Esortazioni profonde: “Quando sarai tornato alla vita vera, alla realtà, al mondo materiale, allora in te non rimarranno né demoni né angeli… Scopri quanto il tuo corpo e la tua anima siano delle banali macchine, stabilisci ciò che vuoi e comincia a camminare con determinazione per ottenerlo… E poi vedrai!”.
L’analisi interiore: “Il demone in noi non è che una scappatoia, e nemmeno troppo furba! In noi non c’è un demone. In noi c’è incapacità. Pigrizia. Indecisione. Ignoranza. E una cosa ancora più tremenda: la tendenza a evitare di guardare in faccia la realtà”.
Riflessioni sull’esistenza: “Si era abituato a fuggire da tutto, da qualunque riflessione profonda, da ogni amaro esame di coscienza. Aveva smesso di essere un uomo di pensiero per diventare un uomo d’immaginazione, o meglio, di chimere.”
È in libreria Il demone in noi di Sabahattin Ali (Carbonio Editore 2024, pp. 288, € 18,50 con traduzione dal turco e introduzione di Nicola Verderame).
Sabahattin Ali (1907-1948) è uno dei più amati scrittori turchi del Novecento. Negli anni ’30 e ’40, nonostante gli arresti per propaganda comunista e critiche ad Atatürk, pubblicò cinque raccolte di racconti, un dramma e tre romanzi, tra cui l’iconico Madonna col cappotto di pelliccia (1943) un vero e proprio libro di culto in Turchia. Morì assassinato nel 1948 al confine con la Bulgaria mentre cercava di fuggire in Europa.
Il demone in noi è un romanzo potente e incisivo, ambientato nella tumultuosa Istanbul degli anni Trenta. La storia ruota attorno a Ömer e Macide, due giovani alle prese con le loro passioni e paure in una società che li opprime. Ömer, tormentato da un “demone” interno che simboleggia la sua indecisione e paura, si confronta con le aspettative patriarcali e le contraddizioni della sua epoca. Macide, una studentessa di musica, rappresenta la lotta per l’autonomia femminile in un contesto maschilista.
La prosa di Ali è ricca e evocativa, capace di trasmettere le profondità emotive dei personaggi attraverso un flusso di coscienza sapientemente orchestrato. I temi dell’identità, della libertà e del conflitto tra tradizione e modernità rendono quest’opera attuale e universale, invitando il lettore a riflettere sulle proprie paure e aspirazioni.
Non è solo un romanzo di formazione, ma anche un’opera che invita alla riflessione sulle dinamiche culturali e sociali della Turchia del ventesimo secolo. La musica, simbolo di connessione tra passato e presente, gioca un ruolo cruciale nel delineare il legame tra i personaggi e la loro cultura.
La penna di Sabahattin Ali riesce a catturare l’essenza della condizione umana, rendendo questa lettura imprescindibile per chi desidera esplorare non solo la letteratura turca, ma anche le lotte interiori universali che uniscono gli esseri umani. Una lettura che, quasi un secolo dopo la sua pubblicazione, resta ancora molto attuale.
Carlo Tortarolo
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Restarono a osservare fino alle due gli avventori della trattoria di fronte al caffè. Tra loro c’era qualche sparuto conoscente, ma nessuno con cui fossero abbastanza intimi da farsi offrire il pranzo. Alla fine, persero le speranze e si sfamarono con un simit e un tè ciascuno.
Poiché era periodo di vacanze estive, i caffè erano pieni di insegnanti venuti dai quattro angoli del Paese a spassarsela a Istanbul. Quei ‘clienti estivi’ arrivavano soli o in due, dopo pranzo, per incontrare i loro amici, e passavano il tempo a giocare a backgammon fino alla sera, poi decidevano dove avrebbero passato la notte e se ne andavano com’erano arrivati, dirigendosi a gruppetti verso le birrerie più economiche di Beyoğlu. Quando scendeva il buio, rimanevano là soltanto gli studenti e coloro che durante l’anno scolastico non erano riusciti a mettere da parte abbastanza denaro per le vacanze.
Ömer e Nihat restarono seduti, cambiando posto di tanto in tanto per evitare il sole, fino al tramonto. Entrambi erano immersi nel proprio mondo. Nihat si era lasciato andare ai progetti e alle fantasie di cui la sua mente era colma, Ömer meditava su idee incompatibili tra loro, senza soffermarsi su nulla in particolare. Un paio di volte portò la mano alla tasca per leggere la rivista appena acquistata, ma non riuscì ad andare oltre i titoli e, battendo sul tavolino le pagine arrotolate, si lamentò:
“Oddio, ma non c’è modo di sfuggire a questo fastidio?”.
Succedeva spesso: la testa si svuotava all’improvviso, un senso di pesantezza si abbatteva sul petto e sulla gola, e avvertiva la mancanza di emozioni e desideri potenti.
“Se sapessi cosa vuoi, non ti sentiresti così!” disse Nihat.
Ömer piagnucolò: “Dimmi qualcosa da desiderare, per cui sacrificarsi, e me la terrò stretta…”.
Nihat rise:
“Lo vedi? Subito ti metti a straparlare. Nella vita non si deve desiderare nulla per cui sacrificarsi. Ogni cosa deve servire a vivere. Anzi, dirò di più, a far vivere noi… Sei così immerso in quel vuoto che hai nella testa che vorresti cercare subito qualcosa per cui sacrificarti, e così sprofondare in un ulteriore vuoto! Vivere, meglio di chiunque altro, più in alto di tutti, dominare gli altri, vivere da forti, forse anche un po’ prevaricando… Cos’altro si può desiderare? Se ti dedichi a questo scopo anima e corpo, vedrai come all’improvviso ti sentirai pieno di vita!”.
Il viso di Nihat era diventato paonazzo, i suoi occhi vivaci avevano preso a brillare. Senza uscire da quel torpore, Ömer mormorò:
“Sei davvero cambiato, Nihat! O forse sono io che no
n ti conoscevo abbastanza. Guarda un po’ che razza di aspirazioni tenevi nascoste… Ma non sarai troppo arrogante? Forse hai ragione… però, in fondo, mi auguro che non sia così…”.
Un cameriere dal grembiule bianco girò la manopola dell’interruttore. All’improvviso una fila di lampadine appese tra i rami si illuminò di una luce gialla. In quel momento arrivarono quattro persone, impegnate in una discussione accesa, e presero posto al tavolino accanto a quello di Ömer e Nihat.
“Da dove venite, maestri?” fece Nihat voltandosi verso di loro.
Quello più minuto, e che batteva le palpebre nervosamente, rispose alla domanda con un’altra domanda:
“Voi siete qua?…”.
Poi aggiunse: “Che domanda stupida, vero? Lo vediamo che siete qua. Allora perché chiedere? Ecco l’incoerenza tipica del turco… Nessun’altra lingua al mondo ha questa capacità. La capacità di parlare per ore senza dire un bel niente!”.
Un altro del gruppo, anche lui esile, socchiuse gli occhi di un colore imprecisato per via delle spesse lenti, e disse:
“Ti sei accorto che con la tua domanda stai solo confermando questa tendenza del turco?”.
Con una smorfia, Ömer mormorò:
“Oddio, ricominciano con le battute. Rispetto ai loro interminabili giochi di parole, i momenti in cui ho la testa completamente vuota sembrano molto più sensati…”.
“Te l’immagini che quei due sono dei personaggi noti?” rispose Nihat con lo stesso tono basso. Poi, unendosi alla risata soffocata di Ömer, disse: “Un poeta celebre e uno scrittore ancora più celebre, che dovrebbero fare prodigi con le parole…”.
Nel gruppo nessuno, oltre ai due autori, apriva bocca. Nihat si avvicinò lentamente a uno di loro e scambiarono qualche parola. L’uomo annuì. Nihat si voltò subito verso Ömer e disse: “È fatta… Per stasera siamo coperti”. Ömer fece un sospiro.
Vedendo che la notizia non lo aveva rallegrato poi tanto, Nihat gli domandò:
“Che succede? Non sei contento?”.
“Ti rendi conto di quanto siamo miserabili?”.
“Perché? Parli come uno che in vita sua non ha mai bevuto un rakı a sbafo!”.
“Per l’amor di Dio, zitto. Tutta la mia vita… tutta la nostra vita è uno scandalo…”.
“Perché mai, tu non saresti un monumento alla virtù?”.
“Non è questo… ma di certo non voglio andare avanti così. Voglio una vita completamente diversa, meno ridicola, più sensata. Forse è possibile ottenerla, se la si cerca. Solo che in me ho un demone che… mi fa fare sempre altro rispetto a ciò che voglio. È un’impresa vana cercare di sfuggire alle sue grinfie. Non solo io, tutti noi siamo giocattoli nelle sue mani. E sono convinto che anche i tuoi piani di conquista del mondo siano un prodotto suo”.
Con una smorfia, Ömer mormorò:
“Oddio, ricominciano con le battute. Rispetto ai loro interminabili giochi di parole, i momenti in cui ho la testa completamente vuota sembrano molto più sensati…”.
“Te l’immagini che quei due sono dei personaggi noti?” rispose Nihat con lo stesso tono basso. Poi, unendosi alla risata soffocata di Ömer, disse: “Un poeta celebre e uno scrittore ancora più celebre, che dovrebbero fare prodigi con le parole…”.
Nel gruppo nessuno, oltre ai due autori, apriva bocca. Nihat si avvicinò lentamente a uno di loro e scambiarono qualche parola. L’uomo annuì. Nihat si voltò subito verso Ömer e disse: “È fatta… Per stasera siamo coperti”. Ömer fece un sospiro.
Vedendo che la notizia non lo aveva rallegrato poi tanto, Nihat gli domandò:
“Che succede? Non sei contento?”.
“Ti rendi conto di quanto siamo miserabili?”.
“Perché? Parli come uno che in vita sua non ha mai bevuto un rakı a sbafo!”.
“Per l’amor di Dio, zitto. Tutta la mia vita… tutta la nostra vita è uno scandalo…”.
“Perché mai, tu non saresti un monumento alla virtù?”.
“Non è questo… ma di certo non voglio andare avanti così. Voglio una vita completamente diversa, meno ridicola, più sensata. Forse è possibile ottenerla, se la si cerca. Solo che in me ho un demone che… mi fa fare sempre altro rispetto a ciò che voglio. È un’impresa vana cercare di sfuggire alle sue grinfie. Non solo io, tutti noi siamo giocattoli nelle sue mani. E sono convinto che anche i tuoi piani di conquista del mondo siano un prodotto suo”.
Esaurita la pazienza, Nihat lo interruppe:
“Smettila con queste conferenze mistiche, per l’amor del cielo. Io so qual è il tuo problema. Però se te lo dico ti arrabbi!”.
“Su, parla pure!”.
“Tu vuoi sposarti!”.
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Il demone in noi di Sabahattin Ali
© 2024 Carbonio Editore srl, Milano
Tutti i diritti riservati Traduzione dal turco di Nicola Verderame
Introduzione di Nicola Verderame