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Silvia Lumaca intervista il regista Saulius Baradinskas

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Alla sezione Orizzonti del Festival di Venezia erano presenti, con due World Première, due giovani registi lituani: Laurynas Bareiša che con il suo lungometraggio di esordio Piligrimai (Pilgrims) ha vinto il premio come Miglior Film, e Saulius Barandinskas, che nella sezione Orizzonti Cortometraggi ha presentato Techno Mama: storia di un ragazzo che nella Lituania post-sovietica in bilico con l’entrata nell’Eurozona cerca di affrontare i suoi fantasmi – personali, famigliari e sociali: un padre assente e la madre che lo costringe a lavorare con lei ma trattiene la busta paga (per future evenienze), il sogno di raggiungere Berlino, dove – forse – vive suo padre, e dove sicuramente spera di veder esaurita la durezza del panorama post-sovietico. 

Oltre alla profonda umanità del racconto, quello che colpisce nel film di Barandinskas è la capacità di combinare un modo classico di rappresentare idee, sentimenti e concetti con uno stile audiovisivo estremo, a tratti anarchico la cui risultante è un significativo estetismo.

Barandinskas, autodidatta, ha iniziato giovanissimo a girare documentari e si è fatto notare per dei progetti indipendenti Youtube che gli hanno aperto il mondo della regia di videoclip: ha girato i suoi primi festival internazionali come regista di video musicali, e ora è approdato al cinema. Techno Mama è già stato accettato in più di venti festival internazionali, e sta per sbarcare a Londra, al BFI London Film Festival.

Lo incontro in una pausa durante la Mostra.

Sei venuto solo?

No! Sono qui con sette amici, la mia fidanzata, mia madre, e arriverà ancora più gente!

Hai già fatto in tempo a vedere dei film? Che cosa ti interessa vedere?

Finora ho visto solo un film, sto cercando di “preservarmi”… ho avuto un po’ di problemi con il sistema di prenotazione ma domani sarò ancora al Lido e vedrò altre cose.

Vorrei vedere soprattutto i cortometraggi, perché per me ora è molto importante capirli e capire su che cosa stanno lavorando gli altri registi, anche perché molti li conosco personalmente. È importante per me approfondire il linguaggio dei cortometraggi – sono molto focalizzato su di essi. Penso che siano la piattaforma migliore per costruire la propria figura di regista; così ho girato un primo corto Golden Minutes in un solo piano sequenza, con Billy Boyd — che interpretava Pipino nel Signore degli Anelli di Peter Jackson — girato in pellicola che è andato molto bene, e grazie a quel film sono stato notato da Lights On, un distributore italiano e abbiamo iniziato a lavorare insieme ed è grazie a loro e a tutto il mio team che adesso posso avere Techno Mama qui a Venezia. 

Come regista mi sembra che i cortometraggi siano il modo migliore per crescere; ho già in mente un lungo, ma prima di approcciarmici vorrei girare altri corti e iniziare a costruire la mia figura di regista.

E il tuo stile…

Sì, certo, anche il mio stile, sono felice che tu l’abbia notato, per me è importantissimo avere uno stile, perché sono un architetto, ho una laurea in architettura, e sono molto bravo nella composizione delle immagini, nel comprendere i colori: le gradazioni e le combinazioni, e quando ho scritto la sceneggiatura ho preparato uno storyboard con dei collage per ogni scena, ed è da lì – dalla composizione dei colori nello storyboard – che ho sviluppato uno stile per il film. Perché penso che i colori forniscano un ambiente sicuro per parlare di questioni anche molto forti: non mi piace il realismo, mi piacciono i “pink glasses” ma di solito questi pink glasses ci cadono di dosso ed è per questo che voglio fare un cinema “vivido” che parli di questioni forti e complesse, che coinvolgano e facciano anche soffrire. Penso che il cinema sia anche a proposito di questo: come regista sei un pittore, ed è qualcosa che amo e sto esplorando.

In questi colori che usi si percepisce una simbologia…

Sì, è vero, il rosso è il colore delle nuove generazioni, impersonate da Nikita, il teenager protagonista del film: Nikita — interpretato dall’esordiente e talentuoso Motjejus Aškelovičius — vuole andare a Berlino, è naif, indipendente, vede la Lituania come un paese bellissimo e libero, libero anche dalle preconcezioni, perché c’è un sottotesto LGBTQ+ nel film, mentre il blu sta per la madre; blu, che è un colore molto freddo, molto rigido, perché la Lituania è un paese post-sovietico e queste in blu sono le generazioni post-sovietiche, le generazioni che non hanno “avuto amore” e che non sanno come amare, ed è qui che nasce il conflitto, perché anche la madre — interpretata dall’altrettanto brava Neringa Varnelytė — è un personaggio bello e positivo, nel film vuole prendersi cura di tutta la famiglia, solo che vuole farlo a suo modo, e il suo modo è quello di una persona che non conosce il linguaggio dell’amore. Non è una cattiva madre, solo non sa come essere madre: madre e figlio parlano due lingue differenti per quanto riguarda l’amore. Lei non vuole che Nikita se ne vada perché vorrebbe che aiutasse il resto della famiglia, visto che è il figlio maggiore. 

C’è anche una terza figura, che è quella del padre, ma non è mai fisicamente presente per Nikita. 

Sì, il padre non c’è, è su Skype, è un’altra questione controversa di scontro generazionale: in Lituania abbiamo – o almeno abbiamo avuto – figure paterne molto conservatrici, un sistema patriarcale che lasciava alle donne di occuparsi della famiglia. Anch’io ho vissuto questo archetipo nella mia famiglia, e in effetti devo dirti che Techno Mama è all’85% o magari anche al 90% autobiografico, non ho problemi a dirlo, anche se trasposto in un linguaggio cinematografico. Ora la mia famiglia è cambiata…

Dicevi prima infatti che sei qui a Venezia con tua madre.

Sì, lei è la Techno Mama originale!

Ma quanto al padre, è una figura che serve da sprone a Nikita però è assente, e se il padre è assente, è il figlio che deve diventare padre. E questo genera il conflitto con la madre.

La figura del padre è quella che dà la validazione a Nikita per accettare se stesso (e anche la sua omosessualità).

L’obiettivo del film è proprio mostrare questi legami, e questi conflitti, è un film sull’amore, e sulla speranza, ma amore e speranza feriti che hanno un prezzo alto. È sul tagliare il cordone ombelicale con la madre, e liberarsi e diventare adulti, pur con un grande prezzo emotivo.

In Lituania abbiamo un grosso problema di violenza domestica e volevo indagare questo problema: perché tanti figli non siano amati, è qualcosa che mi fa soffrire. La vita è una lotteria, non puoi scegliere i tuoi genitori, e per me è duro vedere dei figli, dei ragazzi che non ricevono amore, ho avuto anch’io questo problema, vengo da una famiglia disfunzionale, ma sono andato in psicoterapia, ho affrontato la cosa, e questo film è per me ma anche per tutti gli altri figli come me che hanno sofferto i miei stessi problemi. 

E dietro alle problematiche intime, c’è il contesto storico-sociale in cui è ambientato il film.

Sì… quando ero piccolo, per fortuna, siamo diventati indipendenti dall’Unione Sovietica, ma nessuno sapeva come affrontare la cosa, è stata un’esperienza caotica e il film serve sia per raccontare come l’ho vissuta che per dare speranza. Tutto quello che accade nel film mi è successo e questo mi dà forza e mi libera.

Come regista, volevo restituire a me e a tutti gli altri bambini che adesso sono in Lituania l’amore che non ho avuto.

Nonostante questi temi forti che emergono molto chiaramente, nel film mantieni sempre uno sguardo delicato. Un elemento che mi sembra aiutare a mantenere questa delicatezza è la musica, che è molto presente ed è sua volta simbologicamente forte (anche la musica ha i pink glasses..) ma serve comunque da tappeto positivo e non negativo.

Nikita vorrebbe andare a vivere a Berlino, vorrebbe andare al Berghain Club e ascolta della techno a tutto volume che coinvolge molto lo spettatore; come hai costruito l’elemento musicale del film?

Sì, hai ragione, la musica deve dare sensazioni positive. Per spiegarti meglio posso parlarti dell’epoca in cui è ambientato il film: siamo nel 2007 perché in quell’anno la Lituania è entrata nella Nato e nell’Unione Europea, e tutti quelli delle vecchie generazioni erano pessimisti e pensavano che per via dell’euro ci sarebbe stata una recessione perché tutto sarebbe diventato più caro, mentre le nuove generazioni pensavano che quella fosse la porta per il mondo e volevano entrare in questo mondo che è quel che è successo; e con la musica volevo cercare di dare un sottofondo a questa speranza. Il pezzo finale, che in lituano si intitola “L’amore non sarà mai troppo per me” – Foje, Meilės nebus per daug” – simboleggia tutto quel periodo e racchiude la colonna sonora.

In altri film che ho visto qui a Venezia mi è sembrato spesso che il suono e la colonna sonora usassero il resto invece del contrario. Nel tuo film invece ho trovato un’ottima compenetrazione tra tutti gli elementi: la musica non abusa mai delle immagini, o della storia, ma è sempre perfettamente centrata, anche quando viene usata in modo estremo – come capita anche nel trailer – non perde mai il suo significato. Per questo volevo chiederti se, in un certo modo, pensi di essere riuscito a costruire il film attorno a essa.

È un’ottima domanda. La musica è la mia vita perché sono un regista di video musicali, e ho ottenuto i miei primi riconoscimenti come regista di videoclip. Per Techno Mama ho avuto il privilegio di lavorare con un compositore di talento come Robert Meyer, che ha lavorato con me negli ultimi due film e che compone anche musica techno, e ha un approccio di tipo classico. So suonare il piano e insieme con lui abbiamo sviluppato una colonna sonora al pianoforte e poi l’abbiamo convertita in techno. La musica rappresenta i sentimenti, e volevamo che fosse gentile, per questo siamo partiti da una partitura al piano: devi sentirla ma non assorbe mai le immagini. Robert ha suonato tutta la parte elettronica con macchine analogiche: un sintetizzatore modulare molto costoso pieno di cavi che metti e togli e servono per creare il suono. Quindi la musica che si sente è qualcosa di live, unico e irripetibile. 

Anche per i miei progetti futuri, il mio sogno è quello di fare un musical. Sto lavorando su un progetto di lungometraggio il cui titolo provvisorio è Concrete Music: che riprende il significato sia dalla corrente musicale contemporanea della musica concreta che dai palazzi sovietici nelle aeree sovietiche dove io sono cresciuto e dove è ambientato anche Techno Mama. Vorrei ambientarlo negli anni 90 quando i punk si scontravano con l’altra sottocultura di strada degli “Urlaganai” che sono dei gabbernicks di origine russa che vivevano in Lituania, e nei loro scontri tra sottoculture si scontrava per la prima volta il movimento di liberazione lituano con l’Unione Sovietica. A livello coreografico sarà ispirato al classico West Side Story — annunciata proprio ieri l’imminente uscita di un remake di West Side Story targato Steven Spielberg —, e la colonna sonora sarà ibrida, in parte punk e in parte elettronica. Il mio migliore amico Kipras Chlebinskas è un ex ballerino classico – ha lavorato anche in Techno Mama ed è un ottimo coreografo: vorrei che queste sottoculture punk e urlaganai ballassero i passi del balletto in coreografie strutturate. Mi piace l’idea di contaminare e mischiare approcci artistici: perché questo non perda di significato occorre essere coraggiosi, ma ho seguito tanto il balletto a teatro in Lituania e vorrei dare il mio contributo.

Parlavi anche del sottotesto LGBTQ+, Nikita vuole andarsene anche per poter vivere la sua omosessualità, che è mostrata solo nei suoi sogni ad occhi aperti…

Sì, è parte dello scontro generazionale, in Lituania c’è ancora molta omertà e molta omosessualità repressa, per esempio tra gli skinheads, che sono soprattutto di origine russa – nel mio quartiere ce n’erano molti – e molti erano gay ma non potevano dirlo perché dovevano mostrarsi mascolini, ed era qualcosa di cui non si parlava. 

Anche Nikita ha un’estetica skinhead, con le scarpe da ginnastica, la testa rasata, la jumpsuit – sempre rossa…

Sì, rossa perché Nikita, anche quando la madre per la vita dura che conduce ha comportamenti violenti, trova comunque dei modi per amarla: la abbraccia, e la madre capisce che lui sta crescendo, e anche se non vuole lasciarlo andare alla fine lo fa.

Rosso è la passione e l’amore che lui cerca, è un teenager… I costumi sono di Mantas Bartkus, un designer e costumista che è dichiaratamente gay e si batte per i diritti della comunità LGBTQ+ in Lituania, e volevo che lavorasse nel film perché solo lui poteva vestire Nikita appropriatamente. Perché comprendeva e capiva la sua storia.   

Quando ho girato il film stavo lavorando su questa tecnica Alexander, e mettevo sempre musica sul set tra una ripresa e l’altra, e quando la musica cessava partiva il ciak e giravamo, e poi tornavamo a questa musica meditativa. Volevo che tutti potessero sentirsi accarezzati nelle loro emozioni, perché quando affronti questioni profonde come in Techno Mama diventi vulnerabile. E abbiamo fatto anche della hug therapy: dopo le scene forti ci abbracciavamo, perché abbracciarsi ci fa crescere spiritualmente, fa bene, dopo che hai fatto la tua scena abusiva abbracciare qualcuno, ti riporta al benessere emotivo.

Silvia Lumaca

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