Grazie al supporto e alla vicinanza dell’editor Sara Ricci questa settimana incontriamo lo scrittore romano Paolo Morelli. Le tre domande del Libraio vertono intorno al suo ultimo libro, dal titolo “Ridondanze”, uscito per Exòrma Edizioni nella Collana ‘quisiscrivemale’. Un libro ibrido, anfibio e generoso, pruriginoso, rivelatore, divertente e profondo, che procede, come sottolinea il titolo, ridendo e per danze, trattando con estremo riguardo il lettore . Tra i suoi libri Vademecum per perdersi in montagna (nottetempo 2003, 2017), Er Ciuanghezzù (nottetempo 2004), Caccia al cristo (DeriveApprodi 2010), Il trasloco (nottetempo, 2010), Racconto del fiume Sangro (Quodlibet 2013), Né in cielo né in terra (Exòrma 2016), Da che mondo è mondo (nottetempo 2017). Ha tradotto Pseudo-omero, Zhuang Zi, Lao Zi, Rabelais, Stevenson e il poeta cinese Yang Wanli (La contrada natale dei sogni, Quodlibet 2020) finora inedito in Italia.
Come performer ho curato gli spettacoli Animali Parlanti, Jazzcéline, varie edizioni di Parentele Fantastiche, A passo di Walser nel senso di Robert e dal 2015 la serie di Letture Strampalate.
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Paolo, ci hai abituato negli anni alla tua straordinaria capacità di spaziare in direzioni sempre diverse, spesso imprevedibili, facendo della tua scrittura un laboratorio di sperimentazione delle potenzialità dell’immaginazione. Ci racconti come nasce l’idea di questo libro e cosa si muove vorticosamente tra le pagine, in apparente contrasto con quella “immobilità di fondo del rione”, punto di partenza della tua “osservazione”?
Chi scrive questo libro, un personaggio che coincide quasi del tutto col tenutario del nome in copertina, avrebbe voluto scrivere un trattato di antropologia, magari un saggio dal titolo Elogio della fantasia e invece gli sono venuti dei racconti, o magari gli sono sembrati più adatti, visto l’argomento. Per far bella figura e ridacchiando, ma nemmeno tanto, potrebbe dire di essere stato influenzato dal Wittgenstein di “ogni spiegazione deve cessare e soltanto la descrizione deve subentrare al suo posto”. Diciamo che ha messo in pratica il suo studio e del resto, nonostante le apparenze, è uno piuttosto pragmatico e in tutto il lavoro di anni si può dire non abbia fatto altro che tentare di descrivere il paesaggio mentale che c’è dietro i cosiddetti fatti. Non so se sia una missione, di sicuro è quello per cui si sente portato e che prova a far coincidere con le sue, chiamiamole così, ricerche (anche se d’altra parte si trova del tutto d’accordo con un anziano poeta romano che ultimamente gli diceva: Ricerca? Ormai se non mi vengono a cercare io certo non mi muovo!). La straordinaria immobilità di fondo che è il vero segreto filosofico, non solo del rione ma di questa città, e che negli anni gli ha permesso di scovare svariate parentele fantastiche, prima di tutto con certa filosofia cinese, stavolta gli ha consentito di accumulare non solo storie e personaggi ma di individuare in questa zona del mondo una sorta di rudimentale modo, o vizio che sia, quello di lasciarsi andare alle fantasie con una specie di furia, ridondante appunto, ma che poi all’improvviso è come se si sgonfiasse da sé, come avesse esaurito il suo compito. Ed è l’impronta che ha provato a tracciare in questo libro, accanto ad esempio alle strane traiettorie di pensiero di un signore apparentemente innocuo come Carmine il barbiere.
Il problema grave è che lui è convinto che sia un libro sovversivo, addirittura, e l’epigrafe di Haroldo Conti è in questo senso tutto meno che innocente.
Lui è convinto, addirittura, che il Mondo Nuovo in cui già viviamo anche se continuiamo ad avere una stramba idea di continuità col passato, abbia due nemici giurati, vale a dire l’esperienza di prima mano e la fantasia, intesa nella millenaria sua funzione conoscitiva, cioè a dire carne e sangue della letteratura e da che mondo è mondo. La fantasia per lui è l’analogia proporzionale che Douglas Hofstadter ha definito “il cuore pulsante del pensiero”, ed è una facoltà intellettiva che abbiamo già in gran parte perso pure se non ce ne siamo accorti, scambiandola con una rappresentazione arbitraria di oggetti di pensiero senza alcuna vera necessità. E senza necessità non ci può essere conoscenza. Per lui se c’è una caratteristica prettamente odierna è quella di non accorgersi di niente ma di presumerlo, cosa che la narrativa italiana rappresenta bene nella sua sconcertante carenza di pensiero che un critico di recente ha addirittura rivendicato, cioè a dire se i tempi sono mediocri la letteratura deve rispecchiarli!
Comunque sia e tornando al libro, vedere con gli occhi non vale quanto vedere con le orecchie, è una massima di quei cinesi cari allo scrittore e difatti i suoi racconti sono la ricomposizione dei brandelli di storie che ha ascoltato, e anche talvolta vissuto in prima persona. Quel barlume di dimensione epica deriva dal fatto appunto che gli sono venute da fuori. Il problema, o forse la riprova di tutto quello che abbiamo detto fin qui, è che solo alla fine, ricomponendo il libro si è accorto che tutti i suoi personaggi son già belli che morti.
Sin dal titolo, sospeso tra ironia (ridon) e movimento ritmico (danze), si intuisce quanto sia fondamentale per te conferire alla scrittura il ruolo di protagonista assoluta della narrazione, sostanza che ingoia la forma e la restituisce viva, pulsante, in perfetta sintonia con la ricerca di voci peculiari e non addomesticabili che la casa editrice Exòrma porta avanti con la sua collana di narrativa quisiscrivemale (nella quale figurano un altro tuo romanzo, Né in cielo né in terra e una sezione gustosissima di racconti in Animali non addomesticabili). Cosa è dunque per te la scrittura?
Raccontare per raccontare è una cura. Aprire bocca e dargli fiato nei racconti che ci facciamo ogni giorno ha per noi ormai una connotazione negativa, anfanante. Ed è un grave errore, perché niente possiamo chiamare normalità se non il nostro modo di raccontare un certo corso di eventi, per sentirci parte di una socialità. Altrimenti vige la paura.
Partiamo da una constatazione: oggi quasi nessuno sa più giudicare di un altro a prima vista se e quanto sia socievole o pericoloso. Lo vedi dalla paura che ha la gente negli occhi, o dal fatto che per prima cosa ti chiedono cosa fai nella vita per sapere se devono mettersi sopra o sotto. Ma la stessa cosa identica succede per i libri. Diciamoci la verità sincera, nessuno sa più cosa vale una scrittura, quello che vale è tutto l’altro, softpower lo chiamano, tutto il bel traffico di influenze che quel libro si porta appresso. Non è una cosa che m’invento io, già un sacco di anni fa Horkheimer e Adorno l’avevano preconizzato: un libro per essere accettato dall’industria culturale non deve avere nessun valore intrinseco, solo così può assumere quell’altro. Questo è il dato di fatto al quale ormai siamo abituati ma che, ovviamente porta allo sfascio. Il lettore medio non sopporta più nulla ormai, non è più abituato alla ricchezza e all’ambiguità delle parole, alla malia del discorso, e d’altra parte se uno per trenta anni mangia da McDonald poi non gli si può chiedere di apprezzare una minestra broccoli e arzilla. I libri pretendono sempre più dal lettore una razionalizzazione totale e si comprano per mettersi dalla parte giusta, quella che crede di controllare tutto. Forse se imparassimo a riconoscere negli altri il valore e non solo l’autorità o il successo non ci faremmo fregare a leggere i libri per la stessa ragione. O viceversa.
Ma lo diceva pure Calvino che se la letteratura non si pone ogni volta obiettivi smisurati muore insieme a ogni sua funzione, anche sociale e politica. Oggi la sola parola prosa fa rabbrividire, e quell’altra, poetica, vale a dire che nulla in un testo può essere gratuito, il perseguire l’idea folle che se cambio una virgola ciò avrà ripercussioni nel mondo intero fa vomitare gli editors. C’è una vitalità, una dimensione atletica nelle parole totalmente dimenticata. Fare mondo poi, detto di un libro, è locuzione da nevrotici.
In questa situazione si è avvantaggiati se si è amanti delle cause perse, attempati oltretutto. Se si è capito che non è che la libertà ha un prezzo la schiavitù è gratis, siccome oggi costano quasi uguale è meglio far bella figura di fronte al fatto ineluttabile. Quindi, sempre per far bella figura potrei citare la battuta di un film di Francesco Bruni: “Si scrive quando non si sa dove mettere l’amore”. Dopo una vita sgattaiolata anch’io all’inizio ho provato a scrivere per una sorta di riscatto, ma poi mi sono reso conto che c’era di molto meglio nella scrittura, come un tifoso di calcio che non tifa per frustrazione ma per il senso di comunità, per la bellezza della maglia.
Per quanto riguarda la collana quisiscrivemale il motto potrebbe essere “Crederci ancora…” Nonostante tutto, a oltranza, provare a difendere la bibliodiversità come certi agricoltori salvano i semi, contro il disfattismo d’accatto riallacciarsi alla tradizione di ciò che la narrazione è stato per millenni prima del Mondo Nuovo, scovare ciò che non è inferno e provare a preservarlo, come diceva il Marco Polo di Calvino.
Un libro che sarebbe piaciuto a Celati e a Manganelli, recita la bandella. Il gioco dei richiami e degli echi letterari è un piacere talvolta ozioso, ma mai superfluo. Possiamo ancora parlare di modelli a cui ispirarsi, senza rischiare di essere accusati di necrofilia? Chi c’è nella tua biblioteca del cuore?
Manganelli lo vedevo da ragazzo da Feltrinelli a via del Babuino, ma non lo conoscevo, non sapevo chi era, io ero lì per giocare a flipper (flipper? In una libreria?). Con Celati invece c’è stato un incontro e un’amicizia di anni alla quale ho anche dedicato un libretto che in realtà è la storia di un litigio. Ecco, è stato Celati ad aprimi la mente sul significato, e il gusto grandissimo nello scrivere, altro che riscatto o vedere il mondo dall’alto del dominio dei pensieri o la carriera da funzionario del Ministero dell’Interiorità! Sono riuscito grazie a lui a riunire due parti di me che viaggiavano separate e scalcagnate. Ho imparato con lui la scrittura come esercizio, spirituale se non è parola brutta, i libri come prove di fraternità con il mondo.
Il problema dei modelli è che per esempio ho partecipato ultimamente alle celebrazioni per il centenario di Manganelli, e non ho sentito dire da anima viva che il Manga oggi non lo pubblicherebbe nessuno, e così Gadda, Landolfi, Malerba… Ci è convenuta l’accurata, capillare scelta di almeno trent’anni del mediocre come più controllabile, meno perturbante? Anche qui è come nel calcio, il giocatore meno leggibile, ossia controllabile o catalogabile è il più pericoloso. Ci hanno assai insegnato che chi non ha coraggio non se lo può dare, io credo che non sia per niente vero. Possiamo fare ancora tutto, a patto che ci riappropriamo della facoltà fantastica e ne rivendichiamo la validità.
Per quanto riguarda il mio pantheon arbitrario personale ci metterei, al centro il Zhuangzi e Robert Walser, accanto Esiodo, Ariosto, Cervantes, Leopardi e Montaigne. Tanto per dire.
Buona Lettura di Ridondanze di Paolo Morelli e gli altri piccoli gioielli della casa editrice Exòrma Edizioni contenuti nella Collana quisiscrivemale .
Antonello Saiz