“Se il pianeta Terra è illusione di un pianeta nostro – a misura d’uomo e del suo potere territoriale – il pianeta Oceano è il pianeta-flusso inappropriabile, aperto alla collaborazione cosmica dei viventi tutti”: campeggia ciò, scritto alla fine della quarta di copertina di questo saggio, logica continuazione del precedente lavoro di Regazzoni, La palestra di Platone – Filosofia come allenamento, edito sempre da Ponte alle Grazie (2020), di cui già mi occupai tra queste pagine. E se questo, quale punto centrale della narrazione, teneva il corpo umano “individuale”, Oceano pone al centro il tutto in cui quel corpo trova posto, dalla nascita allo sviluppo e fino all’inevitabile fine.
A detta dell’autore, il concetto di uomo (anzi, di essere umano) esplicitato da fior fiore di filosofi e pensatori nel corso della Storia, non è erroneo nel senso di “da accantonare”, bensì richiede – oggi più che mai di fronte a determinati sviluppi di pensiero ma anche di marca squisitamente scientifica – un’evoluzione, un’integrazione. Essendo il pianeta sul quale troviamo posto fin nel nome suo stesso un concetto terrestre, l’uomo, colle sue capacità di discernimento e di sviluppo sociale, tecnologico, politico si è talmente convinto di esserne non tanto il custode, quanto l’effettivo padrone, da dimenticarsi del “flusso acquoreo” nel quale esso è immerso.
Occupandomi assai brevemente ora di microcosmo e macrocosmo mi butto sul banale, ricordando l’altissima percentuale acquea di cui noi terrestri e la Terra (cosa che pare quasi un ossimoro, perlomeno terminologico, ma tant’è) siamo composti: entrambi sul 70%, quindi com’è possibile che le più forme di pensiero che hanno trovato spazio sul pianeta alle più disparate latitudini e nelle più svariate epoche siano così “filo-terrestri”? A mio avviso, ciò ha a che fare non tanto con una comprensione erronea del tutto, quanto parziale, talvolta semplicistica: è infatti umano (troppo umano?) tendere a non abbandonare il certo per l’incerto, tanto più se l’incerto ha dei contorni sfumati che si perdono nella notte dei tempi e anche più in là, mentre il certo ci è da sempre (o comunque è ciò che crediamo) davanti agli occhi, a portata di mano nel senso etimologico del termine.
Ecco, è a questo punto che Simone Regazzoni fa entrare in campo Okeanós, concetto/divinità di origine pre-greca (quindi precedente a quella che noi – magari non erroneamente ma certo semplicisticamente – consideriamo e definiamo l’origine della nostra Civiltà) e che ha trovato spazio tanto nelle epiche fondative di Eschilo e Omero quanto nella filosofia del “padre del pensiero occidentale” Talete di Mileto. Alla luce di tale importanza sempre più dimenticata, l’autore, lungo tutto il corso del saggio, si riferirà al nostro come al “Pianeta Oceano”: sì, perché se l’importanza primigenia della vita sta nell’acqua, allora niente altro che Oceano può essere il flusso da cui la vita tutta ha scaturigine, essendo in esso raccolto quasi il 97% delle acque terrestri.
Mi ricollego ora direttamente alla porzione di quarta di copertina del testo che ho citata in apertura di queste poche righe, nella fattispecie alla parte – l’ultima – in cui l’autore parla di “collaborazione cosmica dei viventi tutti”: sì, perché il pensiero (che si spera possa trasformarsi il prima possibile in un’azione attinente) che abbia base oceanica e non più solo terrestre, proprio per il fatto stesso della sua supposta illimitatezza spaziale (tutti abbiamo ben chiaro, suppongo, la diversità tra i confini terrestri e quelli acquatici) può benissimo essere assunto a base per la comprensione di mondi lontani in senso extraterrestre: è infatti di non molti anni fa l’individuazione e successiva classificazione, da parte della NASA, di altri nove cosiddetti Ocean Worlds oltre alla Terra. Quali più, quali meno, trattasi di luoghi le cui condizioni potrebbero garantire la vita, anche di ecosistemi molto complessi.
E che cos’hanno in comune questi dieci mondi oceanici? Fin dal nome lo possiamo evincere, e si tratta dell’assoluta preponderanza acquorea del singolo tutto di cui si parla.
Regazzoni fa proprie, oppure rigetta giudicandole non più al passo coi tempi, elucubrazioni e pensieri su Terra e Oceano di autori e pensatori delle più svariate epoche: dai poco sopra citati ai contemporanei Husserl, Heidegger e Schmitt e ancora a contemporaneissimi scienziati e oceanografi, dai classici Platone e Aristotele al suo amato Derrida con però un particolare focus su due, e cioè il romanziere Herman Melville e il pittore William Turner, profeti, anzi sacerdoti del pensiero acquoreo.
Ma la cultura ed il pensiero non sono soltanto libreschi, contemplano, per fortuna, anche quanto sente e sa chi in un determinato contesto ci è nato e ci vive: e questo ruolo è ricoperto nel presente saggio da Haunui, abitante dell’isola di Maupiti, Polinesia francese, ove Regazzoni, “filosofo-balena” ha composto la più parte del testo che tenete ora tra le vostre mani, tra una capanna sulla spiaggia e la tavola da surf.
L’unica pecca che ho riscontrato nel libro è di carattere strutturale: tutte le note non a piè di pagina ma in conclusione di saggio possono causare una certa scomodità nella lettura, ma con due segnalibri al posto di uno il problema può già dirsi empiricamente risolto.
E solo alla fine della lettura si potrà comprendere appieno la scelta dell’autore di porre come citazione iniziale, dal sapore epigrammatico, un estrapolato dal Moby Dick di Melville: “Sì sciocchi mortali, il diluvio di Noè non si è ancora ritirato; copre ancora due terzi del bel mondo”.
Alberto De Marchi
#
Simone Regazzoni, “Oceano. Filosofia del pianeta”, Edizioni Ponte alle Grazie, 2022, 224 pagine, 16 euro