La cultura è imparare la cultura della assenza: quella senza lettori, accenti, spazi, lettera, testamento. Ho come l’impressione che questo lo sia davvero.
Quanti ne ho urlati, quanti ne ho dichiarati, quanti ne ho provati, quanti ne ho passati.
Sulla mia pelle, che non ha copertina, che non ha codici a barre o prezzi.
Questa volta è la prima volta: che non scrivo ma detto ad un computer perché i tasti non riesco a capire dove siamo.
Qua non siamo nessuno, non siamo niente: e non per una mancanza di stima – anzi: capita a un letterato- (almeno cosi mi hanno chiesto recentemente di aggiornare questo termine in un importante “Dizionario dei termini Leopardiani”).
Lo scrivo spesso: oggi la letteratura è inutile, anzi: l’avete fatta diventare inutile. L’avete incollata alle vostre copertine ai vostri libri sempre nuovi sempre novità sempre candidati sempre bonificati..
.Come se un’anima avesse prezzo.
Ed è per questo che le vostre le nostre parole non valgono più nulla.
Scriviamo scrivete scrivono: ed intanto “C’e Posta per Te” è arrivato alla 23esima edizione. Perché quel che scriviamo – in articoli, recensioni, romanzi, libri- descrive la realtà, quella si, ma la realtà non è la Verità.
Io non so cosa sono: un artista un letterato un poeta un estensore di recensioni emotivi.
So quello che dovrebbe essere un artista: un uomo che ha talmente terrore del proprio talento da averne paura di farne uso.
Io non so se sono un letterato ma così la letteratura non vale niente, non porta niente, non da niente.
La letteratura è qualcosa che non è staccata dalla vita, non quella dei massimi sistemi ma quella di tutti i giorni: quella che ti fa piangere se stai male, ti terrorizza se giochi con la morte, quella vita che spesso bussa alla tua porta, quella che hai cercato, tanto, invano: e dietro scopri, come un bambino sempre la prima volta, che c’è un precipizio.
Può essere un amore mancato, un amore promesso, un amore sfiorato, un amore sognato.
Può essere tutto, anche una inezia: ma tu soffri e quel dolore ti mette o al riparo in una nave in bottiglia oppure in mare aperto dove l’orizzonte non è un porto ma è il viaggio: è per quel dolore straziante e al contempo così esaltante che ti trovi anche ad essere dimenticato, ad essere Odisseo, ad essere Nessuno.
Ma è in quel momento, da apparente naufrago, che scopri cosa è davvero la letteraria.
La letteratura è scoprire che alla fine ci voleva davvero soltanto una vita per essere un attimo.
E per letteratura non intendo quella che imita la tv: quella dei festival, quella delle passerelle di carta, dell’ andare in tivu come fossi un tele venditore. Io non so cosa sono: so che ogni tanto sparisco perché la letteratura non è un lavoro, non è una garza: è una ferita.
È attraversare una forza divoratrice, è attraversare spazi grigi e tutti i pericoli e tutti i vuoti possibili e pensieri così lontani da tutto da tutti da oltrepassare luoghi così estremi da ritrovare davvero Itaca.
Chiaramente quando parti per ritrovare la vera letteratura, quella che fa paura ai geni taciti del potere, hai un progetto e anche se chi ti vuole bene non capisce è necessario purtroppo: perché un artista è questo: aspettare, come odisseo, e dichiarato perso e sapere quasi sempre di avere il cuore ancorato al cane Argo. Lui ti aspetterà e insieme troverete, fa niente se da soli, senza Penelope, la tela.
Perché la letteratura che ti divora la vita e’come il ragno che fila la sua tela per prendere le mosche.
Lo fa ancora prima di sapere che esistono al mondo le mosche.