C’era una volta una poesia.
Ricordo Roberto Roversi un giorno che si camminava svelti per via Castiglione, che fretta c’era? non so, comunque mi disse: Dipende, il più vieto e frusto degli incipit come “c’era una volta” può trasformarsi in una carpa che ti sfugge di mano. Ecco, RR non sapeva che poco più che bambino nel Dese, che scorreva a un paio di chilometri dietro la mia casa, quando frequentavo la IV e V elementare, io e Richetto facevamo la pesca “al palpo” della carpa: infilavamo le mani nude nella melma delle sponde sotto all’argine, e se la sentivi la carpa dovevi stringerla con le unghie e gettarla a riva prima che sgusciasse via.
Poi anni dopo ho letto un testo del gesuita Hopkins, un poeta della seconda metà dell’ottocento, che trascrivo con trad. di Fenoglio e variazioni mie, senza andare a capo: «Sia gloria a D-o per le cose variopinte, per i cieli pezzati come vacche maculate; per i segni rosa che punteggiano la trota che nuota; per le castagne crollate dai rami sui tizzoni ardenti; per le ali del fringuello; per il paesaggio fatto di trame e orditi: stazzo, maggese e terra arata; e per tutti i mestieri, e i loro attrezzi e strumenti. Tutte le cose, le contrarie, le primordiali, le superflue e le stranissime; tutto ciò che muta e non si sa come, dal veloce al lento; dolce, acido; abbagliante e opaco; colui che le genera la cui bellezza è aldilà del mutamento. Lodate Lui.