Dove vai se un dramma non ce l’hai? Che ne sarebbe stato di Giovanni Pascoli senza la dolorosa e irrisolta morte del padre, quell’atroce delitto che il poeta rievocò in molte liriche tra cui X agosto, e che rimase impunito e archiviato come “commesso da ignoti”? Probabilmente della poetica del fanciullino non ne avremmo mai sentito parlare. E che ne sarebbe stato di Giacomo Leopardi e del suo pessimismo più che cosmico senza quello studio “matto e disperatissimo” a lume di candela nell’eccelsa biblioteca di casa sua, in piena solitudine e senza accettarsi troppo? E se Dante Alighieri non avesse mai incontrato Beatrice, sarebbe davvero riuscito a cantare il suo amore ideale e platonico ma più che mai intenso e sofferto per quella stupenda, eterea e bionda creatura?
Basta planare sul Novecento letterario per ricordarci poi di Luigi Pirandello e di quanto la pazzia della moglie, vissuta in prima persona e molto da vicino, ne abbia condizionato l’intera produzione letteraria e teatrale. Più di un’ispirazione, se nel II atto dell’Enrico IV , il dramma considerato – insieme a Sei personaggi in cerca d’autore – il capolavoro assoluto del premio Nobel agrigentino, rappresentato nel 1922 al Teatro Manzoni di Milano, leggiamo:
“Perché trovarsi davanti a un pazzo sapete che significa? Trovarsi davanti a uno che vi scrolla dalle fondamenta tutto quanto avete costruito in voi, attorno a voi, la logica, la logica di tutte le vostre costruzioni! Eh! Che volete? Costruiscono senza logica, beati loro, i pazzi! O con una loro logica che vola come una piuma! Volubili! Volubili! Oggi così e domani chi sa come! Voi vi tenete forte, ed essi non si tengono più. Volubili! Volubili! Voi dite: << questo non può essere!>> e per loro può essere tutto”.
Arriviamo ai nostri giorni. E a un grosso calibro: Stephen King. Un’infanzia come tante fino a quel dannato giorno del 1949 in cui il padre, a causa di problemi familiari, esce per una delle sue passeggiate ma non farà più ritorno. Un tragico evento destinato a segnare profondamente il carattere del futuro scrittore, ispirando molti dei suoi più celebri romanzi, col pregio straordinario di aver trasformato i normali conflitti di vita in catartici momenti di puro horror.
Adesso proviamo per un attimo a riavvolgere il nastro. E a porci una semplice domanda: e se ognuno di questi grandi della letteratura passata e presente si fosse inventato tutto? Se in realtà nella vita di ciascuno di loro non ci fosse mai stato nessun dramma familiare ma solo leccornie e giocattoli? Certo, assai difficile immaginarsi Leopardi come un figo da paura o Dante un playboy metrosexual.
Se così fosse, sarebbe stato tutto inesorabilmente inventato. E molto deludente. Perché inventarsi i turbamenti e travestirsi da giovane Werther per recitare tutto il tempo una parte non è proprio il massimo. Proviamo a immaginare anche solo per un attimo il sapore artefatto e posticcio delle opere di Cletto Arrighi, Emilio Praga, Camillo Boito & Co. se solo avessero finto di scapigliarsi. Così come il poetare scabroso di Baudelaire ne I fiori del male senza la morte del padre a soli 6 anni e quel rapporto di odio col patrigno, il generale Jacques Aupick rigido e freddo o senza aver frequentato i bassifondi parigini intrisi di fascino e disgusto e aver vissuto in prima persona certe esperienze. Di certo non sarebbero stati esattamente la stessa cosa.
Il dolore si respira sulla propria pelle, si mastica, in qualche maniera te lo senti addosso. Fai fatica a tirarlo fuori, ma quando ci riesci, t’investe come un uragano. Il dolore si vive, non s’inventa. E chi se lo inventa. prima o poi viene sbugiardato. In primis dal lettore, che della mancanza assoluta di autenticità se ne accorge fin dalle prime righe. Perché un racconto freddo e distaccato, dove tutto è studiato a tavolino ed è tecnicamente perfetto, se manca l’ingrediente fondamentale, il pathos, diventa la più crudele delle prese in giro. Nell’inventare una storia o nel raccontare se stessi, “sentire” ciò che si scrive è la chiave di volta per riuscire a trasmettere la carica elettrica di quelle pagine a chi legge. La letteratura è fiction, ma fino a un certo punto. L’autenticità, soprattutto e ancor di più in ciò che di inventato si racconta, è quell’aspirazione nobile irrinunciabile, l’anima eterna che darà vita infinita a un romanzo. Come a voler dire che “se per toglierti la maschera hai bisogno di indossarne un’altra, nessuno saprà mai quanto sarebbe stato meraviglioso conoscerti veramente”.
Elena Orlando