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SATISFICTION 333: Enrico Brizzi verso il romanzo d'avventura 2.0.

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Oltre 2100 chilometri percorsi a piedi dall’Alto Adige alla Sicilia, tre paia di scarpe consumate in poco più di tre mesi, in compagnia di amici e di una troupe che ha ripreso le fasi salienti del viaggio per produrre un documentario. In breve, questo è Italica 150, impresa fisica prima che letteraria di Enrico Brizzi, con Marcello Fini e Samuele Zamuner, pubblicata dalla casa editrice Pendragon di Bologna. Il viaggio era nato seguendo il motto “Voglio vedere dove comincia l’Italia, dove finisce, e tutto quello che c’è in mezzo”, e il libro che ne è venuto fuori è il racconto tappa per tappa di come è apparsa all’autore l’Italia lungo il cammino (nel testo anche interviste, tra gli altri, al meteorologo Luca Mercalli, al giornalista Claudio Sabelli Fioretti, a Don Andrea Gallo…).
(Forse) una forma 2.0 di vivere e scrivere l’avventura: camminare, osservare, incontrare, spiegare, conoscere…
Paolo Melissi
 
 
Italica 150 è una vera e propria impresa fisica. C’è un metodo che hai messo a punto per trasformarla in scrittura?
Il mio metodo è piuttosto semplice: fino a quando sono in viaggio cammino e basta; non penso affatto a come tradurre in scrittura quel che vivo. Del resto, va detto che determinati incontri si “autoimpongono” nella tua vita personale in maniera così inattesa, o esemplare, da farli risultare centrali anche nel sogno a occhi aperti – la scrittura, appunto – che seguirà il viaggio vero e proprio. In concreto, non scrivo in viaggio tranne quando sono costretto a inviare qualche articolo ai giornali, e prendo pochi appunti. Il lavoro comincia subito dopo il ritorno, quando l’esperienza ancora fresca trascolora attraverso la memoria, e va portato a termine in pochi mesi, prima che la materia pulsante si calcifichi in comune aneddoto.
Qual è stata la molla che ti ha spinto a percorrere 2191 km a piedi?
La curiosità. Mi ero stancato di vedere il mio Paese sempre e solo attraverso i finestrini dell’auto e quelli dei treni. Ed ero anche curioso, partendo dall’Alto Adige, di vedere se ce l’avremmo fatta o no, ad arrivare in Sicilia. So per esperienza che, di solito, ce la fai. Ma, una volta all’arrivo, il gioco cambia, e prende il nuovo nome di “E adesso scopri chi sei diventato”.
Possiamo considerare Italica 150 una versione 2.0 del romanzo d’avventura?
Penso che il viaggio in sé sia stato un’avventura, che il film Italica150. Viaggio a piedi dall’Alto Adige alla Sicilia racconta con la grammatica del cinema, e che il romanzo Gli Psicoatleti impiega come base per una narrazione più rabdomantica, meno documentaristica, sospesa fra XIX secolo e XXI secolo, tessuti tecnici ad asciugatura rapida e misteri senza tempo.
Ti nutri di letteratura che ha a che fare con il viaggio e il camminare o la eviti accuratamente?
La letteratura di viaggio ha sempre esercitato grande fascino su di me, sin dal primo incontro con Phileas Fogg e Passepartout. Potrei dire che la amo per sottogeneri: frequento testi di alpinisti, pionieri del ciclismo, avventurieri esotisti del XIX e XX secolo, agonisti dell’estremo, e molti altri autori che mi sarebbe piaciuto conoscere di persona, almeno per un tè.
Salgari e Verne: ne sei rimasto “vittima” o hai reciso ogni cordone?
Quando i vecchi Emilio e Jules mandano a rapirmi i loro Sandokan e Nemo, mi lascio volentieri prendere dalla “Sindrome di Stoccolma”.Credo che oggi, fatti salvi i grandi successi fantasy e vampireschi d’importazione, manchi una narrativa di qualità per i ragazzi fra i dieci e i quattordici anni.
Nel libro i materiali che seguono agli appunti di viaggio vero e proprio sono estremamente ampi e articolati: è un modo di muoversi anche questo?
Anche ballare è un modo di muoversi, e sinceramente in questo istante vorrei farlo con un gin tonic in mano, ascoltando “Thunder kiss ’65” dei White Zombie in un club semibuio affollato di “suicide girls”.
Che impatto hanno avuto su di te tre mesi trascorsi a camminare, senza un “luogo”, ma con un continuo cambiamento di scenari, rapporti..
Abbiamo provato ancora una volta la condizione dei nomadi, inermi, spaesati, costretti a domandare consiglio, acqua, approvazione. In certe aree rurali dell’interno, possono passare molti minuti, da quando entri in un bar e ordini un caffè, squadrato in silenzio da tutti gli avventori, a quando il gestore domanda “Ma siete italiani?”, e solo dopo la risposta affermativa, il chiacchiericcio degli avventori riprende come nulla fosse.
Sei uno scrittore “appartato” per motivi camminatori? Frequenti altri scrittori? Fai parte di una “scena” bolognese? Insomma, sopporti i tuoi “colleghi”?
Ho amici che scrivono, a vario livello e con diverse inclinazioni ed esiti. Ma non li ho conosciuti quasi mai per “occasioni di lavoro”, piuttosto al pub. E buona parte dei miei amici storici considera la mia attività di scrittore come conseguenza d’una debolezza di gioventù, in parte ancora avvolta nel mistero.
Che idea ti sei fatta della situazione letteraria italiana? Palude da attraversare al più presto o vedi ponti e guadi?
A vent’anni non l’avrei mai creduto, ma in Italia ci sono tanti bravi scrittori. E, ancora più stupefacente, svariate persone di talento anche nell’ “establishment” culturale.
Il vero problema è la mancanza di alternative, dovuta anche alla poca voglia della gente di documentarsi. Mi va benissimo che mia zia compri solo i libri consigliati dal Corriere o Repubblica, o che il signor Rossi entri in libreria domandando “qualcosa di carino”, il guaio è quanto è sottile in Italia la fascia degli informati, di quelli che si cercano un testo difficile da reperire con pervicacia, e che ancora credono all’editoria indipendente. Altri Paesi sono più inclini a questa commistione fra gusto medio e “proposte dal basso”; da noi, come in altri campi, il gusto medio vive solidamente separato dalle nuove tendenze, come a Sanremo, dove ci sono i Big e le Nuove proposte.
Che libri hai portato – se ne hai portati – con te durante il viaggio?
Per ragioni di spazio nello zaino (18 chili di peso a inizio viaggio, 6 all’arrivo a Capo Passero) ho dovuto privilegiare le indispensabili mappe rispetto ai volumi. In ogni caso, durante le tredici settimane da Nord a Sud si sono alternati come libri da viaggio Storia di Tonle di Mario Rigoni Stern, Libera nos a Malo di Luigi Meneghello, Il Maestro di Vigevano di Mastronardi, Cristo si è fermato a Eboli, e Il bell’Antonio.
Hai pubblicato con Pendragon. C racconti come sei approdato a questo editore?
Ci si arriva in pochi metri dalla suddetta piazza intitolata al profeta dell’electro, che campeggia sul piedistallo nell’atto di studiare una delle sue celebri rane sezionate. Dovete sapere che l’editore Antonio Bagnoli di Pendragon è un antica conoscenza di mia zia, ristoratrice: da studente, lavorava spesso come cameriere da lei e, una volta fattosi editore indipendente, mi è apparso un ottimo esempio di self-made-man. Scherzi a parte, siamo amici da parecchi anni, e ho già collaborato con lui verso il 2005-2006 per un volume fotografico dal titolo “Bologna dall’alto”. Qualcuno lo accusa di avere troppe idee, ma ha un pregio, ai miei occhi, incancellabile: l’ottimismo.
Leggi Satisfiction?
Poffarre, ho anche partecipato a un evento di Satisfiction a Bologna, in piazza Galvani! Non fate finta di niente! Fu lì che conobbi Serino!

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