L’America: “In quello scambio di tutto ciò che abbiamo accumulato nelle nostre vite, l’unica cosa che non cediamo è il ricordo dell’infanzia, tutto il resto è un mare incerto dal quale di tanto in tanto emergiamo per respirare e vedere, sappiamo di sbagliare sia quando restiamo che quando partiamo. Yes, ci racconta mentre aspettiamo il pranzo, in California avevo una fattoria di polli, mucche, cavalli e un cane elettrico telecomandato”.
I sapori dell’infanzia: “La nonna non c’è più. Ora è mia madre che prepara un’ottima pasta al pomodoro ai miei figli che trascorrono qui tutta l’estate e mi convincono al telefono che non c’è cosa più buona. Ma che gli date da mangiare che qua si strafogano, mi domanda mia madre quando vado a prenderli. Non c’entra questo, fanno a gara i bambini per rispondere, è che non abbiamo mangiato mai, ma proprio mai, niente di più buono. Questa semplice spiegazione mi porta, in verità, a gongolare un po’ di più, ma non posso dire a mia mamma che la pasta della nonna, per quel che ricordo, aveva quel non so che in più…”
L’ultimo asino: “Questo è l’ultimo anno che lo teniamo, siamo gli unici a non aver ancora trasformato la stalla in un appartamento. Adesso ogni occasione è buona per sentirci rinfacciare che in estate non si possono tenere nello stesso cortile i somari e i turisti, ma è il nostro cortile e nessuno può farci niente”.
La barca per gli isolani: “L’esercizio dell’amore all’inizio non conosce regole né disciplina, impariamo a fare del mare e della barca i nostri migliori amici. Poi arriva la gondola e la giovinezza, all’improvviso diventiamo marinai e amanti e non sappiamo cosa ci riesca meglio. La barca entra in noi come un rasoio affilato e ogni ferita diventa all’istante solo una cicatrice invisibile che infonde sicurezza: allora impariamo di tutto e di più, non temiamo niente, siamo i migliori, nessuno può batterci”.
È in libreria Isola Storie di un filosofo-chef dal cuore dell’Adriatico di Senko Karuza (Bottega Errante Editore 2024, pp. 176. € 17,00 con traduzione di Ginevra Pugliese).
Senko Karuza, scrittore, poeta e intellettuale croato (ma anche filosofo, chef sopraffino, produttore di vini e lupo di mare) è nato a Spalato il 18 giugno 1957 e ha trascorso l’infanzia e la giovinezza sull’isola di Vis (Lissa).
L’Isola è un luogo affascinante, affollato d’estate e quasi deserto nelle altre stagioni, abitato solo da pochi residenti che coltivano la terra. Il mare circostante è povero e pochi traghetti collegano l’Isola alla terraferma, portando turisti in cerca di pace. Il “noi” narrante, rappresentante della comunità isolana, descrive la vita semplice e dura dei pescatori e contadini, la natura mediterranea e la nostalgia della civiltà urbana. I turisti, attratti dall’idea di una vita semplice e selvaggia, spesso scoprono che la realtà è più dura delle loro aspettative romantiche, tornando presto alla comodità della vita moderna. Questo crea un legame complesso tra l’Isola e chi la visita, fatta di attrazione e disillusione.
Un mosaico poetico che descrive l’umanità di un’isola, con i dettagli, i desideri e i bisogni quotidiani di un villaggio di anime circondate dal mare.
Carlo Tortarolo
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La mosca
Appoggiamo il bicchiere da cui abbiamo scolato le ultime gocce di bevanda dopo uno squisito pranzo estivo con pesce alla griglia e insalata, non tralasciamo di far uscire un sospiro di soddisfazione dal profondo del nostro corpo, alziamo lo sguardo verso il cielo o il mare, verso la pace pomeridiana, e ci prepariamo per la posizione orizzontale.
Sulla panca di legno o sul divano, che sono d’obbligo nella cucina estiva, a seconda se si è pranzato in cortile o in cantina. Ci sdraiamo, dunque, con l’intenzione di fare una piccola siesta, giusto il tempo che il cibo si depositi e compia il suo corso. Soddisfiamo il nostro corpo con più amore di quando ci sdraiamo per il riposo serale, le labbra mostrano anche nei più poveri un’espressione di beatitudine e benessere, d’altronde chi è mai riuscito con i soldi a comprare una felicità del genere?
Chiudiamo gli occhi e sprofondiamo nei dolci paesaggi del dormiveglia. Lei aspetta proprio questo momento. Prima la sentiamo scendere sulla mano nuda, ci scuotiamo, raccogliamo le forze per rialzarci e la scacciamo fuori o la uccidiamo con un canovaccio da cucina. Niente di più facile che uccidere una mosca. Non ci sono rimpianti, come ammazzare la noia. Facciamo solo un cenno con la mano per scacciare via i demoni, il primo tentativo è animato dall’irragionevole speranza che per un motivo sconosciuto lei smetterà proprio oggi di dare fastidio. Non apriamo neanche gli occhi da quanto siamo convinti che oggi non sarà come ieri. Per un po’ riusciamo a goderci la pace e ritorniamo nei beati paesaggi del dormiveglia, già sopraggiungono le immagini del sonno tanto desiderato per il pomeriggio e, proprio quando cominciamo ad abbandonarci, ecco che arriva lei dal suo nascondiglio segreto passeggiando sulla parte più sensibile del nostro corpo. Non è il naso, o la bocca o alcunché sulla testa, perché allora ci alzeremmo subito, e subito interromperemmo questo sfacciato attacco diretto, no, è il punto strategicamente più insignificante del nostro corpo, per cui possiamo ancora esitare. Di nuovo ci scuotiamo, ma è inutile. Non abbiamo fatto in tempo ad abbassare la mano o la gamba che lei è di nuovo lì, sullo stesso posto. Lanciamo un’imprecazione, ma è un’arma debole, è più una preparazione alla propria sconfitta. Adesso siamo seduti dritti sul divano, con gli occhi spalancati, completamente svegli e arrabbiati più che mai. Un nemico molto più grande sarebbe stato facile da sconfiggere. Lei è sul tavolo fuori portata di mano e sembra che ora stuzzichi qualcos’altro, una briciola di pane avanzata. Siamo sicuri che ormai abbia trovato un’occupazione e ci sdraiamo di nuovo. Ma eccola ancora sopra di noi, non capiamo perché. Decisi, ci alziamo lanciando un’imprecazione ancora più forte e andiamo a caccia. Scegliamo uno strofinaccio da cucina come arma migliore. Ma dove è sparita? Stiamo fermi in mezzo alla cantina e, come un cacciatore paziente, scrutiamo le cose su cui potrebbe essere, attiviamo i raggi X, niente. Questa volta il sospiro che ci lasciamo uscire è terribilmente diverso da quello di fine pasto. Osserviamo la porta e cerchiamo di ricordare a chi potremmo chiedere un pezzo di rete da pesca da mettere sulla porta. Già domani. O forse ieri?