Lo scrittore americano Raymond Chandler, nato a Chicago nel 1888, sino a oggi rimane uno dei grandi nel mondo della narrativa poliziesca grazie alla creazione di Philip Marlowe, il detective “hard boiled” protagonista di molte delle sue storie molte delle quali interpretate sul grande schermo da Humprey Bogart : Il grande sonno (1939), Addio, mia bella (1940) – questi primi due recentemente riediti da Adelphi – Il lungo addio (1953) e Playback (1958) solo per citare i più famosi.
Molti altri dei suoi romanzi furono trasposti al cinema da registi come Billy Wilder con “La fiamma del peccato” e da Alfred Hitchcock con “L’altro uomo”: il cinema aiutò molto Chandler e con lui gli altri rappresentanti del genere “hard boiled”: il giallo americano dei duri che indagano tra crimine, violenza e sesso: chiaramente valutando i tempi, il primo fu negli anni ’30 Dashiell Hammett e poi Chandler ma al confronto dei gialli di oggi nessun atto violento è gratuito ma c’è un profilo psicologico molto studiato per ognuno dei protagonisti. Raymond Chandler era molto critico verso il romanzo giallo tradizionale per la sua mancanza di realismo e quindi diede vita a personaggi che raccontassero la vita ai margini dell’assenza, la vita dei gangster, dei piccoli delinquenti, delle femme fatale, donne pronte a tutto per amore o per il crimine. Chandler Dopo aver fatto il giornalista e il dirigente d’industria, si dedicò alla letteratura poliziesca, dando vita al popolare personaggio dell’investigatore privato Philip Marlowe, tra spregiudicatezza e moralismo, di cinismo e umanità. Lo stesso Chandler rimase quasi vittima del suo stesso personaggio, cadendo vittima dell’alcolismo e di una vita più di detenzione che di detection. Morì, rimasto solo dopo il divorzio dalla moglie, nel 1959 in una cittadina della California. Solo…quasi solo. A fargli compagnia rimase la sua segretaria.
E se ci fossimo avvicinati alla scrivania di Chandler in qualsiasi momento durante il processo di scrittura di questi libri, è probabile che avremmo notato stargli sempre accanto la sua segretaria di nome Taki, “femme fatale” di origine persiana, sinuosa e miagolante, a tenergli compagnia.
Nel marzo del 1945 Chandler scrisse all’editore associato Charles Morton di “The Atlantic Monthly”, storica rivista statunitense di cultura, letteratura, politica estera, fondata nel 1857 dal grande poeta americano Ralph Waldo Emerson. Questa la lettera, ad oggi inedita in Italia, inviata dallo scrittore: come ogni suo scritto anche questa avvolta di amore ma anche di mistero.
Gian Paolo Serino
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Caro Charles:
Un uomo di nome Inkstead mi ha fatto alcune foto per Harper’s Bazaar qualche tempo fa (non ho mai scoperto perché) e una di me che tengo il mia segretaria in grembo è venuta molto bene.
Quando avrò la dozzina che ho ordinato ve ne manderò una. La segretaria, dovrei forse aggiungere, è una gatta persiana nera di 14 anni, e la chiamo così perché mi sta intorno da quando ho cominciato a scrivere, di solito seduta sulla carta che volevo usare o sulla copia che volevo revisionare, a volte appoggiata alla macchina da scrivere e a volte solo con lo sguardo tranquillo fuori dalla finestra da un angolo della scrivania, come per dire: “La roba che stai facendo è una perdita di tempo, amico”. Il suo nome è Taki (in origine era Take, ma ci siamo stancati di spiegare che era una parola giapponese che significava bambù e andava pronunciata in due sillabe), e ha una memoria come nessun elefante ha mai provato ad avere.
Di solito è educatamente distante, ma di tanto in tanto diventa polemica e risponde per dieci minuti alla volta. Vorrei sapere cosa sta cercando di dire allora, ma ho il sospetto che tutto si risolva in una versione molto sarcastica di “Puoi fare di meglio”. Sono stato un amante dei gatti per tutta la vita (non ho nulla contro i cani, tranne che hanno bisogno di tanto divertimento) e non sono mai stato in grado di capirli. Taki è un animale completamente in bilico e sa sempre a chi piacciono i gatti, non si avvicina mai a chi non li ama, va sempre dritto verso chi, per quanto sia arrivato da poco e a lei completamente sconosciuto, lo fa davvero. Non passa molto tempo con loro, tuttavia, prende solo una moderata quantità di petting e se ne va. Ha un altro curioso trucco (che può essere o non essere raro) di non uccidere mai nulla.
Li riporta vivi e lascia che tu glieli porti via. Ha portato in casa in varie occasioni cose come una colomba, un parrocchetto blu e una grande farfalla. La farfalla e il parrocchetto sono rimasti completamente illesi e sono andati avanti come se nulla fosse successo. La colomba le ha dato un po’ di problemi, apparentemente non voleva essere portata in giro, e aveva una piccola macchia di sangue sul petto. Ma l’abbiamo portata da un ornitologo e ben presto è guarita. Solo un po’ umiliata. I topi la annoiano, ma lei li cattura se insistono e poi devo ucciderli. Ha una specie di interesse stanco per le marmotte, e guarderà un buco di marmotta con una certa attenzione, ma le marmotte mordono e dopo tutto chi diavolo vuole una marmotta? Così fa solo finta che potrebbe catturarne uno, se ne avesse voglia.
Viene con noi ovunque andiamo in viaggio, ricorda tutti i posti in cui è stata prima e di solito è a suo agio ovunque. Uno o due posti l’hanno colpita, non so perché. Non si è voluta ambientare in quei posti. Dopo un po’ ne sappiamo abbastanza per capire l’antifona. È possibile che una volta ci sia stato un omicidio con l’ascia e stiamo molto meglio da un’altra parte. Il tizio potrebbe tornare. A volte mi guarda con un’espressione piuttosto particolare (è l’unico gatto che conosco che ti guarda dritto negli occhi) e ho il sospetto che stia tenendo un diario, perché l’espressione sembra dire: “Fratello, pensi di essere abbastanza bravo la maggior parte delle volte, vero? Mi chiedo come ti sentiresti se decidessi di pubblicare alcune delle cose che ho messo giù in momenti strani”. In certi momenti ha il trucco di tenere una zampa alzata e guardarla in modo speculativo. Mia moglie pensa che stia suggerendo di comprarle un orologio da polso; non ne ha bisogno per nessuna ragione pratica – sa leggere l’ora meglio di me – ma dopo tutto bisogna avere qualche gioiello.
Non so perché sto scrivendo tutto questo. Dev’essere che non riuscivo a pensare a nient’altro, oppure – ed è qui che diventa inquietante – lo sto davvero scrivendo? Potrebbe essere che – no, devo essere io. Di’ che sono io. Ho paura.
Raymond Chandler