Una novella con il peso specifico di un romanzo. È la sensazione che si prova chiudendo Il lettore dell’acqua (pagg. 113, €10,90) della ferrarese Silvia Tebaldi.
Disponibile da oggi in libreria per il marchio Zona 42, fa sua una ipotesi di narrazione rintracciabile in lavori prodotti da Luciano Funetta e, più lateralmente, Nicola Lagioia.
Tebaldi, una delle scoperte del mai troppo citato Luigi Bernardi, è autrice molto parca nelle pubblicazioni.
A oggi si contano tre titoli pubblicati, compreso quest’ultimo.
E se il romanzo d’esordio, Vuoto centrale, è datato 2009, bisogna attendere il 2021 per leggere, Quattro lune di Giove al Capo delle Volte, racconto breve pubblicato sempre da Zona 42. Nel mezzo, testi rintracciabili solo nella Rete.
Oltre alla rarefazione della sua presenza in libreria, a discostarla dai nomi fatti in precedenza, è una visione narrativa di ascendenza fantascientifica.
Le sue storie sono tutte incentrate in un universo distopico. Il mondo immaginato da Tebaldi è apparentemente simile al nostro, solo spostato un po’ più avanti nel futuro. Lì è avvenuto un Guasto, qualcosa che ha innescato la marcescenza nel tessuto urbano e nella società. Un po’ come raccontato da Alfonso Quaròn nel suo I figli degli uomini.
Al contrario del film di Quaròn, ne Il lettore dell’acqua la spinta entropica non ha una causa scatenante dichiarata. È come fosse stata prodotta dal nostro stesso modo di vivere. Il percorso già intrapreso inavvertitamente dalla razza umana, porta a questo lento dissolversi, a questo lento lasciar andare le cose in malora. Porta anche a un forte divario fra chi controlla e chi è controllato, fra un desiderio di controllo diventato ossessivo oltre che pervasivo.
Niente funziona per la popolazione, che si deve arrangiare con mezzi “illeciti” e clandestini fuori dallo sguardo di videocamere e da orecchie indiscrete. L’indole di una società come la nostra non può cambiare, sembra dire Tebaldi. Accentuare i suoi tratti nel farsi pervasiva questo sì, può farlo.
Proprio per questo la storia proposta nel libro non insegue più di tanto il senso di una trama. Quanto interessa l’autrice è dare una visione del mondo che sia pensiero politico oltre che pensiero morale, in questo credo avvicinandosi alle tesi di Wu Ming.
Lo fa comunque in modo estremamente personale, usando inoltre una lingua che non è definibile solo come prosa. È soprattutto altro.
È una intersezione fra necessità di non negare la fruizione narrativa al lettore e la volontà di allargare l’orizzonte del percepito, arrivando a toccare le sponde della forma poetica.
Centro della storia e immagine del decadimento narrato in queste pagine, Bologna. Fra le strade della città emiliana si svolge gran parte della vicenda, i personaggi prendono parola e compiono il loro destino. Alcuni capitoli si svolgono invece a Ferrara, che fa da città contraltare, come prossimo luogo del decadimento.
Ma il vero motore, a dispetto del titolo, sono le donne. Ancora una volta le ritroviamo come portatrici non di un semplice istinto alla sopravvivenza, quanto del bisogno di mantenere la nostra umanità prima di ogni cosa.
Sergio Rotino
#
Il momento peggiore è quando arrivano, pensa Elia. Che sia giorno o sia notte.
Si potrebbe pensare che sia già successo tutto, che ormai è fatta e amen: ma li vedi arrivare ed è terribile, ogni volta di più.
Quando li vedi arrivare ti tocca, pensa Elia guardando il canale dalla finestra: sei lì che guardi l’acqua e arrivano, e ti tocca davvero. Non per legge né per decreto, ma ti tocca.
Li vedi che galleggiano, suoni una specie di campanello, un pulsante installato nelle case della riva destra – case vecchie con balconi e cessi pensili, canne fuma- rie e mensole sporgenti – e in fondo a Capo di Lucca, dove il canale si interra sotto via Irnerio, scende una grata di metallo.
In una luce irreale, una sera di novembre, Elia aveva visto il primo: un corpo gonfio che galleggiava, spinto dalla corrente, e Lamya gli aveva spiegato la faccenda.
Hai presente la Grada? Quella griglia di ferro appesa a una specie di torre, vicino a Porta San Felice.
La Grada la abbassavano quando nel canale c’erano zattere o tronchi, perché non entrassero in città: così per secoli, quando Bologna era piena di canali.
E poi c’è stato il Guasto, ha detto Lamya, e ora questa grata ha la funzione opposta.
Elia ricorda la voce e le parole, Lamya che gli diceva della Grada, ricorda ancora che si era tolta gli occhiali.
Dove c’è lui c’è l’acqua. Prima non ne sapeva niente, Elia, delle acque di Bologna; e avrebbe continuato a occuparsi di e-learning e di dead media, se non ci fosse stato il Guasto.
Poi, quando la gente ha tirato fuori la testa, un po’ per contare i danni e un po’ per provare a immaginarsi un futuro, un vicino, un anziano, un vicino di nome Luca lo aveva fermato per strada: Mi spiace dirtelo, Elia, ma noi vecchi ce la caviamo molto meglio, modestia a parte, molto meglio di voi. Dei guasti ne avevano visti a iosa, gli aveva detto. Nelle macerie giocavano da piccoli, di reti e cellulari facevano senza. Vivevano con poco. Riparavano giacche e biciclette, cucinavano, facevano l’orto. Noi non molliamo, aveva concluso scatarrando.
E poi Elia aveva conosciuto Mara, per via di que- sta vecchia caffettiera, e lei gli aveva detto Crea qualcosa, Elia. Oppure scrivi.
La stessa cosa, a modo suo, gli aveva detto il signor Luca.
Qui c’è l’acqua che scorre.
Gli annegati li vedi galleggiare, allora spingi un pulsante. Lo trovi in alto sulla porta d’entrata, l’hanno messo lassù perché non ci si sbagli. Il pulsante dà un segnale che aziona un congegno, una grata di acciaio si abbassa, ed è lì che li ripescano.
Ai vecchi sembra che non faccia impressione. Quando capita a loro non ne parlano mai, pensa Elia; sarà che ne hanno viste tante, che non hanno più tempo da perdere. Solo Luca gli aveva detto: Questa è un’epidemia di suicidi, Elia, ma sui giornali non ne scriveranno, alla tv non diranno niente e in molti non vorranno crederci.
Ai vecchi sembra che non faccia effetto, quando arrivano gli annegati sul canale: azionano il pulsante con un bastone, una zanetta o un manico di scopa, e lì finisce.
Ma capita più spesso a noi, pensa Elia: questione di vista e di riflessi, e noi di notte stiamo su più a lungo.
Guarda il canale, il buio, sente l’acqua che corre.