Quali sono gli elementi che possono accomunare il cinema giapponese di metà Novecento con i dipinti di Tintoretto e con gli schermi degli smartphone? Apparentemente nulla. A un primo sguardo pare che non esista continuità tra questi elementi. Tuttavia Riccardo Falcinelli nel suo Figure trova non solo elementi in grado di accomunare soggetti così distanti nelle forme e nel tempo, ma tenta di darci delle spiegazioni sulla loro somiglianza.
Un saggio molto ben strutturato, Figure, in grado di introdurre il lettore al mondo dell’arte. Non in senso accademico, ma in senso lato. Sì perché, quanto scontato tanto vero, l’arte permea ogni elemento della vita di ognuno di noi, ne siamo immersi nelle sue multiformi sfaccettature. Il lavoro di Falcinelli aiuta la presa di coscienza del fatto che essa e le sue tecniche sono ben oltre.
Partendo dal concetto astratto di “immagine”, passando attraverso le sue infinite forme di attuazione – financo alla ricerca semiologica del termine – ne struttura passo per passo la storia.
Ogni forma della rappresentazione figurale è presa in esame e vagliata da un occhio che è sia filosofico che tecnico che scientifico. Insomma – in un formato per nulla tascabile e in parole a volte molto tecniche, che non fanno pensare a uno di quei volumi in grado di aprirsi al mainstream, trattando di argomenti dati per scontati ma che così non sono – Falcinelli condensa tutta la storia delle immagini prodotte dagli esseri umani (dai graffiti, ai video di Tik Tok), senza tralasciare lo sguardo stesso dell’uomo, i suoi occhi.
Ciò che l’occhio proietta al nostro cervello è l’immagine primaria, quella da cui tutto prende vita. È, insomma, la figura principale. Chiaramente, ciò su cui fa leva l’autore, è quanto lo sguardo sia differente in ogni singolo umano. Falcinelli parte con l’interrogarsi sul perché, data la soggettività di ogni percezione visiva, i formati visibili durante tutta la storia siano stati sempre i medesimi.
Questo, a dire di chi sta scrivendo, è il nocciolo fondamentale dell’intero saggio, questo è il punto sul quale Falcinelli pare abbia deciso di indagare.
Perché il supporto, cambiando le forme, non ha permesso una evoluzione delle figure? Perché gli stili, i soggetti, sono cambiati; perché le correnti artistiche hanno deciso di variare gli schemi, rompere con le accademie, ma il rettangolo ha sempre vinto?
Queste domande non sono campate per aria, si sa. Sono domande che hanno sia risposte tecniche, che fisiologiche, che filosofiche, se vogliamo. Possono essere rintracciate nella comodità del costruire le tele, possono esistere nel concetto e nella tecnica della prospettiva, possono nascondersi nello studio dell’organo oculare umano o nella sensazione di calma data dalla simmetria. Insomma sono ovunque per tutti quelli che abbiano voglia di trovarle, proprio in questo sta la magia del saggio di Falcinelli.
Non esiste una risposta univoca, non esiste una figura assoluta, non esiste un solo perché a rispondere a un unico e solo formato.
Tra gli elementi che più disturbano la curiosità del lettore, presenti e ben espressi in Figure, quello che più salta all’occhio è il concetto della prospettiva.
Lo si rintraccia immediatamente tra le prime pagine, ma sarà concetto che tornerà periodicamente con l’avanzare della lettura.
Falcinelli parte descrivendone la storia. Ma nota che nel concetto stesso ci possono essere lacune, che il contorno del soggetto della nostra osservazione già ne cambia, appunto, la prospettiva.
L’occhio di quanto viene rappresentato non è reale, ma uno strumento artificiale. Artificiale e non umano. Per meglio dire è un mirino, afferma l’autore.
Infatti l’uomo nell’atto di guardare ha a disposizione due fuochi, due occhi, non uno solo. E gli elementi che contornano la figura, come cornici o bordi dello schermo, quanto interagiscono con quanto osserviamo? Quanto nero vediamo racchiudere uno smartphone e quanta cornice vediamo intorno a un Monet? E quanto cambia la prospettiva dell’elemento su cui poniamo l’attenzione nell’atto di osservare se il pittore, il fotografo o il grafico decide di costruirci intorno più piani, più dettagli a incorniciare la figura, più elementi divisori nella scansione dell’opera o della foto?
Per queste domande è entusiasmante leggere Figure, perché quanto si ritiene scontato nella vita al di qua dallo schermo non è ovvio.
Se con un minimo di curiosità si tenta di squarciare la superficie che divide l’immagine dalla figura, i mondi che si dischiudono sono quanto di più appassionante possa esistere: uno stimolo perpetuo alla conoscenza umana.
È un gioco di parole, ma personalmente, quando al liceo mi spiegarono il concetto schopenaueriano dell’atto di squarciare il Velo di Maya, lo immaginavo come qualcuno che da una tela dipinta, racchiusa in un arco, sollevandone un lembo, ne togliesse l’immagine per scoprirne la figura. La vera essenza oltre alla rappresentazione. In questa proiezione immaginifica adolescenziale, esistono tutti gli elementi su descritti: la prospettiva, la cornice, lo schermo e quanto è celato.
Un saggio per chi ama l’arte, ma ancor di più una intrigante lettura per chi di curiosità vive.
Lorenzo Bissolotti
Recensione al libro Figure. Come funzionano le immagini dal Rinascimento a Instagram di Riccardo Falcinelli, Einaudi 2020, pagg. 519, € 24,00