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Smettere

Luca Ricci

Lo decise come se fosse un gioco, per mettersi scherzosamente alla prova: avrebbe fatto a meno del suo telefono per un giorno intero. Ma certo, era giusto disintossicarsi un po’ e riappropriarsi della vita vera, quella concreta, materiale, che avevamo davanti e si poteva toccare! Portò sua figlia a scuola e lasciò di proposito il telefono sul tavolo dello studio. Poi se ne andò a prendere un caffè con un altro papà e gli venne voglia di annunciare la sua impresa.

– Oggi niente telefonino,- disse, determinato.

– Me l’ero riproposto anch’io, ma non ci sono mai riuscito,- ammise l’altro papà, un po’ spiazzandolo.
Camminando per tornare a casa respirò a pieni polmoni, stava bene e finalmente se frugava nelle tasche del cappotto non trovava quell’odiosa macchinetta che teneva in ostaggio la vita di tutti, con quel suo sistema di rilascio immediato di dopamina attraverso Like e Cuoricini. Salì a casa e lavorò di buona lena per un paio d’ore. Verso mezzogiorno ebbe una crisi ampiamente prevista. In fondo era del tutto normale sentire la mancanza di una cosa che non solo faceva parte del suo quotidiano, ma ormai era da considerarsi perfino un brutto vizio: il bisogno di una gratificazione istantanea. Ma avrebbe vinto lui. Lui era quello che nove anni prima, quando era nata sua figlia, aveva smesso di fumare dalla mattina alla sera. Altro che diminuzione graduale o sigaretta elettronica. Tutte chiacchiere, contava solo la volontà!

Pranzò come ogni giorno con sua moglie, raccontandole e facendosi raccontare le beghe lavorative (ce n’erano sempre di nuove e interessanti, come capita a tutti). Sarebbe stato inutile negare che di tanto in tanto durante il pranzo si era assentato e la mente era volata al tavolo dello studio dove ancora giaceva il suo telefono. Il ricordo di una serie di contatti, d’interazioni, di menzioni, di messaggi cominciò a tormentarlo, ma non fino al punto di sopraffarlo.

Uscì per andare a riprendere sua figlia da scuola. La passeggiata che ne seguì fu uno dei momenti più duri della giornata. Sua figlia infatti gli raccontava con entusiasmo i fatti della scuola e lui era colpevolmente distratto, massimamente concentrato sul suo maledetto telefono, sul perché avesse poi deciso di non usarlo per un giorno intero, su che cosa gli fosse saltato in mente, su chi diavolo glielo avesse fatto fare. Cercò riparo in un bar e provò a godere della vita vera. Cominciò a guardarsi intorno ma tutti se ne stavano a capo chino sui loro telefoni. Soltanto una donna alla fine gli lanciò un’occhiata seccata, come a dire: “Che ha da fissare? Non ha un telefonino come tutti?”.

A cena, stremato, sentì l’esigenza di svelare il suo proposito anche alla moglie.

– Niente telefonino oggi per me,- disse, come il cavallo che conta con lo zoccolo e si aspetta uno zuccherino.

– Un giorno intero senza telefono?- chiese conferma la moglie, incredula.

Allora lui cercò di reagire: – Ti ricordo che quando è nata la bambina ho smesso di fumare dalla mattina alla sera. E fumavo un pacchetto al giorno.

Dopo si mise a guardare un po’ la tv, prese in mano un libro e poi un altro, andò a farsi una doccia e infine provò a sdraiarsi sul letto. Non trovava pace, era come se un mondo di voci lo stesse chiamando e lui facesse finta di niente. Andò in studio, afferrò il telefonino. Fu sul punto di accenderlo. Già si pregustava la luce del display. Ma davvero voleva perdere la sfida così, proprio all’ultimo momento? Piagnucolò e rimise il telefono sul tavolo. Poi percorse ad ampie falcate il corridoio che portava in salotto. Aprì una delle finestre di quel sesto piano e si buttò di sotto.

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