e tu non saresti diventato un uomo» rispose il Maltese”.
Un salto temporale di centocinquant’anni ci trasporta nel pieno dei tumultuosi eventi della rivoluzione ungherese e dell’intervento sovietico a Budapest: “Sparavano a caso. Sparava un poliziotto infuriato perché la gente aveva osato manifestare, aveva disobbedito ai suoi ordini. Sparavano quelli che trattengono le lettere degli altri convinti di farlo per il loro bene”.
La prosa di Petković si snoda attraverso visioni profonde, avvolgendo gli avvenimenti in uno stile minuzioso e irregolare. A volte gli eventi sono dipinti in paragrafi visionari e brevi che ricalcano la nota di diario o l’aforisma. In definitiva, Destino offre una lettura che va al di là delle semplici avventure, esplorando la complessità della vita e la lotta contro le forze oscure, con un messaggio che risuona come un inno alla libertà di comprendere la verità del mondo e di sfidare il proprio destino. Un messaggio importante in pagine di letteratura vera.
Carlo Tortarolo
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capitolo I
In cui uno dei protagonisti giunge a conclusioni veramente sorprendenti
Era il 5 marzo 1806, quando il tenente della marina imperiale russa Pavel Volkov pensò per la prima volta che tutto ciò che aveva fatto fino a quel momento – come, del resto, tutto ciò che avrebbe fatto in futuro – fosse bizzarro, persino sconcertante come un gioco infantile. All’improvviso, guardando alcuni bambini che a pochi passi da lui stavano giocando sulla spiaggia, gli venne in mente il paragone con i castelli di sabbia. In breve, Pavel Volkov pensò che tutta la sua vita passata – e senza speranza che in futuro potesse essere diversamente – era stata solo un’assurdità, qualcosa con cui l’uomo riempie il proprio tempo credendo di compiere il proprio destino. Dopo essergli balenato nella mente, questo pensiero cominciò a diffondersi come un’infezione in tutto il corpo e Pavel Volkov provò una momentanea sensazione di spossatezza che lo costrinse a sedersi sulla bitta di ferro a cui era legato il brigantino San Nicola. Un tempo la bitta era stata la canna di un cannone; in seguito era stata riempita di sabbia, piombata e fissata alla pietra del molo per far ormeggiare senza pericolo quelle stesse navi che un tempo doveva distruggere.
Poi alla spossatezza si aggiunse lo stupore. Fino a qualche giorno prima – o, per essere precisi, fino a qualche istante prima – Pavel Volkov apparteneva a quel genere di uomini soddisfatti della propria vita – tra l’altro proprio perché non ci riflettono molto –, anzi, gli ultimi mesi erano stati davvero piacevoli sul ponte di comando del vascello di linea Arcangelo Michele, su cui aveva prestato servizio come primo tenente; una nave con settantaquattro cannoni e duecentoventi marinai che, ad eccezione del comandante, erano tutti suoi subalterni; una simile condizione in realtà dovrebbe riempire di gioia un ufficiale di carriera che ha appena compiuto trentadue anni. Fino a quel momento non si era mai ritrovato ad affrontare situazioni che riteneva di non poter risolvere; non aveva nemmeno vissuto un amore infelice, come invece ci si aspetterebbe vista la sua età, in quanto non si era mai innamorato a tal punto da perdere la ragione. Naturalmente, come ogni uomo di successo aveva qualche nemico, ma non più di quanto fosse la norma. Del resto, non era afflitto dal desiderio di essere amato da tutti.
Nemmeno quel mattino – quando quello strano pensiero lo colpì come un assassino che sbuca da dietro un angolo – era accaduto qualcosa di insolito o inquietante. Sul molo – proprio accanto alla spiaggia bagnata dal mare dove giocavano bambini e onde – nel porto di Corfù, sull’isola di Corfù, capitale della Repubblica delle Sette Isole – Volkov stava sorvegliando gli ultimi preparativi sul San Nicola per la partenza del giorno seguente. Con il vento favorevole – Pavel Volkov sapeva bene quanto fosse indispensabile la fortuna per avere successo – in pochi giorni sarebbe arrivato a Trieste per la missione più importante della sua vita. Dunque, Volkov stava per affrontare quella che solitamente si definisce l’occasione della vita; un incarico non facile, pieno di incertezze, se non addirittura di pericoli, ma che, in caso di successo, lo avrebbe portato a vertici solo sognati, anzi, si poteva già affermare senza esitazione che Pavel Volkov non era più un semplice tenente: aveva in tasca la nomina a capitano – a dire il vero, provvisoria – ma la temporaneità di tale nomina dipendeva esclusivamente dalla sua abilità. E naturalmente: dalla fortuna. E Volkov era persuaso, a ragione, di appartenere a quel genere di uomini che sanno affrontare bene le sfide. Almeno fino a quel momento.
Proprio per questo, quella sensazione di inutilità lo spaventò; mai in vita sua Pavel Volkov aveva pensato qualcosa di simile – anzi, non gli era mai passato per la mente che si potesse pensare in tal modo. Strizzò gli occhi perplesso, con la stessa perplessità del suo stato d’animo: lo stato d’animo di un uomo che aveva fatto una scoperta che non avrebbe voluto fare. E tutto il resto – tutto il resto era in ordine: il vento prometteva buona navigazione, gli ultimi preparativi per la partenza del San Nicola si stavano svolgendo nel migliore dei modi; i marinai stavano caricando le ultime balle di merce che la nave, per così dire, trasportava da Istanbul a Trieste. Le balle di cotone dovevano conferirle un aspetto pacifico; per lo stesso motivo la maggior parte dei cannoni era stata rimossa dalla coperta. Ne erano rimasti solo sei, numero non eccessivo, considerato il valore del carico e la presenza di molte navi corsare; se il vento fosse stato più forte, la bandiera con cui il brigantino doveva navigare fino a Trieste – la bandiera dell’Impero asburgico, in quel momento neutrale – avrebbe sventolato sul pennone; invece era floscia e di tanto in tanto tentava con sforzi deboli e poco convincenti di dispiegarsi; il mare – nonostante la temperatura insolitamente elevata per quel periodo dell’anno – aveva la lucentezza del ghiaccio, quasi fosse inverno, ma il mar Ionio offriva in ogni periodo dell’anno uno spettacolo gradevole a un ufficiale che fino a quel momento aveva trascorso la propria vita sul Baltico. Volkov aveva già ricevuto non solo tutti gli ordini necessari per la missione, ma anche tutte le autorizzazioni che gli conferivano responsabilità e potere che mai aveva avuto in precedenza. Credeva in se stesso; in passato era sempre riuscito a realizzare ciò che si era proposto e lo aveva realizzato più velocemente e con più efficacia della maggior parte delle persone che lo circondavano; non aveva motivo di dubitare che ora sarebbe stato diverso.
E di nuovo si era seduto con il capo chino a osservare la sottile striscia d’acqua sporca tra lo scafo scuro della nave e la pietra ricoperta di alghe verdastre del molo; l’odore di catrame che avvolgeva il porto lo infastidiva.