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Simone Atangana Bekono. Com’erano visibili le prime scintille

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Com’erano visibili le prime scintille” Poesie & lettere di Simone Atangana Bekono (Edizioni Ensemble, 2023 pp. 74 € 13.00), nella traduzione dal nederlandese di Patrizia Filia, Premio Poëziedebuut aan Zee 2018, è un’opera fortemente vincolata al senso d’identità e al significato dell’origine razzista, in attrito con l’estensione identificativa del corpo “Non pensare a niente che sia nero, non prendere con la mente quell’uscita/penso al nero mille volte al giorno e provo a cavarmi/fuori la parola”. La poetessa avvicenda l’intervallo poetico inserendo nei suoi testi l’eco combattente dell’impegno e il sostegno carezzevole della sensibilità, aggiunge alla sua personale visione intellettuale il confronto emotivo con l’altro e il tentativo di trovare una risposta amorevole ai clamori del mondo. “…e ignorasti che stavo cercando di sparire in te/che il mio sguardo non si focalizzava su nulla/e il mio corpo si spaventava delle tue parole/non la tua bocca”. La poesia di Simone Atangana Bekono rinforza la relazione introspettiva tra la consapevolezza di un corpo di colore e la percezione del proprio riconoscimento, nella ripercussione sociale e nella sua rivendicazione, esprime il contrasto ispiratore di sentimenti dall’asprezza della rabbia alla clemenza della dolcezza, trasforma il determinato grido di ribellione in verso di vincolo morale e responsabilità.

La costante riflessione tra l’autenticità della propria immagine e il carattere comunitario spinge la poetessa a ricercare l’unicità dell’appartenenza con la terra e con gli elementi di un universo carnale, dubitare dell’incomprensibilità dei tormenti devastati da ferite insanabili, oltrepassare la categorizzazione discriminante delle forme d’odio. Simone Atangana Bekono conosce la reazione esplosiva dell’urto di ogni atteggiamento comprensivo “Vuoi esprimere compassione, ma già questo è una mancanza di rispetto, quello di appropriarti di qualcosa che non è tuo, di un dolore su cui non hai nulla da dire. Ma non fare nulla, accettare che un’altra persona sia afflitta, è come ignorare quell’afflizione”. Esprime l’invitante desiderio di orgoglio e di autostima, sviluppa il giudizio cognitivo tra l’agile delicatezza e la brutale inquietudine, conserva le reliquie dei ricordi dell’infanzia, mantiene, nello stile cadenzato e versatile, una tematica allegorica in cui dissimulare l’incongruenza dei comportamenti umani, i pensieri implacabili e ostili, esplora l’inesorabile sensazione dello smarrimento nella resa di ogni ripensamento, nel modo in cui le prime scintille sono visibili, nell’intuizione illuminante di ogni manifestazione identitaria di genere. Trasforma la sua partecipazione civile e umana in strumento di indagine crudele, nella confessione di una concezione empatica, nel flusso di una coscienza collettiva. Il libro segue un itinerario immerso nella segreta e minacciosa intenzione dell’oscurità, ma libera il solco di speranza nel bagliore di una testimonianza poetica coraggiosa e innovatrice.

La poetessa rende appassionante l’inedita e accattivante ostinazione delle parole, lusinga l’irremovibile anima della poesia che disotterra l’innocenza vivida dei versi, riecheggia il contatto doloroso, infierisce sulla stigmatizzazione della società occidentale nella materia incandescente, squarciando le catene del pregiudizio ”L’acqua nera non si muove/no, quello è il mio riflesso/a muoversi è l’albero/il sole guizza sulla superficie come una fiamma novella/si muove persino il monte in lontananza, a poco a poco/fa le smorfie/il paesaggio grugnisce di vita mentre/l’acqua che giace lì/quella silenziosa, fetente acqua nera solo indica/una pozzanghera oppure un mare, una piscina, /quel secchiello nella mia mano/temo soprattutto il fondo dell’acqua nera/e l’acqua mi terrorizza perché/mi riconosco chiaramente nel suo riflesso/mi sento in colpa/perché mi sento inspiegabilmente attratta dall’acqua nera/come quando stiamo sull’orlo di una scogliera/e guardiamo centinaia di metri più in basso”

Rita Bompadre

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