La pentalogia di Bascombe Richard Ford l’avrebbe potuta concludere alla maniera di John Updike, esattamente come era cominciata una quarantina di anni prima. Nell’ultima pagina di Riposa, Coniglio Harry Angstrom stramazza al suolo mentre gioca una partitella a basket con dei ragazzini. La stessa scena è nell’incipit del primo libro (Corri, Coniglio). L’idea di mostrarci Bascombe nel tentativo di rimettersi a scrivere a settantaquattro anni suonati e dopo avergli fatto fare molto altro, Ford deve però averla scartata fin da subito, meglio andare sul sicuro, seguire “Lo stato delle cose” e quel doveva andare proprio così che è sempre stata la filosofia di vita del suo personaggio migliore. Si può leggere Per sempre (Be mine), in Italia con Feltrinelli e la traduzione di Cristiana Mennella, senza aver conosciuto le parti iniziali di questa lunga storia? Direi di sì, ma al vostro posto non lo farei. Proviamo allora a riavvolgere il nastro e a dare qualche informazione utile a chi volesse scavalcare i capitoli prececenti, nell’ordine: Sportswriter, Il giorno dell’Indipendenza (premio Pulitzer), Lo stato delle cose, Tutto potrebbe andare molto peggio, per concentrarsi solo sulle ultimissime trecentocinquantacinque pagine, ammesso che siano davvero le ultime.
Scrittorucolo, giornalista sportivo, poi agente immobiliare ad Haddam, nel New Jersey, due divorzi, un figlio e una ex moglie morti, un tumore superato: Bascombe è tutto questo e molto altro ancora. Per sempre si apre con una nuova tegola per Frank: a Paul, il secondo figlio, oggi quarantasettenne, viene diagnosticata la SLA. Già da bambino Paul aveva dato segnali di scarsa tenuta mentale: ne Il giorno dell’Indipendenza lo avevamo visto rubare delle confezioni di preservativi e aggredire il commesso del negozio. Paul non provava interesse per nessuno sport, era affetto da una strana balbuzie e sognava di fare il ventriloquo. Haddam ha sempre dato rifugio a persone strambe, che portano gli stessi abiti ogni giorno, che sono impegnate nella stessa cosa a tutte le ore, che ridono di cose che sanno solo loro “Paul era uno di questi emarginati”. La sua vita non è mai stata all’insegna del successo “non ha nessun bestseller al suo attivo, né brevetti di software, né trofei… Paul non è mai arrivato”. Ha vissuto un po’ così, ma finché non si è ammalato, la vita “se l’è fatta piacere”. Nella prima parte del romanzo lui e suo padre sono dentro una Honda Civic, in partenza per la clinica del Minnesota dove sperimentano una nuova cura. Frank c’era già stato nel 2001 per farsi “bombardare la prostata di titanio”. Ora però è diverso: Frank ha un figlio che sta morendo, perché è di questo che si tratta. Paul non ha scampo e suo padre lo sa. Lo sa ma non cede: si dà degli obiettivi, prova a mappare e ad organizzare il tempo che gli resta “La vita è una questione di sottrazione graduale” leggiamo in Tutto potrebbe andare molto peggio. Accudire Paul è faticoso “Il moribondo fa sentire escluso e inadeguato chi non sta morendo, perché morire è una lotta che non somiglia a nessun’altra”.
Il rapporto padre-figlio di Ford ribalta quello di figlio-padre del Philip Roth di Patrimonio, romanzo molto vicino a questo, che tocca le stesse corde. Frank sostiene Paul ma non smette di cercare la propria felicità. Quando il figlio è in clinica, lui è in compagnia di Betty Tran, la giovane massaggiatrice vietnamita con la quale mestamente gioca a fare l’innamorato. Una garbata relazione platonica da duecento dollari l’ora. Betty è la migliore attrice non protagonista del libro. È una ragazza carina, minuta e gentile, ma non è la Ramona di Herzog: non oltrepassa mai la soglia. Non deve. Non vuole. Prima che sulla vita di Paul scendano i titoli di coda, Frank noleggia un vecchio camper per andare a Mount Rushmore nel South Dakota, per poi proseguire oltre Rapid City, nel luogo con le effigi dei quattro presidenti scolpite nella montagna. La scena in cui Frank sale a bordo del camper nel quale non ci si sta neppure in due è straordinaria “A svegliare una bestia così ci si sente piccoli, ma anche potenti: una sensazione tipicamente americana, fatta per essere basica, comunque credo di poterla gestire, magari potrebbe anche piacermi”. È il momento più bello e significativo del romanzo, siamo in zona Strade blu di William Least Heat-Moon e Nomadland di Jessica Bruder. Il viaggio con papà di Paul è goffo e doloroso, anche comico. I dialoghi serrati tra i due sono pieni di scontri e di sbuffi. Siamo alle ultime battute con Frank e Paul di fronte alle sculture nella montagna, fermi a osservarle quasi inebetiti in mezzo a tutto quel silenzio. Ma perché sono proprio lì? È fantastico, dice Paul “completamente inutile e ridicolo… al mondo ci sono troppe poche cose fatte apposta con questa stupidità”. Per la prima volta lui e Frank vedono la stessa cosa nello stesso modo. Sipario. Applausi.