I passi nel bosco, il nuovo romanzo di Sandro Campani, inizia con un ritorno. Luchino è tornato a casa, c’è la sua macchina parcheggiata lì, come un segnale. Da questo ritorno e da questo personaggio prende le mosse il raccontare del libro, affidato alla voce di sei personaggi diversi. Tutti loro, in modo diverso e in tempi diversi, hanno avuto a che fare con Luchino, e nel corso del romanzo se ne conteranno addosso le ferite e le gioie, cercheranno risposte a misteri mai spiegati. Un romanzo corale, quindi, in cui i personaggi si alternano, prendendo la parola in prima persona, e in buona sostanza dando forma a un’assenza, quella di Luchino appunto, che è lì ma non si riesce a vederlo – e che è l’unico, tra tutti, la cui voce non si farà sentire.
L’occasione che li mette insieme è il taglio del bosco di Fausto, fratello di Luchino, morto in un incidente di moto anni prima. Il libro si divide in due parti, una che il taglio del bosco lo anticipa e l’altra che invece lo segue. Il lettore viene introdotto lentamente al racconto, così da non essere sopraffatto dalla moltitudine delle voci che parlano. Il paesaggio è quello solito dei libri di Campani, l’appennino tosco-emiliano, personaggio aggiunto e mai silenzioso, perché ricorrenti sono i suoni, gli odori, come un respiro di sottofondo che non abbandona mai la pagina.
Campani ha creato un’affascinante narrazione corale in cui ogni personaggio è determinato da un personaggio che non c’è. Che viene atteso, cercato, invocato, fatto oggetto di speculazioni, di invidie, amato e odiato in uguale misura – e alle volte i due sentimenti convivono all’interno dello stesso personaggio.
La prima voce è quella di Luisa, la persona che forse meglio di tutti ha capito Luchino. O meglio, ne ha capito la sostanza, la materia quasi di sogno, un essere che non può essere posseduto o capito fino in fondo. Che va preso, molto semplicemente, per quello che è. Luchino non va sperato, non va aspettato: è lui che arriva quando vuole, e va via allo stesso modo. A Luisa si alterna Francesco, che forse, nonostante tutto, un figlio come Luchino lo avrebbe voluto, al posto dei due che gli sono toccati in sorte: Daniele, detto Danielone, il ladruncolo, il fallito, ormai irrecuperabile; e poi Antonello, che è quello di successo, ma anche quello che tutti guardano con sospetto, e nella cui voce troveremo un odio con radici lontane, covato per anni.
A questi due narratori se ne aggiungono altri, via via che il racconto procede, altre voci – Oreste, Emilia, Antonello, Beniamino. A libro finito ci si troverà tra le mani un mosaico di accadimenti, opinioni, ricordi, che una volta ricomposto darà, più che tanti ritratti, una sola, sfuggente raffigurazione: quella di un personaggio che sconfina nel mito. C’è infatti qualcosa della leggenda nel ritratto di Luchino. Perfetto senza far nulla per esserlo, protetto dalla vita, sempre un passo avanti agli altri, anzi meglio, sempre un passo di lato: Luchino non è mai dove stanno gli altri, non corre sugli stessi binari, è un oggetto altro.
Ma di cosa parla poi davvero il libro? Mi viene da rispondere: della vita, molto semplicemente. Piccole storie di debiti, di invidie, tradimenti, di padri delusi e figli perduti. Campani è un romanziere onesto e generoso, al gusto dell’affabulazione unisce una cura della lingua e del ritmo narrativo che fanno della sua opera in generale uno degli esiti più alti della letteratura italiana degli ultimi anni. Il particolare talento di Sandro Campani è quello di dare alla narrazione il tono del parlato, del racconto orale. Ogni voce ha la sua caratteristica, i suoi tic. Certe volte si ha la sensazione di essere lì con loro, di stargli seduti di fianco e ascoltarli mentre ci raccontano la loro storia. Alla fine, usciremo da I passi nel bosco convinti anche noi di averlo conosciuto, Luchino, magari a sperare che questa volta sia venuto per restare. Oppure, se proprio andrà via di nuovo, a sperare che torni presto.
Edoardo Zambelli
Recensione al libro I passi nel bosco di Sandro Campani, Einaudi, 2020, pagg. 248, euro 19,50.