È un Roberto Arlt “visionario” quello che si riflette in Acqueforti spagnole, meritoriamente proposto in Italia da Del Vecchio Editore con la traduzione di Marino Magliani e Alberto Prunetti. Il termine visionario rimanda alla straordinaria capacità dello scrittore argentino di intercettare “visioni” e di trasformarle in un incanto in cui la dimensione letteraria confina con la narrazione di viaggio tout court.
Tra il 1935 e il 1936, infatti, Arlt pubblicò le sue Acqueforti sulle pagine del quotidiano “El Mundo”, dando conto dei suoi viaggi lungo la penisola iberica sull’orlo della Guerra civile. Il risultato fu quello di raccogliere un vasto corpus di resoconti di città e regioni spagnole, che erano cronache e osservazioni non tanto geografiche o paesaggistiche, ma soprattutto degli incisivi ritratti di attività, lavoro, momenti di vita e vita di strada, feste religiose, raccontati mettendo insieme un linguaggio asciutto e allo stesso tempo cristallinamente evocativo, in grado di catturare elementi minuti e particolari. Quello di Arlt non era un occhio turistico, ma quello di un viaggiatore il cui interesse stava nel captare ciò che in filigrana una città e un territorio potevano “raccontare”. E non era il “tipico” o il “folklore” a interessarlo, ma forse l’aspetto “sociologico” delle comunità con cui veniva in contatto di volta in volta. Così le osservazioni di Arlt cadono sui luoghi in cui vivono contadini e pescatori, si intrufolano tra le attività degli operai, partecipano della danza e delle voci che salgono dalle strade, riportando sulla carta un testo che, in maniera quasi “pittorica”, restituisce immagini che subito diventano simboli e metafore.
Il viaggio di Acqueforti spagnole si dipana nella Spagna Nord-Occidentale, partendo da Vigo per poi inoltrarsi nelle terre di Galizia, associando al paesaggio della regione la tradizione del malocchio e le superstizioni, affrontando il tema del lavoro e della scolarizzazione, e quello della passionalità e dell’affetto della donna galiziana. A Betanzos lo scrittore segue le fasi della Festa di San Rocco e i balli lungo il fiume, che lo riportano ai “paesaggi danteschi che Doré ha illustrato per la Divina Commedia”, poi va a La Coruña , città che vive allegramente, ripercorre il sentiero dei legionari di Giulio Cesare per vedere la Torre di Ercole. Nelle Asturie, giunge a Oviedo, tra soldati, cannoni e fucili, e poi visita una miniera, scendendo a duecentocinquanta metri di profondità, visita Gijón, “la perla cantabrica” e vede Greta Garbo tra le casse del mercato del pesce. “Metto assieme le mie divagazioni mentre gli occhi seguono gli elastici movimenti della Greta Garbo che carica con impressionante agilità delle pesanti casse di pesce. Ma è inutile guardarla. Per lei, il suo uomo non può essere altri che quello con l’abito blu del meccanico e il basco proletario”. Il viaggio volge al termine, Arlt prende la strada per Santander: “Un’ora. Un’ora è più che sufficiente per conoscere una donna e una città. Sbuffa e scricchiola e sputa fuliggine dal tuo comignolo di bronzo, trenino di montagna. L’importante è arrivare. Il resto… il resto è l’ombra di un fantasma sulla parete”.
L’invito è ineludibile. Il viaggio con Roberto Arlt diventa una “necessità” fin dalle prime pagine di queste Acqueforti spagnole, anticamera di altre acqueforti che lo scrittore dedicò anche ad altri luoghi del mondo.
Paolo Melissi