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Sibilla Aleramo. Una Donna

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Una donna è un libro che ha attraversato tutto il Novecento ed è arrivato fino a noi riuscendo ancora a dire qualcosa, anzi molto più di qualcosa.

È stato uno dei primi libri femministi apparsi in Italia e ancora oggi viene ristampato a più di un secolo di distanza, diventando una lettura imprescindibile.

La stessa autrice, in una lettera ad Arnoldo Mondadori del 5 agosto 1956, dice: “Perché i giovani si stupiscono ch’io, mezzo secolo fa, scrivessi per i giovani d’oggi e per quelli che vivranno nel secolo venturo. […] Io ho dinanzi a me il futuro, anche se voi non lo credete.”

Il libro è diviso in tre parti. La prima racconta del passaggio di Sibilla dall’infanzia all’adolescenza. Un’infanzia libera, gioiosa, con al centro l’amore per il padre al quale rivolge un’adorazione sconfinata. Ammaliata dal carattere indipendente del padre, così affine al suo, ha invece con la madre sottomessa un rapporto distante.

Un’infanzia che, però, termina con uno strappo lancinante, lo stupro e il successivo matrimonio con un uomo che sempre più si mostrerà indegno e inetto, il tentato suicidio della madre, l’allontanamento definitivo dal padre.

Si susseguono una serie di eventi: l’aborto, un’altra gravidanza e il parto, la depressione e un sogno d’amore con un forestiero. I due si scambiano missive per qualche tempo e, quando vengono intercettate, la colpa ricade interamente su di lei per aver prodotto uno scandalo nel paese, scatenando a sua volta la violenza del marito. La donna si rende conto di avere come unico affetto suo figlio.

La seconda parte si apre con la narrazione del cambiamento di Sibilla. Così lontana durante l’infanzia dalla madre, ormai rinchiusa in un manicomio per demenza, ne diventa l’esatta copia trincerandosi in una passività che sembrava a lei così estranea. Ma l’inizio di un nuovo lavoro con una rivista femminile spinge sempre di più Sibilla a costruire una propria identità e a sperimentare il desiderio di indipendenza.

La terza parte, finale dell’autobiografia dell’autrice, la trova sola: la sorella sposata va in Veneto, il padre va via con i figli più piccoli e Sibilla Aleramo comincia a invocare la liberazione, una qualsiasi, sia anche quella della morte. La morte dei romantici che l’accompagna in vita e che, pure, combatte per arrivare alla decisione finale, “la pace con me stessa”.

In questo romanzo che, come dicevamo, è profondamente autobiografico, ci troviamo a cavallo tra due secoli. In Italia sono in atto movimenti culturali e politici irrequieti che fanno da sfondo al racconto: la colonizzazione industriale dal settentrione al meridione (il padre che da Milano si sposta per dirigere una fabbrica) o i primi periodici femministi, nei quali non manca l’attenzione alla mondanità (come quello per il quale lavora l’autrice), per fare qualche esempio.

Gli eventi che si susseguono gettano una luce sinistra sulla condizione della donna, ci conducono in una profonda autocoscienza (Amare e sacrificarsi e soccombere! Questo il destino suo e forse di tutte le donne? (…) tutto era vano, la gioia e il dolore, lo sforzo e la ribellione: unica nobiltà la rassegnazione”) e alla riflessione sulla maternità: l’attaccamento immediato a suo figlio, tanto da essere per Aleramo “il mio solo compagno”, e che al tempo stesso non le permette di realizzare in pieno sé stessa (“Perché nella maternità adoriamo il sacrifizio?”).

La distanza e il senso di fastidio che l’autrice prova nel corso della sua infanzia, nei confronti della madre, diventa invece motivo di comprensione con il passare del tempo. Al contrario, il padre che tanto adorava si manifesta sotto un’altra luce, la stessa sotto la quale si trova suo marito.

Nella suocera, nella domestica, in qualche modo anche nella cognata invidiosa e malevola, rintraccia gli stessi elementi che hanno trasfigurato sé stessa, in quanto persona prima di essere moglie e madre, impedendole di godere di “dignità” e costringendola alla passività. Se tenta di ribellarsi, la pena è la violenza. La “mostruosa catena” che è la maternità, trasmessa da madre a figlia, le fa scoprire di essere una donna divisa.

Sibilla soffre perché deve scegliere tra sé stessa e suo figlio. Una scelta che ancora oggi le donne devono fronteggiare, senza poter evitare il senso di colpa.

Alla fine, una scelta va fatta, e la divisione si estingue nell’abbandono non del figlio, come in effetti avviene, ma di una parte di sé stessa.

Rina Anastasio

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Sibilla Aleramo, Una Donna, Feltrinelli, pp. 208, euro 10,00.

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