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Silvio D’Arzo. Casa d’altri

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Un incontro fatale: “anche i sassi a quell’ora eran tristi, e l’erba, ormai di un color quasi viola, era ancora più triste. E lei sempre laggiù, china sopra i lastroni di pietra. Affondava nell’acqua gli stracci, li torceva, sbatteva e via ancora. E senza fretta o lentezza: e senza mai alzare la testa. Una cosa facile a dirsi, ma dovevate vederla.

<<No>> dissi fissandola bene. «Non credo di conoscerla, quella: la vecchia non è certo di qui; senza dubbio è un uccello sbrancato. Sempre meglio, a ogni modo, che sia lei a venire da me. Prima o poi vengon tutte, da me. E che cosa potrei dirle, oltre tutto?»

Perché ormai io ero un prete da sagre: ero un prete da sagre e nient’altro: su questo non c’era più dubbio. Per un matrimonio alla buona e dottrina ai ragazzi e metter d’accordo anche sette caprai per un fazzoletto di pascolo non ero poi peggio di un altro: e così se un marito cominciava a usare un po’ troppo la cinghia. Ecco solo il mio pane oramai: altra roba non era per me”.

Casa d’altri di Silvio D’Arzo (prima edizione postuma: Firenze, Sansoni, 1953) è un affresco dettagliato e coinvolgente della vita di un piccolo borgo montano in inverno che offre una narrazione immersiva tra la maestosità della natura e le complesse relazioni umane che si fondono in armonia, creando un equilibrio delicato tra tradizione e modernità.

Montale definì il libro un “racconto perfetto”, apprezzandone l’innovazione tematica: un argomento «non ancora affrontato, che si colloca alle soglie di una comunicabilità oltre la quale domina il silenzio». La storia ruota attorno a un prete intelligente e curioso, un tempo conosciuto come Doctor Ironicus per la sua sottile intelligenza. Ora sessantenne, il protagonista si trova confinato in un paesello tra monti, pecorai e contadini: gente semplice, pettegola e di vedute ristrette, che vive nel quotidiano senza filosofare oltre.

In questo contesto austero e isolato, dove nulla sembra accadere e persino le cose più ovvie appaiono strane, il protagonista si sente un “prete da sagre”. Tra gli abitanti c’è Zelinda, una vecchia misteriosa che incuriosisce il parroco. Zelinda trascorre le sue giornate a lavare i panni al fiume, mantenendo un distacco dalla gente, e cerca di comunicare con il prete, interrogandolo vagamente sulla possibilità di derogare a una “regola” della Chiesa cattolica. Il significato di questa regola si svela solo alla fine, lasciando il prete senza una risposta adeguata e provocando una profonda malinconia tanto nel protagonista quanto nel lettore.

Silvio D’Arzo eccelle nella creazione di personaggi autentici e complessi. Il prete, combattuto tra dovere e dubbio, interagisce con Zelinda, la cui presenza enigmatica aggiunge profondità e introspezione alla trama. La loro relazione esplora temi di redenzione, sacrificio e ricerca di verità personali, arricchendo la narrativa con intense dimensioni emotive.

Lo stile poetico di D’Arzo rende la lettura avvolgente, grazie a descrizioni vivide che trasportano il lettore nel cuore delle scene. I dialoghi autentici e le dettagliate rappresentazioni della natura circostante conferiscono una profondità visiva ed emotiva alla storia, creando un’atmosfera intensa e immersiva. La descrizione degli ambienti, del tempo che cambia, del cielo e del vento, è così realistica che si percepiscono i campanelli delle vacche, si vedono passare le capre e si sente l’odore dell’erba e del letame sui campi.

Casa d’altri affronta tematiche universali come la solitudine, la fede, il senso di appartenenza e il desiderio di connessione umana. La tensione tra tradizione e modernità emerge costantemente, invitando a riflettere sulle dinamiche delle comunità chiuse e sulle proprie convinzioni personali. Il climax narrativo, culminante con l’arrivo delle sei vecchie di Bobbio e la morte di Zelinda, rappresenta un momento di trasformazione e speranza, simboleggiando il rinnovamento spirituale della comunità.

Nel finale, la luce che penetra il buio invernale indica la redenzione e la consapevolezza acquisita nel percorso di fede e sofferenza del protagonista. La riflessione finale del prete unisce comprensione e accettazione, offrendo una conclusione che invita alla contemplazione e all’introspezione.

In conclusione, Casa d’altri si conferma come una meditazione profonda sulla vita, la fede e le relazioni umane, presentando una visione toccante e intensa della vita rurale.

In questo libro D’Arzo ha infuso la sapienza di un Vangelo a sé. Il prete, che passeggia per incontrare la vecchia, è il tramite di un amore divino così spontaneo e dai tratti adolescenziali da rapire e coinvolgere il lettore. Un Cristo innamorato dal cuore palpitante che non molla, che insegue i suoi figli e che non osa proferire parola per non distruggere la sua presenza nel silenzio.

Un Dio vicino che non può assolvere ma non vuole condannare, che non perde la speranza fino all’ultimo e ci fa sapere che lui c’è ed è felice che anche noi ci siamo. Casa d’altri è una Terra santa, è il grande Romanzo della Chiesa, come può ancora essere e come Dio la vuole.

È una buona novella scritta in tempi di grandi cambiamenti ma passata così inosservata da diventare quella fiaccola da riscoprire e levare da sotto il moggio affinché diventi anche oggi per noi un faro.

D’Arzo, con la divina ispirazione del grande artista, aveva compreso che il cristiano, essendo nel mondo ma non del mondo, durante la sua vita sarà sempre in casa d’altri.

Carlo Tortarolo

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