I figli sono come il linguaggio: sono oltre noi, ci anticipano e ci superano, ci appartengono e non sono nostri, ci sovrastano – ne siamo consapevoli – eppure sentiamo la necessità di domarli, di piegarli alle nostre necessità. Azzardiamo paragoni impossibili, cercando il nostro residuo in una genetica tutta loro e, sconfitti, soffriamo in stanze separate.
Per questo, i figli – quando ci sono e forse ancor di più quando non ci sono – non si possono ignorare, o almeno, soprattutto quando hai superato i trenta, diventano un argomento che non si riesce ad affrontare con sana noncuranza, tanto è vero che, quando Simonetta Sciandivasci con un articolo su Specchio – inserto domenicale del giornale La Stampa – accese una luce su questo argomento, questo lumino presto ha cominciato a crepitare fino a divampare.
Il contenuto dell’articolo si riferiva ai figli e più precisamente al non volerli pur potendoli avere e mantenere e il fatto stesso che questo possa sembrare una provocazione, dice tutto su quanto sia un argomento, culturalmente, da affrontare.
Si chiama Inverno demografico, questo è il termine che i sociologi hanno coniato per definire un progressivo aumento dell’età media della popolazione occidentale. Perché questa legittima scelta riguarda tutti i paesi occidentali, non solo quelli dove, come si dice e non a torto, è particolarmente difficile averli per tutta una serie di circostanze che sarebbe lungo affrontare.
Anche nella civilissima e assistenziata popolazione del Nordeuropa capita, ormai, di non voler fare i figli.
Le ragioni di queste scelte sono oggetto di un libro curato da Simonetta Sciandivasci, edito da Mondadori, dal titolo I figli che non voglio.
È un volume indefinibile, tra l’antologia e il saggio, perché raccoglie le riflessioni della giornalista, la sua testimonianza sulla vita di redazione e di relazione e quella di altri scrittori, influencer, editori e giornalisti, ma soprattutto di donne e di uomini che si sono voluti confrontare con questo tema, portando la propria esperienza di genitori e non genitori.
Le parti che ho trovato più interessanti sono quelle scritte dalla Sciandivasci stessa perché, pur non volendo scrivere un saggio, le sue riflessioni sull’argomento risultano comunque interessanti e illuminanti, tante volte. Inoltre c’è tutto un racconto, una sottotrama, che riguarda la vita del giornale, le riunioni e come nasce una notizia, un dibattito che poi diventa “virale” e come si rischi di ferirsi perché nessuna bestia è più riottosa e indomabile della pubblica opinione.
Ci sono poi le esperienze personali, o quella che potremmo definire la parte antologica del libro.
Ce ne sono molte e alcune che fanno davvero pensare, come quella di Gianluca Nicoletti, dal titolo “Quant’è grama la vita dei paparini”; o il racconto di Loredana Lipperini relativa all’ostensione dei figli che mi ha fatto sorridere e raggelare al contempo, pensando alle feste di classe, le chat delle mamme e tutti quegli assurdi apparati e parate nelle quali, in quanto genitore, vengo coinvolto quotidianamente.
C’è poi la desolante e necessaria discussione che apre l’esperienza di Francesco Ditaranto dal titolo “Il genitore prevalente” che apre una ferita sanguinante sull’iniquità di una legge che tutela le madri e dimentica i padri che hanno tutto l’interesse di restare tali anche quando la relazione di coppia è finita.
Ognuno di questi racconti è una mano alzata in quel mucchio di cui tutti noi facciamo parte e che si porta dietro tanti altri argomenti come l’essere donna oggi in occidente, esserlo altrove (come sarebbe utile e quanto apparrebbe delirante, o forse no, un libro simile, una discussione simile, tra le giovani donne del mondo arabo…) essere padre, essere figlio o non voler essere né l’uno né l’altro.
Pierangelo Consoli
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Simonetta Sciandivasci, I figli che non voglio, Mondadori, 2022, Pp. 216, Euro 18.