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Rebecca Kuang. Yellowface

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Rebecca F. Kuang, ventotto anni, cinese ma solo di nascita, al suo attivo ha già cinque romanzi, perlopiù Fantasy. Perlopiù perché incasellare Babel, il più noto dei cinque, nella letteratura di genere, sarebbe riduttivo, e forse un errore. Con Yellowface, in Italia edito da  Mondadori con la traduzione di Giovanna Scocchera, Kuang cambia ancora per approdare, non sappiamo se definitivamente, al realismo puro. Come molte storie che parlano di scrittori, perché di questo si tratta, il romanzo contiene un secondo romanzo.

The Last Front, questo è il titolo, racconta dell’esperienza vissuta dai 140.000 operai cinesi reclutati dall’esercito britannico e spediti al fronte durante la prima guerra mondiale. È un’opera ambiziosa che ha richiesto un grosso lavoro di ricerca, di studio, e che potrebbe consacrare Athena Liu, autrice sinoamericana nella quale è facile ritrovare gli stessi tratti della Kuang, tra le voci più interessanti della nuova letteratura mondiale. Athena è fichissima, una bellissima donna di ventisette anni, non bianca, “vagamente queer”, e con settantamila follower su Instagram. Appena laureata a Yale, ha già un contratto con un’importante casa editrice, un altro con Netflix, e un elenco di candidature a premi letterari più lungo di una lista della spesa. Proprio nelle ore in cui sta per inviare il manoscritto di The Last Front al suo editore, Athena però muore. Vorrei tanto parlarvi della goffa morte di Athena ma non sarebbe corretto. L’enfant prodige esce di scena nelle prime pagine di Yellowface, davanti agli occhi della sua migliore amica ed ex compagna di college, June Hayward, anche lei scrittrice ma di ben altra caratura: un solo romanzo pubblicato che non ha letto nessuno, e una carriera nell’editoria incertissima per non dire già finita “È dura essere amica di qualcuna che ti surclassa in continuazione”. June, che è la voce narrante di Yellowface, ruba il manoscritto di The Last Front e lo fa diventare il suo bestseller.

 

Il furto del testo è per Kuang l’espediente per introdurre uno dei temi centrali del romanzo, la peggiore nevrosi dell’editoria americana di questi anni: l’appropriazione culturale. Ricorderete qualche anno fa l’incredibile vicenda di Jeanine Cummins, la scrittrice portoricana che qualcuno arrivò perfino a minacciare di morte perché si permise di raccontare nel suo libro “Il sale della terra” una storia di immigrati messicani. Cummins fu costretta ad annullare molte date del tour promozionale e a rinunciare a dibattiti pubblici e interviste. Quello che accadde nella realtà a Jeanine Cummins si ripete nella finzione con June Hayward. June è bianca, non ha origini asiatiche: come può scrivere di operai cinesi? Il suo editore le consiglia di pubblicare The Last Front col nome di Juniper Song “Nessuno ha il coraggio di dire apertamente che “Song” può essere scambiato per un cognome cinese…”, e di servirsi di un sensitivity reader cinese per correggere eventuali frasi razziste e metterla al riparo da eventuali accuse di appropriazione e, peggio ancora, “di parassitismo culturale”. Ma non basta. L’iniziale successo del romanzo si sgonfia di fronte a una raffica di accuse infamanti: June è una truffatrice, una ladra, un’approfittatrice, una razzista. Siamo al secondo e al terzo argomento della storia: l’invidia, il potere di vita e di morte dei social e gli effetti distopici della popolarità “Una volta varcata la soglia dell’editoria professionale, ecco che improvvisamente la scrittura diventa una questione di invidie tra colleghi, vaghi budget per la promozione e anticipi che non sono mai all’altezza di quelli offerti ad altri scrittori”. Poi ci sono i lettori “che proiettano le proprie aspettative non solo sulla storia in sé, ma sulle tue idee politiche, la tua filosofia di vita, la tua etica in generale. Il prodotto sei tu, non la tua scrittura… quando ti accorgi che molti dei tuoi follower sono persone di colore o gente che all’interno del proprio profilo ha hashtag tipo #BLM e #Free-Palestine capisci di essere sulla strada giusta”.

Dietro il furto di June non c’è solo la legittima ambizione di inseguire il proprio successo ma anche il desiderio di punire il successo altrui. La verità è  che June è sempre stata invidiosa della sua amica geniale. “Il mondo di Gwyn era parzialmente pubblico. Mentre il suo era pericolosamente, crescentemente privato” scrive Martin Amis a proposito della gelosia dello scrittore Richard Tull per il più famoso Gwyn Barry, nel suo capolavoro L’informazione. 

La persecuzione ai danni di June è feroce: account fantasma, troll, scambi di persona. Quanto durerà questo supplizio? Yellowface è una prodigiosa e beffarda messa in scena della comunicazione attraverso la lente distorta della Cancel culture. Un romanzo controcorrente sulla paranoia e sull’identità che mescola horror e noir. Una storia di donne senza la questione femminile. Una bellissima satira dei nostri tempi. 

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