Raffaele Malavasi è il giallista per antonomasia. Credo che ad un’analisi del sangue non basata su valori fisiologici, ma su parametri narrativi, il responso prevederebbe un unico dato importante: giallo cristallino. Essendo il genere più richiesto dai lettori e di conseguenza dal mercato, destreggiarsi in questo ramo della narrativa non è semplice. L’overdose di domanda ha svilito l’offerta, favorendo il proliferare della mediocrità. Di conseguenza, scovare un prodotto dal quale trarre appagamento è diventato complicato, tanto quanto scriverlo. Da questo punto di vista Malavasi rappresenta una garanzia di qualità, ha il marchio DOC.
Dieci motivi per uccidere è il quinto ed ultimo capitolo della saga di Goffredo(Red) Spada e della sua allegra compagnia, ma, è bene sottolinearlo, nonostante sia per ovvi motivi legato ai libri precedenti, resta un romanzo fruibile in autonomia.
Un breve accenno alla storia. Tempi moderni; siamo a Genova e dintorni. Tre anni dopo la cattura del feroce serial killer Vittorio Bianchi, il famigerato mostro del Nord Ovest, ricominciano in modo inaspettato le morti e i rinvenimenti dei “trofei” sotto forma di cadaveri, con le stesse modalità che all’epoca furono dell’assassino. I corpi vengono esposti secondo precisi rituali e corredati da segni distintivi inequivocabili: lo psicopatico, nonostante sia stato assicurato alle patrie galere, sta, in qualche modo e in qualche maniera, proseguendo il suo folle piano distruttivo. Ma come? Tramite chi? E soprattutto, perché?
Spetterà all’ispettore Manzi, ai suoi sottoposti e al mitico Red Spada, risolvere questo novello ed ancora più intricato mistero. Spada, oramai ex poliziotto, ha un forte coinvolgimento personale, per via dell’uccisione, avvenuta in circostanze ancora da chiarire, dell’amata moglie Anna da parte di Alessio Bianchi (fratello di Vittorio).
La storia è molto articolata, ricca di elementi interessanti. Malavasi, dimostrando tutta la sua esperienza e bravura, opta per una narrazione su due binari paralleli: il filone principale segue le vicende attuali, quello secondario riporta agli accadimenti incresciosi di tre anni prima. La fine del secondo coinciderà con l’inizio del primo. Questo escamotage se da una parte rende il racconto più ricco di contenuti, dall’altra permette al lettore di recuperare tutti gli elementi necessari per una comprensione più ampia della vicenda.
Il romanzo, ambientato in un contesto moderno, presenta le caratteristiche classiche dei grandi gialli del passato. La seducente figura di Red Spada ne è la rappresentazione perfetta. Questo neo Sherlock Holmes dal ciuffo rosso e dal fisico imbolsito, i suoi silenzi impenetrabili durante il vociare delle ovvietà altrui, le sue stranezze, le intuizioni basate su un apparente “nulla di serio”, è un protagonista antieroe che lascia il segno nell’immaginario del lettore. Del resto, a chi non piacerebbe essere in grado di trovare un indizio di verità da un odore, uno sguardo dell’interlocutore, l’inclinazione di un tono di voce, una reminiscenza del passato? È Il fascino scaturito dal genio dell’investigatore vecchio stampo, che crea un vero e proprio alone di mistero intorno al perimetro modesto di un uomo qualunque, assediato come tutti noi dalle miserie e dai successi della quotidianità.
La narrazione è quasi completamente rivolta verso il lato investigativo, in stile True detective. La scientifica, il DNA, sono presenti perché devono, ma in realtà hanno un ruolo molto marginale rispetto alle “personalità”, che dominano l’intera scena. Persino le descrizioni ambientali, seppur ben curate, paiono svanire nel nulla.
Lo stile dell’autore gioca un ruolo determinante nella creazione di personaggi a tutto tondo, che non si limitano ad essere descrizioni ben riuscite, ma uomini e donne in carne ed ossa. Anche la natura delle figure di contorno viene sviscerata in profondità, attraverso dialoghi serrati, riflessioni personali, attenzione esasperata ai piccoli particolari. Quale importanza può avere se il figlio di Spada (Lorenzo) preferisce i fusilli agli spaghetti? In apparenza nessuna, ma è proprio l’assunzione di queste micro informazioni a fare in modo che la storia risulti credibile e non fantastica. Siamo di fronte a gesta eccezionali compiute dal vicino della porta accanto. Diventa così difficile dimenticare la goliardia dell’ispettore Manzi, il rigore imbalsamato del suo sottoposto Magaldi o la spavalderia incosciente della giornalista Orietta.
Ho studiato a fondo il tipo cerebrale a cui appartieni. Intelligenza laterale. Capacità di esaminare la realtà da prospettive inusuali, che si può tradurre in stupidità. Chi se non gli stupidi, i dementi, i disadattati, svia la realtà che ha davanti gli occhi? Un’intelligenza stupida, senti come suona bene questo ossimoro, da far eccitare Kant e Hegel. La verità è che tu appartieni a coloro che vivono in una dimensione fantastica e parallela per affrancarsi da quella reale. Cosa mai contiene la realtà per costringerti a fuggire, mio caro poliziotto?
Non so Kant e Hegel cosa avrebbero provato, io nel leggere un monologo del genere non dico di essermi eccitato, ma beato si. L’autore al momento opportuno alza l’asticella dell’interesse. Usando il tramite della mente deviata e brillante del mostro del Nord Ovest, attinge a piene mani a temi quali la numerologia, la geometria, la filosofia e la simbologia. Ma lo fa con una sapienza tale che argomenti teoricamente ostici vengono spiegati in modo da risultare comprensibili anche dal lettore meno preparato. E quando faticherete a capire, restate comunque tranquilli: Red Spada troverà le parole più adatte per spiegare l’inverosimile.
Il ritmo della narrazione segue lo standard tipico del giallo di qualità. Inizialmente lento e riflessivo, come una passeggiata in collina, superata la tre quarti del percorso subisce un’accelerazione rapida sconvolgente, come una discesa verso gli inferi. Sin dall’inizio si ha una sensazione di strano disagio, un laccio alla gola che si chiude pian piano. Malavasi, stimolando a dovere curiosità e angoscia, è abile nel lasciare sempre quel filo d’aria, che costringe il lettore a desiderarne di più, dando la sensazione che proseguire la lettura sia la scelta necessaria per continuare a respirare. Una lenta agonia di piacere, che vuoi finisca ma non troppo in fretta. Giusto il tempo per formulare decine di ipotesi su chi ha ucciso chi ed il perché. Diventerete tutti degli emulatori di Red, ma con scarsissimi risultati: i colpi di scena spiazzeranno ogni vostra elucubrazione.
Il giudizio finale è che mi sono trovato di fronte ad un’ottima opera e ad un autore eccellente. Dieci motivi per uccidere è un libro per gli amanti del giallo e per tutti coloro i quali vogliono addentrarsi in questo genere, scegliendo un prodotto giallo cristallino, come il sangue di Malavasi.
Paolo Raimondi