La mia rassegnazione stampa è ampia e variegata e di solito prevede la lettura online dei quotidiani durante la settimana e un approfondimento cartaceo nel fine settimana, a meno che lo dedichi ai guizzi del materasso accumulando inserti che saranno ignorati a favore dei piaceri della carne. Nello scenario più impegnato, inizio con Sette e Il Venerdì e DDonna, l’unico magazine femminile da leggere per intero, dall’editoriale della direttrice Valeria Palermi alla chiusa dell’esimio professor Umberto Galimberti. Il uik-end prevede altresì l’altezzosa ma preziosa lettura del Financial Times con i vari inserti e il Sole24Ore con il domenicale. Varie ed eventuali rimangono i siti di The New York Times, The New Yorker, The Atlantic, The Daily Beast. Capite bene che se rispettassi la frenetica tabella di lettura, non scoperei mai!
Negli ultimi tempi, ho trovato spazio e gusto di aggiungere anche letture di riviste in lingua spagnola perché noi trilingue non ci accontentiamo di un mondo ma come dice un detto “chi conosce più lingue, conosce più mondi” ed è così che mi sono imbattuta in quest’esilarante e illuminante opinione del giornalista e scrittore Arturo Pérez-Reverte scritto per il quotidiano argentino La Naciòn. L’articolo pulsa sacrosanta rabbia nei confronti della malefica deriva estremista del politicamente corretto anche nell’ambito editoriale. L’ho trovato rigenerante e pertanto ve lo traduco.
LASCIATEMI SCRIVERE, IDIOTI
Ritornano sempre, ancorati alla loro stupidità e incoraggiati da un coro di opportunisti di entrambi i sessi che, incapaci di essere se stessi, cercano di adattarsi per sopravvivere. Tornano senza andarsene mai perché, mancanti di genio o talento creativo, hanno bisogno di farsi vedere con titoli che li giustifichino. Sono dei parassiti che non vivono del loro lavoro ma nel giudicare quello altrui. Erigendosi a giustizieri di testi e costumi: inquisitori, spacconi puritani, poliziotti che in ogni dittatura di qualsiasi tipo – e ce ne sono a bizzeffe – si trovano sempre a fare, con l’entusiasmo dei conversi, il lavoro sporco.
Ho appena sentito un’auto-denominata scrittrice spagnola dichiarare che un romanziere deve compromettersi con i valori etici e non scrivere qualcosa che si possa interpretare – occhio al “si possa interpretare”- come apologia della violenza, maschilismo e altri perversi meccanismi. «Bisogna pretendere responsabilità dai creativi», afferma, citando come luminare una critica letteraria che un anno e mezzo fa fece una figuraccia affermando che Lolita di Nabokov è un’apologia dello stupro pedofilo, e che gli scrittori devono stare attenti a quello che scrivono. Ma siccome l’hanno già messa al suo posto alcuni scrittori spagnoli, chiamandola in tanti modi meno che intelligente, non mi soffermerò né su di lei né su quell’altra.
Ciò che importa è sottolineare che la pantomima va avanti e che la caccia a chi non crea, dipinge, compone o scrive cose conformi al diktat dei nuovi tempi guadagna sempre più terreno. Orsù, ridicoli bacchettoni … Parlando di raccontare storie, che è il mio mestiere e quello di altri, ci sono autori che prendono impegni etici, politici o quel che siano, e li sostengono con dignità e conseguenze; come José Saramago, per esempio, che è stato mio amico e ha sempre mantenuto, dentro e fuori i suoi romanzi, un impegno morale. Tuttavia non si tratta di un obbligo, ma di una libera scelta. Un romanziere può scegliere una posizione opposta, o nessuna: mettere a fuoco ogni trama e personaggio come gli pare e piace. Perché non un protagonista stupratore o assassino? Perché rinunciare a personaggi immorali, perversi, viziosi? Oppure siamo cosi imbecilli da credere che ciò che pensa o fa un personaggio nella finzione sia rappresentazione fedele dell’autore?
Altri inquisitori vanno addirittura oltre. Non esigono storie ma propaganda delle loro idee. Altrimenti, che siano ritirati i libri, che li brucino e scompaiano. In certi casi, perché giudicano sconveniente il contenuto. In altri, al di là dell’opera – che nemmeno conoscono – perché considerano antipatico, immorale o malvagio l’autore e ritengono che questo invalidi un’opera. Poco tempo fa, una consigliera di Avilés chiese di mettere al bando i libri di Vargas Llosa e i miei perché ci considera «maschilisti e misogini» (il che dimostra che quella creatura non ha mai letto un romanzo di Mario né uno mio nella sua puta vida). Ma il peggio non è la gentaglia ignorante, ma chi intimorito da questo clima si piega alla loro dittatura.
Poco fa, dopo l’omicidio commesso in Russia dallo storico Oleg Sokolov – lo conosco ed è matto come una capra, ma la sua opera è interessante – ci sono stati librai che hanno pubblicamente annunciato che avrebbero ritirato i suoi titoli dagli scaffali. Bisogna essere delle teste di cazzo.
Un autore ha soltanto una responsabilità: raccontare bene le sue storie affinché il pubblico approvi o condanni la sua opera, non l’autore. Immaginatevi, se così fosse, cosa rimarrebbe della letteratura. Curiosamente, spazzatura morale come Sartre, il Neruda ammiratore di Stalin o gente con la vita privata oscena di Karl Marx – icone della sinistra – sfuggono sempre alle fiamme del rogo; ma cosa succederebbe con la Bibbia, con quel Yahvé vendicativo e anche criminale? O con Rousseau, pessimo padre e misogino senza complessi? E con Cèline, D’Annunzio, il Baron Corvo, Curzio Malaparte, Casanova, Ian Fleming, Bukowski, il Bram Stoker di Dracula o la Emily Bronte di Cime tempestose? Oppure con il timoroso e poco impegnato Stefan Zweig?
Colmando il divario con tutti quegli autori, posso affermare che da trent’anni scrivo romanzi, non per migliorare il mondo né per riscattare l’umanità, ma perché mi piace immaginare storie e raccontarle. Mi occupo sia di un torturatore o di un assassino che di una buona persona o di un perfetto gentiluomo. Quello che cerco è pulizia ed efficacia narrativa, e, a seconda delle necessità della trama, mi riservo il diritto di rappresentare il bene e il male come risulti conveniente. E a chi non piace, che legga Paulo Coelho. Scrivo con la libertà che mi danno i miei lettori. E non sarà una scoreggiona analfabeta né un settario nullafacente a controllarmi la tastiera. Ve lo assicuro.
NB. Al pari di Arturo, benché con minima reputazione, la mia è più una rePUTAzione, io scrivo quello che voglio, quando voglio, m’informo e non diluirò mai la mia conoscenza/scrittura perché sia accolta e compresa dagli analfabeti funzionali/emotivi/intellettuali. Rivendico con fottuto orgoglio il mio essere bastian contraria e di nicchia. Alla massa lascio il pane. Io preferisco i croissant. Fragranti, burrosi e peccaminosi. Insomma, lasciatemi scrivere pirla!
Roberta Denti