Il Piccolo Principe non mi è mai piaciuto.
Tropo citato, troppo venduto. Sono fatto male, se qualcosa fa clamore me ne allontano. L’ho letto, ovviamente, e ne conservo due copie: una molto semplice e una seconda con dei pop-up talmente belli che i miei figli lo adoperano come un giocattolo. Essendo molto piccoli si limitano a far esplodere le pagine e, interrogati sull’argomento, rispondono che si tratta della storia di un bambino. Renato, il mio secondogenito di appena due anni, in particolare adora la pecora e il serpente. Per lui la questione ruota intorno ad un bambino che si chiama Principe e una pecora e un serpente. Ci sono poi degli alberi e una volpe. A mio figlio piace che il bambino sappia volare e, ogni volta che se ne meraviglia, mi accorgo che stia comprendendo quel libro meglio di me e ne sono certo ormai, perché ho letto un altro libro, assai diverso che ha scritto Romana Petri e che si intitola Rubare la notte, edito da Mondadori.
Volendo perseverare nell’errore, nella grossolanità, vi dirò che si tratta della biografia di Antoine de Saint-Exupéry. Una biografia romanzata, ma non priva di perizia e precisione. Ma sarebbe come continuare a leggere con un occhio solo e non, come fa invece Renato, che li ha grandi come aquiloni e li spalanca.
Romana Petri ci consegna un libro su un uomo che ha sognato per tutta la vita di volare. Un uomo che ha sempre avuto l’ombra corta ed è rimasto fanciullo.
Quando l’amico Henry de Ségogne gli chiese, poco più che ragazzini, da dove venisse, Antoine – o Tonio come preferisce la Petri – gli risponde: Dalla mia infanzia…
Da quel luogo, a mille miglia da qualsiasi altro, Antoine non si mosse mai. Trovò il modo di volare e si fece aviatore prima che scrittore, assolutamente aviatore più che scrittore. Leggeva in volo, scriveva in volo e disegnava. Le migliori idee le partorì sempre con i piedi sospesi. Sua madre lo definiva il suo figlio fantascientifico. Lo definiva anche Re Sole, il che ci da la dimensione del rapporto morboso e malato che li tenne legati fino alla morte.
Fu figlio viziato, Antoine, incapace di accettare la vita, le restrizioni, i rifiuti.
Un giorno, le raccontò, scriverò qualcosa su due ologrammi che si incontrano nel deserto. Un pilota e un ragazzino che gli appare dal nulla.
Il deserto, altro luogo più immaginario che fisico, che gli rimase dentro. Era di stanza a Cap Juby, nel deserto marocchino. Consegnava la posta, guidando un aeroplano piene di lettere. Cercò di ammaestrare una volpe, si sentì lontano da tutto, come su un pianeta distante. Conservò queste sensazioni per tutta la vita, fino al 1942, quando trovarono forma e vita diversa, dentro un libro che definì il suo distillato di sofferenza. Di ogni pagina scritta, ne ho cestinate cento, disse. Non era quindi un libro per ragazzi e adesso guardo mio figlio sfogliare la vita interiore di qualcuno, il modo in cui questa persona ha saputo raccontare la nebulosa che dentro di sé combatteva furente.
Ma se proprio non si riesce, allora il mio invito è dimenticare. Non pensate a questa come alla storia dell’autore di quel libro che trovate calamitato sul frigorifero dei vostri amici, o tatuato sulle spalle delle ragazze di passaggio. Pensate, piuttosto, al Porco Rosso di Miyazaki, quel pilota di idrovolanti vittima di un curioso sortilegio che avrebbe preferito restare un maiale piuttosto che diventare fascista.
Lui e l’amico Ferrarini, chiusi dentro un cinema, come Tonio e Léon Werth, i migliori amici che avessero al mondo. Pensate a Tonio che scompare tra le nuvole, che svanisce in volo perché non poteva concepire un modo diverso di morire. Pensate a Loulou come a Madame Gina, che canta la sua francese lettera d’amore.
Rubare la notte è un libro bello, con una sua poesia, che merita di essere letto e giudicato senza accollarsi il fardello di un autore che ha scritto uno dei libri più venduti e citati della storia. Romana Petri ci aiuta a capire che abbiamo sbagliato tutto, noi superficiali che abbiamo letto questo libretto illustrato in trenta minuti e poi lo abbiamo rimesso nello scaffale. Abbiamo detto che era retorico, infantile, sopravvalutato. Non abbiamo saputo considerare, per ignoranza, invece, che si trattasse di un racconto intimo, che lo sono tutti, dalla Divina Commedia fino ai Peanuts, perché l’uomo non conosce altra strada se non raccontare sé stesso nei modi più diversi e che tanto più sincero si avvicina al proprio dolore, quando finge di raccontare quello di qualcun altro.
Pierangelo Consoli
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Romana Petri, Rubare la notte, Mondadori 2023, Pp. 264, Euro 19,00