Il libro che stiamo per leggere mette in scena un nuovo modo-mondo di far funzionare il Sogno, e è suddiviso in 23 capitoli distribuiti in due sezioni: Nevrosi di guerra in tempo di pace, testo pubblicato dall’Editore Dedalo di Bari nel 1989 e qui rivisto e modificato dall’autore, e l’ “Appendice”, Continuazione e avanzamenti, che presenta testi, alcuni scritti insieme a Virginia Finzi Ghisi e pubblicati su riviste quali “Il Cefalopodo”, “Il piccolo Hans”, “Alfabeta”; sono presenti, inoltre, illustrazioni e rebus. Il lavoro di Sergio Finzi racconta la guerra, la relazione al godimento del padre, e i colori: il punto di giuntura tra la teoria e la pratica è segnato sia dal destino darwiniano dei cunei (wedges in inglese), W del nome Darwin e di quello della moglie e della madre – Wedgwood: la forma cuneo divenne così per Darwin veramente «forma della natura e del soggetto», sia dalla teoria del colore e della luce: l’aspetto che ora ci interessa sottolineare è l’accezione coloristica del termine gradation, che significa sfumatura di colore (sfumature sono anche dette in inglese hues o shades), accezione che è da ricollegarsi al modo in cui Darwin ebbe a concepire la sua rivoluzione scientifica, come invenzione di una «teoria della luce».
L’autore ripropone il famoso caso clinico studiato da Freud, (quello del piccolo Hans alle prese con la sua fobia e con il disegno che il piccolo paziente fece del Dazio), e in questa cornice ambienta il luogo della fobia di Darwin: entrambi coinvolti dalla cornice della finestra, al di là della quale il piccolo Hans scorge la barriera del Dazio e il piccolo Charles Darwin, sulle ginocchia della sorella Carolina che gli sta sbucciando un’arancia, vede passare velocemente una mucca ed egli si fa, sobbalzando, un brutto taglio di cui porta ancora la cicatrice. È un esempio tra tanti per dimostrare come nel libro la vicenda esistenziale del piccolo Charles Darwin informi di sé tutta la vicenda futura del ricercatore a bordo del Beagle alla volta delle Isole Galapagos. Studiando Darwin, scrive Sergio Finzi, mi sono accorto che nel flusso di Variazione, nella trasmutazione delle specie, qualcosa resta immutato, qualcosa accompagna Darwin dal principio alla fine, dai primi abbozzi dell’Origin all’ultimo libro sui lombrichi, qualcosa da cui l’autore si ritrae, come provano i passi da lui soppressi dalle prime edizioni dell’Origin, e che d’altronde continuamente ritrova, riproduce.
Tutta l’opera di Darwin scaturisce, come direbbe Lacan da una «copulazione di significanti».
Sergio Finzi ci fa scoprire, come ha già fatto nel suo altro studio “Le Giunture del Sogno”, il concatenarsi di natura, linguaggio, cultura e colore. Intense e stupende le pagine dedicate al disporsi concentrico dei colori dell’ocello sulle piume del pavone, quasi fosse un’impronta digitale, e illuminante è il legame che l’autore ci fa intravedere tra colore e strutture dell’inconscio. I colori, infatti, da un certo punto in poi della lettura del sogno, diventano i protagonisti, i significanti padroni. Il trauma di guerra viene riletto alla luce dei colori: mi viene in mente la festa indiana dei colori: la trascolorazione di tutti i colori nella pura intensità della luce, è il trauma: l’arco traumatico, scrive Finzi, si propaga nell’Es, il trauma è un concerto per cranio e colori, il passaggio, il transito, avviene dal pre-linguistico, al colore: il passaggio avvenuto è dunque da l’Inc, di parola, all’Es, dei colori. Da un’interpretazione che si ferma alla scoperta del desiderio sessuale, all’apparizione di un sistema più complesso, incrociato avevamo detto, che nell’apparizione dell’analista sposta l’accento dall’interpretazione al transfert.
Presenza indiscutibile, oltre al colore e alle sue tonalità, è quella del padre, o meglio il passaggio di eredità dal progenitore al figlio, che appunto sulla pelle degli animali si disegna in strisce di zebra, e macchie di leopardo e che Darwin interpreta come attestazioni della progenitorialità, e nel sogno degli umani diventa questo o quel colore e rievocano la traccia del godimento del padre, il ripiegarsi del padre sul Soggetto. Le due strutture portanti dell’edificio freudiano, l’Inconscio e l’Es, vengono, per così dire, ridipinte. In questo senso, la tecnica psicoanalitica assume nuove… coloriture: il transfert è visto come supporto del sogno sognante, funzione fisiognomica che affida all’angoscia del trauma la forma di un pensiero, una protesi del sogno che diventa pensiero parlante all’analista. Il rapporto con il padre, e il suo ricordo, sono invertiti: non ricordando il padre morto ma essendo dal padre vivo ricordati in uno stato simile, per freddo, fame e privazioni, alla morte, si nutre la nevrosi di guerra fissatasi nella contemplazione dell’albero in cui l’essere umano si muta mettendo radici e una fronda. La scrittura di Finzi riesce a svelare l’oscurità della psiche e i meccanismi che legano paziente e analista, attraverso un linguaggio che non disdegna la metafora poetica.
Il padre e il colore sono certamente due protagonisti assoluti che però si muovono sullo sfondo di un altro importante significante, ‘sognificante’, per usare un gioco di parole, e il termine in questione che ci aiuta a comprendere ulteriormente il mondo di questo libro è “silhouette”: la fronte unisce, il profilo divide (la silhouette precede di un attimo la fine dell’armonia dell’adolescente con i genitori; nembo e nimbo luminoso e oscuro, la silhouette è un momento estatico in cui avviene un Rapimento, comprende sempre tre figure con una che scompare) e a queste operazioni è interessato l’Es in cui vanno a sedimentarsi tutti gli amori, i trascorsi amorosi di molti altri, che modellano la maschera dell’Io. L’Es è un cadavere squisito: “silhouette”: parola elegante, snella; significante che cattura l’immaginazione e si lascia accarezzare. La silhouette è anche il bilico tra la salute e follia, tra malattia e salvezza. La cornice di un quadro, il frontale degli edifici e degli elementi naturali, ma anche il loro skyline. Un legame inestricabile tra la gentilezza ambigua della silhouette e l’altrettanto tragica e affascinante ambivalenza dell’inconscio. Si nota come la descrizione della silhouette si rifaccia a termini attinenti la natura (nembo e nimbo) e anche a quel gioco, il cadavere squisito, di origine surrealista. L’autore, come sua abitudine, spazia tra vari ambiti collegandoli in una preziosa collana che sincretizza natura, arte, scienza, poesia, ecc.
Un saggio di confine, questo di Finzi, caratterizzato da una scrittura presa nella precisione scientifica del profondo che oscilla tra la sapienza iconografica della critica artistica e letteraria e il memoir, la narrazione poetica e l’immagine. Saggio che si mantiene sempre sul limite, sulla barriera, proprio, guarda caso, quella barriera da superare, barriera molle che sta a rappresentare tutte le qualità, e i colori. Barriera corallina, che separa e unisce Antropologia, Psicoanalisi e Filosofia del Linguaggio, oltre che Geometria e Teoria del gioco, un Istmo che è anche uno Stretto, una barriera che è anche passaggio, e dunque limite tra il significato delle parole e della loro traduzione dalla lingua di Darwin: il dramma di Darwin, al ritorno dal viaggio, sarà quello di sapersi comunque solo a porre, a inventare, a mantenere su quella Linea una Barriera. La figura dell’Eremita, da Cleride, sarà alla fine quella in cui riconoscersi. La linea del profilo che è pure dell’uomo, del naso, del seno e del fallo, il contorno della bellezza che Lacan affida alla poesia e alla creazione artistica nel suo bordeggiare il vuoto del godimento mortifero come limite che ci preserva dal salto mortale, deflagrazione psicotica, suicidio.
Dallo spazio del corpo, al viaggio di Darwin, attraverso la cupola di Brunelleschi, lo spazio dipinto e quello del rebus, lo spazio della pagina, la gabbia, fino al mutamento della concezione stessa della teoria: cambia la teoria dello spazio. Lo spazio non è più là ma si costituisce con i suoi oggetti. Come se lo scienziato si collocasse sul limitare di un universo in espansione.
Fin dal “Mistero di Mister Meister – Scena e teoria della perversione”, saggio precedente da cui prende avvio “Le Nevrosi di guerra di tempo di pace”, lo spazio, come rizoma che si allarga, come rivolo vivificante di acqua tra commessure desertiche; lo spazio, sia quello della stanza, della barca, del passo e dell’impero, del giardino e della tinozza, diventa il luogo, quel luogo della fobia che è la prima rappresentazione esterna dell’apparato psichico. Ogni spazio è porzione psichica.
Ogni pagina di questo saggio è uno spalancarsi, per chi abbia a cuore la propria psiche e la psicoanalisi, degli orizzonti conoscitivi, un vero e proprio viaggio oltre quelle colonne d’Ercole del sapere che, vuoi per pavidità, vuoi per abitudine, ci costringiamo a non superare. E invece superare il limite della conoscenza è, in questo caso, l’unico modo per preservarne l’autentica profondità.
studio “Le Giunture del Sogno”, il concatenarsi di natura, linguaggio, cultura e colore. Intense e stupende le pagine dedicate al disporsi concentrico dei colori dell’ocello sulle piume del pavone, quasi fosse un’impronta digitale, e illuminante è il legame che l’autore ci fa intravedere tra colore e strutture dell’inconscio. I colori, infatti, da un certo punto in poi della lettura del sogno, diventano i protagonisti, i significanti padroni. Il trauma di guerra viene riletto alla luce dei colori: mi viene in mente la festa indiana dei colori: la trascolorazione di tutti i colori nella pura intensità della luce, è il trauma: l’arco traumatico, scrive Finzi, si propaga nell’Es, il trauma è un concerto per cranio e colori, il passaggio, il transito, avviene dal pre-linguistico, al colore: il passaggio avvenuto è dunque da l’Inc, di parola, all’Es, dei colori. Da un’interpretazione che si ferma alla scoperta del desiderio sessuale, all’apparizione di un sistema più complesso, incrociato avevamo detto, che nell’apparizione dell’analista sposta l’accento dall’interpretazione al transfert.
Presenza indiscutibile, oltre al colore e alle sue tonalità, è quella del padre, o meglio il passaggio di eredità dal progenitore al figlio, che appunto sulla pelle degli animali si disegna in strisce di zebra, e macchie di leopardo e che Darwin interpreta come attestazioni della progenitorialità, e nel sogno degli umani diventa questo o quel colore e rievocano la traccia del godimento del padre, il ripiegarsi del padre sul Soggetto. Le due strutture portanti dell’edificio freudiano, l’Inconscio e l’Es, vengono, per così dire, ridipinte. In questo senso, la tecnica psicoanalitica assume nuove… coloriture: il transfert è visto come supporto del sogno sognante, funzione fisiognomica che affida all’angoscia del trauma la forma di un pensiero, una protesi del sogno che diventa pensiero parlante all’analista. Il rapporto con il padre, e il suo ricordo, sono invertiti: non ricordando il padre morto ma essendo dal padre vivo ricordati in uno stato simile, per freddo, fame e privazioni, alla morte, si nutre la nevrosi di guerra fissatasi nella contemplazione dell’albero in cui l’essere umano si muta mettendo radici e una fronda. La scrittura di Finzi riesce a svelare l’oscurità della psiche e i meccanismi che legano paziente e analista, attraverso un linguaggio che non disdegna la metafora poetica.
Il padre e il colore sono certamente due protagonisti assoluti che però si muovono sullo sfondo di un altro importante significante, ‘sognificante’, per usare un gioco di parole, e il termine in questione che ci aiuta a comprendere ulteriormente il mondo di questo libro è “silhouette”: la fronte unisce, il profilo divide (la silhouette precede di un attimo la fine dell’armonia dell’adolescente con i genitori; nembo e nimbo luminoso e oscuro, la silhouette è un momento estatico in cui avviene un Rapimento, comprende sempre tre figure con una che scompare) e a queste operazioni è interessato l’Es in cui vanno a sedimentarsi tutti gli amori, i trascorsi amorosi di molti altri, che modellano la maschera dell’Io. L’Es è un cadavere squisito: “silhouette”: parola elegante, snella; significante che cattura l’immaginazione e si lascia accarezzare. La silhouette è anche il bilico tra la salute e follia, tra malattia e salvezza. La cornice di un quadro, il frontale degli edifici e degli elementi naturali, ma anche il loro skyline. Un legame inestricabile tra la gentilezza ambigua della silhouette e l’altrettanto tragica e affascinante ambivalenza dell’inconscio. Si nota come la descrizione della silhouette si rifaccia a termini attinenti la natura (nembo e nimbo) e anche a quel gioco, il cadavere squisito, di origine surrealista. L’autore, come sua abitudine, spazia tra vari ambiti collegandoli in una preziosa collana che sincretizza natura, arte, scienza, poesia, ecc.
Un saggio di confine, questo di Finzi, caratterizzato da una scrittura presa nella precisione scientifica del profondo che oscilla tra la sapienza iconografica della critica artistica e letteraria e il memoir, la narrazione poetica e l’immagine. Saggio che si mantiene sempre sul limite, sulla barriera, proprio, guarda caso, quella barriera da superare, barriera molle che sta a rappresentare tutte le qualità, e i colori. Barriera corallina, che separa e unisce Antropologia, Psicoanalisi e Filosofia del Linguaggio, oltre che Geometria e Teoria del gioco, un Istmo che è anche uno Stretto, una barriera che è anche passaggio, e dunque limite tra il significato delle parole e della loro traduzione dalla lingua di Darwin: il dramma di Darwin, al ritorno dal viaggio, sarà quello di sapersi comunque solo a porre, a inventare, a mantenere su quella Linea una Barriera. La figura dell’Eremita, da Cleride, sarà alla fine quella in cui riconoscersi. La linea del profilo che è pure dell’uomo, del naso, del seno e del fallo, il contorno della bellezza che Lacan affida alla poesia e alla creazione artistica nel suo bordeggiare il vuoto del godimento mortifero come limite che ci preserva dal salto mortale, deflagrazione psicotica, suicidio.
Dallo spazio del corpo, al viaggio di Darwin, attraverso la cupola di Brunelleschi, lo spazio dipinto e quello del rebus, lo spazio della pagina, la gabbia, fino al mutamento della concezione stessa della teoria: cambia la teoria dello spazio. Lo spazio non è più là ma si costituisce con i suoi oggetti. Come se lo scienziato si collocasse sul limitare di un universo in espansione.
Fin dal “Mistero di Mister Meister – Scena e teoria della perversione”, saggio precedente da cui prende avvio “Le Nevrosi di guerra di tempo di pace”, lo spazio, come rizoma che si allarga, come rivolo vivificante di acqua tra commessure desertiche; lo spazio, sia quello della stanza, della barca, del passo e dell’impero, del giardino e della tinozza, diventa il luogo, quel luogo della fobia che è la prima rappresentazione esterna dell’apparato psichico. Ogni spazio è porzione psichica.
Ogni pagina di questo saggio è uno spalancarsi, per chi abbia a cuore la propria psiche e la psicoanalisi, degli orizzonti conoscitivi, un vero e proprio viaggio oltre quelle colonne d’Ercole del sapere che, vuoi per pavidità, vuoi per abitudine, ci costringiamo a non superare. E invece superare il limite della conoscenza è, in questo caso, l’unico modo per preservarne l’autentica profondità.