“Sei un grasso bastardo”: così Raymond Chandler, padre dell’hard boiled americano, è noto che definì Alfred Hitchcock. Ma i particolari del rapporto tra il grande scrittore americano e il grande regista inglese affiorano soltanto adesso in una lettera mai tradotta ad oggi in Italia e pubblicata a sorpresa questa notte dal quotidiano Huffington Post.
Nero su bianco, quindi, i rapporti a dir poco ostili tra i due artisti: un rapporto che si vociferava fosse già difficile, ma mai con questi toni. Perché il Chandler che scrive a Hitch è un Chandler ferito nell’orgoglio di vedere trasformato un proprio soggetto cinematografico in uno dei tanti prodotti della “depravazione di Hollywood”.
Singolare che il padre di Marlowe, immortalato al cinema da Humprey Bogart, trench, sigaretta perennemente accesa e whisky più veloce della pistola, si scagli contro le ombre dell’ industria cinematografica.
Ma ad una lettura più attenta si comprende come dietro la schiettezza al limite dell’insulto dello scrittore ci sia in realtà il bisogno di rivendicare la propria sensibilità narrativa: l’esempio forse più significativo di come “dietro le quinte” cinema e letteratura non siano un binomio così scontato.
La lettera è di una attualità sconcertante, se solo pensiamo che proprio negli ultimi mesi sono moltissimi i film tratti da romanzi. Una vecchia arte che sembra vivere nuovi orizzonti di gloria. E anche per i mesi avvenire, dal “Sulla strada di Kerouac” al “Grandi Speranze” di Dickens i classici tornano a battere la strada dei soggetti originali.
Nella lettera l’autore de “Il grande sonno” venne ingaggiato per lavorare alla sceneggiatura di un thriller di Hitchcock del 1951: “Delitto per delitto”.
Chandler si spazientì per i continui confronti sulla sceneggiatura: confronti che, a parere dello scrittore, finivano per soffocare il suo stile. Chandler non era d’accordo con l’approccio del regista, che affermava la priorità estetica al di là dello sviluppo del personaggio. Chandler chiedeva una logica narrativa, laddove il regista voleva dare più spazio alla “visione”. I rapporti continuarono sempre più fino a questa lettera, mai apparsa sino ad oggi ed emersa dagli archivi privati di un collezionista.
Alla fine, Hitchcock cancellò Chandler dal progetto, che fu in gran parte riscritto da Czenzi Ormonde.
Una lettera, nella traduzione dell’americanista Nicola Manuppelli, che si può leggere anche come una summa di come si dovrebbe girare un film noir, genere che da qualche anno sembra l’unico in grado di poter rappresentare la realtà. Almeno nella testa degli scrittori e nell’occhio dei regist(r)i.
Introduzione di Gian Paolo Serino
6 Dicembre 1950
Caro Hitch,
A dispetto del grande e rimostrato disprezzo da parte tua per quanto ti ho proposto riguardo alla sceneggiatura di “Delitto per delitto” e della tua incapacità di fornirmi un qualsiasi tipo di risposta, e, nonostante io non abbia ricevuto da te una sola parola da quando ho iniziato la stesura della sceneggiatura attuale – tutte cose che qui sottolineo senza alcuna malizia, dal momento che questo modo di procedere sembra essere comune nell’ambiente depravato di Hollywood – nonostante questo, dunque, e nonostante certe tue affermazioni piuttosto fastidiose, mi sento in dovere, giusto per chiarire le cose, di farti un paio di osservazioni su quello che in gergo viene chiamato “script finale”. Potevo capire come la tua visione di regista potesse non accordarsi con la mia versione della sceneggiatura in questo o quel punto, sembrandoti questa o quella scena troppo lunga o uno o l’altro espediente troppo macchinoso. E potevo anche capire un tuo cambiamento di parere sulle cose che volevi, dato che alcune di queste modifiche ti erano imposte dall’esterno. Ma quello che non riesco a capire è come tu possa permettere che una sceneggiatura che dopo tutto aveva una sua certa vitalità e consistenza, possa essere ridotta a una massa flaccida di luoghi comuni, ad un gruppo di personaggi anonimi e a quel tipo di dialoghi che si insegna a uno sceneggiatore a non scrivere – dove tutto viene detto due volte, e niente viene lasciato sottintendere dall’attore o dall’inquadratura. Ovviamente devi avere avuto le tue ragioni ma, per usare una frase coniata da Max Beerbohm, ci vorrebbe una “mente molto meno brillante della mia” per indovinare quali fossero.
Indipendentemente dal fatto se il mio nome apparirà o meno sullo schermo tra i credits, non temo minimamente che qualcuno penserà che io abbia scritto questa roba. Sapranno benissimo che non sono stato io. E non mi sarei preoccupato minimamente se tu avessi tirato fuori una sceneggiatura migliore – credimi. No. Ma se volevi qualcosa di così scialbo, perché mai ti sei preoccupato di venire da me? Che spreco di soldi! Che spreco di tempo! Non è una risposta adeguata dirmi che ero ben pagato. Nessuno può essere adeguatamente pagato per avere sprecato il proprio tempo.
Firmato, ‘Raymond Chandler’
(traduzione Nicola Manuppelli)