Quello della disuguaglianza è un tema a cui la filosofia non può sottrarsi. E con filosofia intendo il pensiero critico di ognuno, che se realmente utilizzato quotidianamente renderebbe il pianeta un posto meno lugubre. Se doveste rispondere alla domanda “Che cos’è l’uguaglianza?” cosa rispondereste? Ci avete mai pensato? Forse no. Ci basta – per chi la conosce – l’articolo 3 della Costituzione italiana che recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Bene. Questa però non è un’uguaglianza sostanziale, solo formale, perché non basta avere – sulla carta – pari dignità sociale per vivere decentemente. In Italia, come nel resto del mondo (e direi molto peggio in gran parte del resto del mondo) l’uguaglianza sostanziale non esiste. Questo perché viviamo in un sistema capitalistico, di per sé creatore di disuguaglianza (che cos’è l’accumulo di capitale se non una sottrazione di ricchezza altrui?) in cui, anche per quanto riguarda il “mercato” del lavoro, vige l’indomabile regola della domanda e dell’offerta. È chiaro che se la primaria condizione per vivere (bene) è il denaro (ricchezza, proprietà) – sempre secondo il sistema valoriale capitalistico – stando così le cose, non si potrà mai e poi mai garantire una reale uguaglianza fra le persone. Questo nonostante la seconda parte dello stesso articolo 3 della Costituzione sostenga che “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” È certo che la Repubblica faccia il possibile per restare fedele agli ideali dei padri costituenti, ma è semplicemente impossibile. Come può essere moralmente giustificabile un “pieno sviluppo della persona umana” realizzato attraverso l’ostentazione di yacht, ville e automobili a fronte di un’enorme fetta della popolazione che non riesce mai a far quadrare i conti? Esiste una incompatibilità di fondo tra il sistema che abbiamo creato e gli ideali di cui ci riempiamo la bocca. E d’altronde, come dicevo, lo stesso capitalismo si è sviluppato nel tempo sulla scorta dell’idea di una nostra naturale diversità, e quindi disuguaglianza, avvalorando un certo darwinismo sociale che divide le persone in più o meno adatte alla vita sociale, economica, lavorativa, politica. Ciò giustificherebbe l’estrema ricchezza come l’estrema povertà, che si trasformano in men che non si dica in merito e demerito. Detto questo, credo sia utile, affinché ognuno possa farsi un’idea delle condizioni in cui versa il pianeta, e non solo l’Italia, e quindi poter sguinzagliare il proprio spirito critico, avere contezza dei dati oggettivi. Le sensazioni non sempre coincidono con la realtà. Uno strumento estremamente utile in tal senso, poiché racchiude in poche pagine un quadro globale della situazione, è il Piccolo atlante delle disuguaglianze (Edizioni Clichy, 2020). Leggendolo si scopriranno tante cose, alcune incredibili, tipo che in questo momento ventisei persone possiedono la stessa ricchezza di metà dell’umanità, tre miliardi e mezzo di persone, le quali vivono con 5,5 dollari al giorno a testa; e, per smentire Adam Smith, non è vero che accumulare grandi ricchezze ha benefici a ricaduta su tutti, basti considerare che oggi i più ricchi hanno la possibilità di pagare pochissime tasse, dato che ogni anno circa 7.600 miliardi di dollari vengono spostati nei paradisi fiscali. Oppure si scoprirà che a Cuba ci sono 82,2 medici operativi ogni 10.000 abitanti e in Somalia solo lo 0,2; o che in Africa appartengono ai bianchi, che sono solo l’8% della popolazione, il 72% delle terre, mentre i neri, che sono l’81%, ne posseggono solo il 4%. In Europa, poi, e paradossalmente anche grazie alle enormi iniezioni di fondi pubblici, sempre meno persone possono accaparrarsi ed accentrare le proprietà terriere. E così via. Perché non dotare ogni classe di scuola secondaria di questo strumento di conoscenza? Conoscere e magari cercare di contrastare, ognuno nel suo piccolo, le disuguaglianze non è senso civico? Vero, peccato che nell’ora di educazione civica delle scuole medie la mia professoressa preferisse continuare a insegnarci l’altra sua materia (di cui ho totalmente dimenticato anche il nome). Infine, che fare? Una rivoluzione comunista? No, basterebbe implementare le azioni di redistribuzione delle ricchezze, tanto per cominciare. Non eliminare la disuguaglianza – finché vivremo in una società liberale e liberista questo non sarà possibile – ma perlomeno ridurne la forbice, affinché vi siano sempre meno casi di denutrizione, di mortalità (soprattutto infantile) legata alla mancanza di igiene, di inutile spreco di cibo e acqua, di discriminazioni per via del genere, del colore della pelle, dell’orientamento sessuale. Ma questo solo se effettivamente l’uguaglianza sostanziale può essere considerata, nel mondo che vorremmo, un valore e un obiettivo da perseguire. E di questo non ne sono tanto sicuro.
Stefano Scrima