È condannato a un peregrinare perenne e autoinflitto il protagonista di In nessun luogo, ultimo romanzo di Roberto Saporito (A&B Editrice).
Rimasto vedovo da poco, in preda a un dolore che lo lacera, i piedi su una terra di nessuno tra la non accettazione di una tragedia troppo grande e l’istinto di mera sopravvivenza che lo vuole vivo, prende l’unica decisione che gli riesce: quella di viaggiare. Muoversi e ripercorrere i luoghi sparsi per l’Europa che lo videro felice con la moglie per recuperare frammenti, ricostruire se stesso, darsi una temporanea pace.
Forse, una possibilità di futuro.
Ma quelle mete, amatissime perché condivise in un passato non ancora esaurito – Parigi su tutte – finirà per non raggiungerle mai. Il protagonista del breve romanzo si ferma al limitare: è insopportabile il peso dello strazio di ritrovarsi in solitudine dove ogni scorcio gli parla di lei, di passeggiate, bottiglie di vino condivise, risate. Si ritroverà a decidere di voler trascorrere le giornate in spazi neutrali, impersonali:
Aereo che parte, aereo che atterra, albergo vicino all’aeroporto. Una sorta di routine per continuare a vivere, o sopravvivere, o non morire. Per ricordare, per smettere di ricordare, per riempirsi la testa, per svuotarsi la testa. Per dare un senso alle cose che non hanno più senso, e per combattere le cose che non hanno più senso fai cose che ne hanno ancora meno, come viaggiare non da una città all’altra, ma da un aeroporto all’altro, lasciando fuori dal campo visivo quella che potrebbe essere la vita vera, o anche solo un’idea di vita vera, ma passando da un non luogo all’altro, trasformandoti in una sorta di viaggiatore che in effetti non va da nessuna parte, un viaggiatore che deve dimenticarsi da dove arriva, da cosa è partito e perché.
Questi luoghi ripetuti, accuratamente mappati all’esterno e nell’animo, si fanno innesco di riflessioni su vita, amori e mancanze.
E narrazione, pure, perché quella raccontata è difatti vicenda ampiamente autobiografica che Roberto Saporito sceglie di scrivere in seconda persona singola, una seconda persona che piace poco alle case editrici e agli editor, ma che piace tantissimo a te, ed è così che deve essere, è a te che deve piacere, e cosa che hai scoperto, piace molto anche ai tuoi, pochi, lettori.
Con buona pace di editor e addetti ai lavori, la seconda persona di Saporito risulta efficace e gli è funzionale per riconoscersi nelle vicende della voce del romanzo ma anche sganciarsene e lasciare che vi si riconosca il suo protagonista: in ultima analisi, possibilmente, per prendere – entrambi – una salvifica distanza dal dolore.
Roberto Saporito piega con sapienza la sua prosa, sempre limata e densa come ci ha abituati nei romanzi precedenti, che si fa diretta nella crudezza del nominare la malattia che come al suo personaggio ha strappato la persona adorata, e di estrema lievità nelle pagine del ricordo.
Anche in In nessun luogo la sua scrittura mantiene la raffinata duttilità già presente fin dalle prime opere, di cui conserva tratto introspettivo e capacità di scavo, oltre che dolorosa consapevolezza della limitatezza della natura umana, lacerata tra libero arbitrio e ruolo del destino: nelle parole del suo personaggio, colto in una sosta fra le ennesime tappe del suo percorso, la vera notizia è che hai deciso di continuare a vivere, nonostante tutto, a dispetto di qualunque cosa, almeno fino al prossimo minuto, secondo, non esageriamo.