Nel saggio La società della stanchezza, Byung-Chul Han segnala che viviamo nel secolo della depressione e delle malattie neurologiche, degli infarti mentali e dei burnout: un tracollo fisico e mentale causato da un eccesso di positività. L’essere umano di oggi appartiene a un’epoca in cui l’informazione e la comunicazione si sono sviluppate notevolmente e hanno trasformato la società disciplinata del secolo scorso in una società di rendimento: «La società disciplinata è ancora retta dal no. La sua negatività genera pazzi e criminali. La società di rendimento, invece, produce depressi e falliti». L’individuo, così, risulta essere dominato dall’economia di mercato, dall’isteria di sistemi tecnologici e industriali: un surplus che provoca, paradossalmente, un esaurimento del soggetto che sopravvive alla mostruosità del presente.
Ad esempio, Han attribuisce particolare rilevanza alle nuove tecnologie che, se da un lato creano la figura dell’umanista digitale, dall’altro, influenzano i comportamenti e la comunicazione umana sia in maniera positiva che negativa. In una delle sue interviste, il sociologo Zygmunt Bauman ha affermato che le reti sociali ingannano perché ti fanno sentire meno solo in questi tempi di individualismo: «La differenza tra la comunità e la rete è che tu appartieni alla comunità mentre la rete fa parte di te». È in questo senso che i social network fomentano l’illusione di uno stato euforico che rende il soggetto depresso e non più libero di esprimere sinceramente i propri sentimenti. Anzi, la logica dell’eccesso d’informazioni e della trasparenza incontrollata dei dati lo depersonalizza, assumendo comportamenti feroci e animaleschi.
Queste considerazioni si evincono già dalle prime pagine de La ferocia di Nicola Lagioia, dove si narra l’omicidio di Clara, figlia di un noto costruttore, Vittorio Salvemini, che era stata investita dall’autotrasportatore barese Orazio Basile, perché camminava, nuda e ricoperta di sangue, nel centro della carreggiata. La morte della giovane ragazza è fondamentale per la costruzione del romanzo, in quanto funge da sfondo non solo alle vicende losche della famiglia Salvemini, ma si fa anche portavoce di quelle logiche, di cui tanto parla Han, attraverso gli account Twitter che interagiscono con la presenza di Clara. Infatti è suo fratello Michele, mentre è nel letto a fumare una sigaretta, che legge dallo schermo del suo cellulare la conversazione tra alcuni utenti e il profilo di Clara e ne rimane sconvolto.
Clara si manifesta sottoforma di presenza spettrale nell’ambiente virtuale: una dimensione che è tipica delle società tecnologiche che, sebbene favoriscano un elevato desiderio di conoscenza, allo stesso tempo lo reprimono, proprio perché la realtà che viene progettata è limitata e ingannevole. Infatti, il personaggio di Michele, quando giunge davanti alla porta della stanza di sua sorella, non entra e afferma che: «Nessuno, fino all’ultimo momento, doveva essere distolto da una felicità che per il resto della vita avrebbe letto retrospettivamente come illusoria».
Tutto sommato, dice bene Han nella summa delle sue precedenti opere, L’espulsione dell’Altro, quando afferma che l’homo digitalis trova la sua espressione più concreta nell’egocentrismo narcisistico che tende a manifestarsi a sua volta in funzione dell’autenticità dell’altro. È un atteggiamento che conduce l’essere-diverso a trasformarsi nell’essere-uguale, come una competizione distruttiva nella quale l’uomo è homini lupus di sé stesso. Questa logica, asserisce il filosofo, si impone anche nel mondo neoliberista in cui il lavoratore è portato all’annullamento e alla distruzione, paradossalmente, non dal suo datore di lavoro, ma da sé stesso: «Oggi viviamo in un’epoca postmarxista. Qui non c’è l’Altro come sfruttatore che mi costringe a lavorare e mi aliena da me stesso. Piuttosto sono io a sfruttare me stesso, credendo in tal modo di realizzarmi. Così mi butto euforicamente nel lavoro per poi alla fine crollare. Mi realizzo fino a morirne, ottimizzo me stesso fino a morirne».
L’isolamento narcisistico è quello che provoca disturbi patologici psicofisici, come la bulimia, l’anoressia, il binge eating o la sindrome da burnout; proprio quella di cui soffre il personaggio di Giuseppe Greco, giornalista e redattore del «Corriere del Mezzogiorno», che assume sostanze stupefacenti per aumentare la sua produttività. Infatti, Greco era ossessionato dallo sfornare articoli di giornale, creava e gestiva diverse identità false che commentavano la rubrica on line che aveva ideato, «Spazio Lumière», al fine di avere maggiore visibilità nel mondo cinematografico nazionale.
In effetti, già in Occidente per principianti, Lagioia aveva denunciato un sistema al collasso, tra precariato e sfruttamento del lavoro, e aveva evidenziato come la società contemporanea fosse dominata da una cultura visuale impregnata di immagini frivole e ingannatrici che creavano uno spettacolo di bellezza apparente. Una cultura visuale proprio come la intendeva nel saggio La società dello spettacolo Guy Debord, secondo il quale lo spettacolo è una dimensione apparente della realtà dove l’essere è incapace di esprimersi perché manipolato dalla logica dello sviluppo, del consumo, della tendenza. Per questo, Debord sottolinea che la vita del singolo si è degradata poiché è stata concepita in funzione di un universo speculativo che preferisce l’abbondanza piuttosto che la qualità. Il lavoratore, così, produce talmente tanto che si aliena da sé stesso e dagli altri al punto tale che «quanto più la vita è ora il suo prodotto, tanto più è separato dalla propria vita».
Lagioia mostra questa spettacolarità attraverso il ghost writer, un personaggio che si mette a lavorare per Michela Renzi della Lucilla e che rappresenta l’animal laborans postmoderno, ovvero colui che predilige le sue attività lavorative e che, in accordo al pensiero di Han, tende a essere un soggetto iperattivo e ipernevrotico. Tant’è vero che produceva più di cento articoli per una media di quattrocentomila battute al mese e che era capace di scrivere su qualsiasi cosa, dallo sport al cinema, dalla cronaca alla politica: «Scrivevo lettere circostanziate (antigovernative, riformiste, isteriche, cautamente ottimiste sull’andamento del pianeta) a cui io stesso mi davo la pena di rispondere. Trasformavo le interviste in dialoghi teatrali. E lavoravo, lavoravo sulle parole con lo stesso scrupolo di un alchimista che voglia estrarre dalla viltà del piombo almeno qualche nuvola dorata».
Lo stato in cui si trova è dunque quello compulsivo dove le sue energie sono assorbite dalla macchina dell’informazione che lo aliena e lo spersonalizza. D’altra parte, è la stessa Michela Renzi a confermare che nel giornalismo italiano la concorrenza si basa sullo spettacolo che le notizie riescono a costruire piuttosto che alla loro qualità. In questo modo, si crea una forma di spettacolarità giornalistica che rompe con la tradizione, con quel mondo che era fatto di tanti Montanelli, di Biagi o di Brera e che ora predilige notizie di gossip come quella di un sottosegretario a cui piace il sesso tantrico, «stronzate del genere. È lo spettacolo, portato clandestinamente in tutte le pagine del giornale, il vero campo su cui si misura la concorrenza».
Il crollo dell’umanesimo tra il xx e il xxi secolo, avverte Lagioia, avviene proprio con l’informazione totalitaria, che influisce, ad esempio, nella caratterizzazione dei personaggi di un romanzo sempre più influenzati da elementi dello show-biz: «Abbiamo insomma a che fare con l’impatto pervasivo della Società dello spettacolo sulle nostre vite così come nel XVIII secolo l’uomo veniva minacciato dai primi vagiti della rivoluzione industriale». Infatti, il ghost writer personifica questo processo di disumanesimo culturale, nel quale lo spettacolo ha preso il posto della cronaca, della politica, della critica letteraria; esse non sono più il fine ma il mezzo attraverso il quale creare una cartoonia collettiva che si discosta da quelle generazioni che oggi si sentono insofferenti perché incapaci di obbedire al proprio inconscio profondamente umanista.
Nel ghost writer si rintraccia il distacco tra il mondo legato alla concezione umanista e quello cresciuto con le logiche del sistema capitalista a cui interessa solamente la produzione massiva e il soddisfacimento degli input di mercato. Non c’è da meravigliarsi, per tanto, se la casa editrice dove lavora il personaggio di Francesco Giustiniani pubblica contenuti trash-filosofici o che, ad esempio, nessuno verifica la veridicità e la provenienza delle informazioni che girano in rete; così come, non c’è da stupirsi se, ne La ferocia, il personaggio di Vittorio Salvemini si scontra con la realtà digitale dove «algoritmi che emettevano enormi ordini di acquisto, li cancellavano una frazione prima che diventassero operativi ed emettevano all’istante nuovi ordini in modo da lucrare sulle variazioni da essi stessi generate».
Nella narrativa di Nicola Lagioia, il progressivo inserimento dell’individuo in quella che molti hanno chiamato network society – a partire da Marshall McLuhan, che utilizza l’espressione global village per designare la connessione dalla visione soggettiva e primitiva a quella globale, favorita ad esempio da internet –, si traduce attraverso un uso del linguaggio metaforico e, soprattutto, iperbolico, che racconta le vicende con la retorica dell’abbondanza e dell’eccesso, tipico della logica dello spettacolo.
Per questo, Lagioia opera un processo di decostruzione e ricostruzione del mondo contemporaneo attraverso una scrittura spontanea, ma incredibilmente, increspata e ingarbugliata, che rompe l’ordine cronologico degli eventi, innesca connessioni fra le cose, arricchendole di dettagli, e creando, così, nuove metafore di significato. In questo modo, l’autore rivela la ferocità di cui è capace l’uomo, una bestialità che esprime la presa di consapevolezza della crisi identitaria che sta vivendo l’uomo di oggi.
Simone Marino
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Simone Marino è laureato in “Lingue e culture straniere” presso l’Università degli Studi Roma Tre. Ha conseguito all’Università di Salamanca due Master in “Letteratura spagnola e ispanoamericana, teoria della letteratura e letteratura comparata” e “Studi avanzati in filosofia – estetica e teoria delle arti”. Successivamente, ha frequentato il corso di specializzazione in Redattori editoriali, impartito da Leonardo G. Luccone ed Elvira Grassi. Stagista prima in Edizioni di storia e letteratura e poi in Pidgin edizioni, scrive per riviste di critica letteraria e scientifiche nazionali e internazionali. Appassionato di cinema e teatro, studia recitazione nel tempo libero.