Quando sono partita per questo lontano paese (dove vorrei vivere e morire.. l’ha scritto Majakovskji) ho portato con me due libri, scelti a caso: Vita morte e Miracoli di Bonfiglio Liborio di Remo Rapino e Tu di Patricia Grace. Due libri così distanti, così diversi, ma che raccontano entrambi vite umili, da ultimi della terra e questo in qualche modo li accomuna. Nient’ altro.
Bello tenere un libro in mano e sfogliarne le pagine, anziché seguirne la successione sul portatile, ma questi due mi si sono rivelati difficili per motivi opposti e ho impiegato molto tempo a ultimarne la lettura. Di Tu parlerò un altro giorno, oggi tocca a Liborio Bonfiglio e alla sua lunga, strampalata, disperata vita.
Molti autori si sono inventati un linguaggio per meglio raccontarci le trame infinite dei loro romanzi o le pieces teatrali in cui i loro personaggi hanno urlato, dialogato, mosso i passi sulle assi di un palcoscenico.
Penso a Dario Fo, penso all’emozione del paleolombardo inventato da Testori per dar voce al suo Ambletto. E non dimentico Franco Loi, le sue poesie, il suo Angiul. Vi sono casi in cui il dialetto esprime di più, coinvolge, spiega quello che sarebbe impossibile alla lingua colta, ma ci sono anche situazioni in cui il ricorso a un dialetto inventato complica, rende difficile penetrare nella materia del libro. Ricordo D’Arrigo, il suo Orcinus Orca al cui linguaggio aveva dedicato anni e fatiche, e fu invece un deterrente alla lettura. Pochi arrivarono alla fine del libro, risultò un flop letterario, non se ne parlò più.
Il linguaggio inventato da Rapino non è faticoso, scorre veloce, è un insieme di tanti dialetti, per lo più del nostro sud, con intervallate frasi e parole tipiche del nord, un vero excursus idiomatico, in cui la punteggiatura è inutile. Sono le meditazioni di Liborio, della sua vita, che abbraccia gli anni dalla guerra, la lotta partigiana, il dopo guerra, il miracolo economico, le lotte sindacali. In poche parole, la storia d’Italia dagli anni ’40 a fine secolo, visti vissuti e raccontati da un uomo a cui la vita ha negato quasi tutto, ma non la capacità di rigenerarsi e di osservare con distacco gli altri uomini, le loro inutili cattiverie, le vite, i drammi e raccontarli con semplicità e con amore.
L’Amore è mancato nella vita di Liborio, se si escludono la sua mamma e il maestro elementare, sfiorato dall’amicizia e dalla solidarietà dei compagni, mentre la Storia d’Italia avanza tra attentati a Togliatti, scioperi a gatto selvaggio, puttane di buon cuore e catene di montaggio. Dal sud al nord, dal Friuli del servizio militare a Milano, poi Bologna e poi ancora al sud, passando per il manicomio, anni rassicuranti, finalmente un luogo protetto dove poter dialogare con lo psichiatra, promuovere iniziative, non sentirsi al margine di tutto. Poi ancora in treno per tornare a quel paese che non ha dato nulla e nulla darà, se non umiliazioni ed emarginazioni perché Liborio è diverso, cammina nel vento con le pietre in tasca e pensa a quel padre di cui ha ereditato gli occhi, così gli hanno detto, e che non ha mai visto.
Proprio quel padre si presenta nel delirio di Liborio, quando nella povertà della sua stanza riesce a radunare tutti quelli che hanno contato nella sua vita, non esiste più il tempo, sono tutti lì e festeggiano e la tavola è ricca e imbandita. È un pellegrino che bussa alla porta, ma Liborio non alza gli occhi, non si mette alla prova, finalmente, per vedere se i loro occhi sono identici, sbarra il passo e l’ombra se ne va, per sempre. Così tutto finisce, anche la festa, anche la vita.
Un romanzo sapientemente costruito, l’autore riesce a far superare la sensazione di “prodotto pre-confezionato” e fa accettare il fastidio di un linguaggio creato a tavolino perché, alla fine, il personaggio Liborio è autentico, è il rappresentate di tutti i piccoli umiliati e offesi di cui non ci siamo neppure accorti, camminando trionfanti per i nostri infiniti viali del tramonto.
Carla Tolomeo Vigorelli, 31 dicembre 2019, Punta del Este
Recensione di Carla Tolomeo Vigorelli a Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio di Remo Rapino (Minimum Fax, 2019), pagg. 265, euro 17.