La scoperta dei vampiri: “Proprio quando avevo la certezza di non poter continuare la testa si è staccata. L’ho lasciata cadere e ho costretto i miei occhi ad aprirsi in tempo per vedere sia la testa che il corpo trasformarsi in cenere. Un attimo prima erano lì e quello dopo del messicano non restavano che le mutande e un mucchietto di cenere sottile”.
Una brutale bevuta: “Vieni qui, dice. Non vorrai sprecarlo? Stringo le labbra intorno al buco nella gola di Candy. Il sangue caldo mi riempie la bocca. Succhio e ingoio, succhio e ingoio. Bisogna bere più in fretta possibile, prima che il cuore ceda. Anche Abby si nutre. Esce da sotto il letto e lecca il sangue sul pavimento. Candy era una cattiva ragazza. Il suo sangue sa di acqua sporca. Al Piccolo Demone non importa. Fa il pieno e si calma e io non ho più fame e non sto più male”.
Il rammarico per la trasformazione: “Ma se nella cucina di Monongah avessi saputo quello che so ora e cioè che sarei stato in balia di un mostro succhiasangue fino al giorno in cui l’oceano non si sarà prosciugato e il sole non cadrà giù dal cielo avrei preso il coltello di Jesse e gli avrei strappato il cuore. È peccato anche solo pensarci, ma non un peccato dei peggiori, tutto considerato”.
Una certezza oscura: “Dovrei unirmi a Czarnecki in questa guerra contro i predatori, anche se le probabilità di incontrare quello che ha ammazzato Benny sono basse? O dovrei tornare da te e alla mia vecchia vita, sapendo che i mostri che hanno ucciso il nostro ragazzo e Dio solo sa quante altre persone sono là fuori e continuano a uccidere? Onestamente, sento che qualunque strada sceglierò mi porterà alla distruzione, e questa sera non posso fare altro che pregare che almeno tu sia in pace”.
È in libreria Predatori di Richard Lange (Minimum fax 2024, pp. 360, € 20, con traduzione di Raffaella Vitangeli).
Richard Lange ha firmato i romanzi This Wicked World, Angel Baby e The Smack, e le raccolte di racconti Sweet Nothing, di prossima pubblicazione per minimum fax, e Come morti (Einaudi 2009).
Nel 1976, durante i preparativi per il duecentesimo Giorno dell’Indipendenza negli Stati Uniti, i fratelli vampiri Jesse ed Edgar viaggiano attraverso motel lugubri, nutrendosi del sangue delle loro vittime per sopravvivere.
Jesse, il più riflessivo dei due, ritrova in Johona, una ragazza Navajo che diventa la loro preda, un riflesso del suo passato tormentato. Nel frattempo, Charles, un padre devastato dal dolore cerca vendetta per la morte del figlio Benny, scrivendo appassionate lettere alla moglie mentre cerca il colpevole.
Richard Lange, mescola abilmente l’orrore soprannaturale con temi di solitudine, perdita e amore, creando un mondo in cui i confini tra vittima e carnefice si confondono, lasciando emergere una lotta disperata per la sopravvivenza.
Rovers è una complessa storia di vendetta con personaggi ricchi di sfumature e un’intrigante mitologia vampiresca. Questo libro è un capolavoro che approfondisce l’aspetto emotivo e psicologico esplorando il punto di vista degli esseri umani e quello dei vampiri.
Un libro affascinante, che racconta l’oscurità e le lotte interiori di uomini e mostri.
Carlo Tortarolo
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Jesse fa il vecchio sogno per la prima volta dopo mesi. Ultima- mente non ha dormito molto, e nei rari casi in cui ci è riuscito non ha sognato. Nei giorni più bui rimane disteso per ore, voltandosi e rivoltandosi nel letto; in quelli buoni abbassa le palpebre e muore finché non tramonta il sole. Oggi, invece, un attimo prima stava fissando il soffitto macchiato di umidità nella stanza del motel, ascoltando la donna delle pulizie che litigava con il direttore nel parcheggio e Edgar che russava nell’altro letto, e quello dopo… il sogno! Riappare come un vecchio amico della cui mancanza non si era reso conto finché… ehi, eccolo di nuovo, il malandrino. È l’unico sogno che fa, e gli è affezionato. Ed è l’unico momento in cui il mondo non è soltanto ciò che è.
Cammina lungo una strada, sempre la stessa, una strada che ha percorso da sveglio ma che non è in grado di individuare con esattezza. Nei pressi di Barstow, forse, o da qualche parte fuori Las Cruces. Una macchia, dove le piante sono fitte di spine e il vento caldo non smette mai di soffiare, dove i binari fendono le distese saline come vecchie cicatrici rugose e l’aria è così pulita che ciò che si trova a quindici chilometri sembra a non più di tre. Passeggia da solo lungo questa strada e sa che si tratta di un sogno perché è giorno.
Sono più di settantacinque anni che non mette piede fuori di casa. Settantacinque anni dall’ultima volta che ha sentito il sole sul viso, settantacinque anni da quando si è sdraiato sotto un albero e ha fatto scorrere le dita lungo le ombre delle foglie che danzavano su un fazzoletto d’erba tiepida; settantacinque anni da quando ha fissato un corvo che gracchiava, gli occhi ridotti a due fessure nel bagliore di mezzogiorno. Per gli ultimi tre quarti di secolo ha vissuto di notte, nelle ore color ebano in cui i mostri vanno a caccia e la brava gente rimane in casa. Da quando si è trasformato ogni alba è stata una condanna a morte, ogni raggio di sole una lama rovente.
Ecco perché è così felice ogni volta che fa il suo unico sogno, quando si ritrova a percorrere quella strada sotto il sole cocente, mentre qualche cirro si srotola nel cielo. Una lepre saltella, sollevando polvere. Una brezza gentile porta con sé una fragranza di salvia. Jesse raggiunge una lattina vuota e la calcia via. Mentre la luce e il calore si fanno strada nei suoi recessi più bui e freddi, pensa che non gli importerebbe affatto non svegliarsi più. Gli basterebbe questo: la strada, il cielo, il sole, per sempre.
«Jesse».
Jesse apre gli occhi. Il soffitto è scuro. È scesa la notte.
«Jesse».
«Che c’è?»
«Me la sono fatta sotto».
Jesse si alza a sedere. Suo fratello Edgar è disteso sull’altro letto, immerso nella sua stessa urina. Perfino Abby, la gatta di Edgar, ha più buonsenso di lui. Se non altro è abbastanza intelligente da saltare a terra. Jesse esala il proprio disgusto. Non intendeva farsi sentire, ma Edgar lo sente.
«Mi dispiace», dice Edgar, poi scoppia a piangere.
«Non fa niente», replica Jesse. «Stai migliorando».
Sono passati dieci anni dall’ultima volta che Edgar non è riuscito a trattenersi, e Jesse non si spiega perché il problema si sia ripresentato. Ha chiesto a suo fratello se fosse spaventato o preoccupato per qualcosa e Edgar ha risposto di no, dunque suppone che sia solo uno dei suoi vezzi che di tanto in tanto ricompaiono, come rubare nei negozi, mentire e allontanarsi senza preavviso; abitudini che Jesse dovrà addestrarlo a perdere, probabilmente per l’eternità.
È possibile che sia così ottuso? Se insegni qualcosa a un cane, o a un cavallo, quelli se lo ricordano per sempre. Allora perché a di- stanza di qualche anno Jesse deve ricordare a un uomo adulto che non si rubano le patatine nei negozi? Forse Edgar si sta prendendo gioco di lui e, segretamente, si compiace della sua frustrazione?
Jesse lo accompagna in bagno, gli dice di togliersi le mutande e di metterle nel lavandino. Edgar non piange più e sembra essersi dimenticato di averlo mai fatto. «Non troppo calda», chiede, quando il fratello apre l’acqua della doccia. È un omone, più alto di Jesse, oltre un metro e ottanta, tondo come un barile e ogni anno più grasso. Avrà sempre cinquant’anni fuori e dieci nel cervello: un bambino nel guscio di un uomo, e Jesse dovrà sempre occuparsi di lui perché lo ha promesso a sua madre. Che altro avrebbe potuto fare, di fronte all’ultimo desiderio espresso da una donna morente?
Traduzione di Raffaella Vitangeli
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