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Solo dieci minuti, prometto. Intervista a Nunzia Mazzei

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Nunzia Mazzei nasce a Napoli, nel quartiere Pendino esattamente, il 22 maggio 1980. Cresce in una famiglia disfunzionale, come lei stessa ama definire. Disfunzionalità a cui è profondamente grata. Durante la sua infanzia la scrittura, come la casa della nonna paterna – in cui ha trascorso gran parte di quegli anni – erano rifugio dal “male del mondo”. All’età di diciassette anni si diploma, senza alcuna intenzione di continuare gli studi. L’adolescenza è stata per lei un periodo felice. A ventidue anni rimane incinta di Francesca, la sua prima figlia. Si sposa qualche mese dopo. Nei tre anni successivi, altri due figli. Due maschi. A ventotto anni, e tre bambini a cui badare, viene investita da una terribile crisi esistenziale. Si convince che altrove esiste un mondo migliore a cui non ha accesso, precipitando così in un periodo di profondo disagio, che tiene a bada scrivendo. L’eleganza del riccio, di Muriel Barbery le piomba addosso, come un imprevisto celestiale durante l’estate del 2008. Lo legge in Sardegna e ne esce completamente trasformata. Rinnovata. A settembre di quello stesso anno si iscrive alla Facoltà di Lingue e culture moderne, all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Pronta a raggiungere il traguardo che nella sua immaginazione è pari alla scalata dell’Everest. Li ricorda come anni difficilissimi, ma anche come i più straordinari della sua vita. Gli anni in cui ha imparato a credere in sé stessa. Si laurea nel dicembre 2013, con una tesi su Il male oscuro, di Giuseppe Berto. Si specializza in lingua francese, qualche anno dopo, con una tesi su Blaise Pascal: Tra fede e ragione. Punti nevralgici che la riguardano in prima persona. Durante la pandemia inizia a scrivere il suo primo romanzo, Il senso delle cose, pubblicato nel 2022 da Rogiosi editore. Dopo di che, per conto di un editore napoletano, si cimenta da esordiente nella traduzione di un romanzo di Gael Octavia, con un ottimo e sorprendente risultato. La traduzione viene subito approvata dalla prestigiosa casa editrice francese Gallimard. Scrive ancora, mossa dal bisogno di farlo, un noir in cui si mette, per la prima volta, nei panni di un uomo. “Solo dieci minuti, prometto” è il titolo del suo ultimo romanzo, pubblicato e presentato durante NapoliCittàLibro, a giugno 2024, da Marlin editore. Una storia commovente e al passo coi tempi, grazie alla quale è stata accolta e invitata a presentarlo, nei prossimi mesi, presso varie associazioni culturali.

Mario Schiavone

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Sei una validissima insegnante di lingua francese, con una formazione da apprezzata traduttrice alle spalle. Come romanziera, al secondo libro, ti stai affermando sulla scena letteraria: come hai scoperto questa tua propensione per le storie e i libri (da tradurre e da scrivere) e quanto questa passione ha inciso sulla tua vita?

Che prima o poi avrei scritto romanzi l’ho sempre saputo. A sussurrarmelo era una vocina inabissata nel mio cuore. Certe volte me lo ripeteva fino a stremarmi. Mi toglieva la pace. Tant’è che prima di pubblicare Il senso delle cose, il mio romanzo d’esordio, ero in cerca disperata di un equilibrio interiore, che finalmente oggi mi sembra di aver raggiunto. Più che passione credo si tratti di ossessione. Una magnifica ossessione che ha radicalmente stravolto la mia persona e la mia vita. Ho sempre scritto, sin da bambina. Avevo un diario, di quelli che si chiudono con il lucchetto, su cui appuntavo ogni cosa a fine giornata. Ma non sempre. Lo facevo solo nei giorni in cui qualcosa mi pesava sul cuore. Ero una bambina emotiva, sensibile e avevo i miei crucci. Scoprire che scrivere mi affrancava, in qualche modo, da quei piccoli dolori fu una rivelazione. Scrivendo, vivevo la sensazione di tirare fuori dal corpo, attraverso le parole che mettevo sulla pagina, le mie angosce. Le amarezze. E da allora non ho più smesso.

Con la tua scrittura hai dato voce a personaggi di periferia che muoiono e rinascono di continuo, sullo sfondo di una Napoli che ora incanta ora abbandona i suoi figli. Queste dinamiche umane, sono il cuore pulsante universale dei tuoi primi due libri. Come vivi la Napoli contemporanea, in quanto cittadina, e come la ri-vivi (e affronti) in quanto narratrice?

Le mie storie nascono dal clima in cui sono vissuta, dalle mie emozioni e dai miei desideri. Quando si scrive c ’è prima di tutto l’ambizione di voler indagare alcuni argomenti, poi si pensa ai personaggi. È necessario modellare soggetti che siano adatti a esplorare le tematiche e i sentimenti su cui si intende indagare. Io mi identifico molto con i miei personaggi, ed è la sola maniera per entrare in connessione profonda con il loro sguardo, il modo in cui vedono il mondo e come agiscono in determinate circostanze. E questo arricchisce me prima di tutto, poiché mi concede la preziosa opportunità di capire il mondo da diversi punti di vista. Napoli oltre a essere la città in cui sono nata e in cui vivo, è un luogo e un’atmosfera che amo profondamente. Certo, non mancano problemi e difficoltà, come peraltro in tante altre città, ma la bellezza e la libertà che sento nell’aria in questa città sono elementi imprescindibili per i miei romanzi. Napoli è sempre protagonista delle mie storie. E la guardo con occhi innamorati quando scrivo, e mentre vivo.

Quali sono gli autori classici da cui non vorresti mai separarti? Quali gli autori contemporanei viventi a te più cari?

Sono francesista di formazione. Ho amato Hugo, Flaubert, Stendhal, Balzac, Yourcenar, De Beauvoir e potrei citarne ancora tanti. Romanzi e idee che mi hanno molto influenzata. Sono legata e grata a Muriel Barbery, per il romanzo L’eleganza del riccio, per aver modificato il corso degli eventi della mia vita. Tra i contemporanei italiani ho amato e apprezzato i romanzi di Rosella Postorino, Viola Ardone, di Erri De Luca, Maurizio De Giovanni, Lorenzo Marone. E i saggi di Massimo Recalcati, ma quello è un altro discorso. Tuttavia, sono veramente tanti gli scrittori contemporanei che ammiro e che leggo.

Che rapporto hai con il cinema e i fumetti? E quali sono i tuoi autori preferiti di questi due medium narrativi?

Devo ammettere che non leggo fumetti. Per quanto riguarda il cinema, invece, qualche film ogni paio di mesi lo guardo pure. Purtroppo questo è un mio limite. Preferisco scrivere o leggere piuttosto che stare ferma davanti a uno schermo. Mi sforzo anche ma non resisto…

Ogni scrittore immagina un lettore ideale. O forse no. Per te esiste? Se sì, il tuo lettore ideale come è fatto?

Non ho mai immaginato un solo tipo di lettore per i miei romanzi, e non riesco a farlo. Le storie che scrivo credo siano adatte a tutte le fasce d’età. I miei, sono romanzi introspettivi e i sentimenti ci riguardano tutti. Ammetto che quando scopro che a leggermi sono i più giovani mi investe una forte emozione. Mi piace tanto confrontarmi con i ragazzi. Loro sono il futuro e sarebbe opportuno che leggessero molti libri. La letteratura, come diceva Umberto Eco, ci prepara alla vita e alla morte. Oggi è più difficile avvicinare i giovani alla cultura e alla lettura. Internet e i social sono una continua fonte di distrazione. E spesso se ne fa cattivo uso.

Quale tipo di storia non scriveresti mai?

Credo che non potrei mai scrivere romanzi di genere, sebbene quest’ultimo sia stato considerato un noir. Ma è un caso.

Ti andrebbe di raccontarci come organizzi il tuo tempo quotidiano fra la vita privata, l’insegnamento e la scrittura di storie sulla pagina?

La mia vita è piuttosto dinamica. Sono una persona organizzata e che, soprattutto, non spreca mai tempo. Al tempo della lettura mattutina non rinuncio mai. A costo di alzarmi qualche ora prima. E lo faccio. Dopodiché, tra scuola e impegni familiari riempio il resto della giornata. Sono rapida ed efficiente per cui riesco quasi sempre a portare a termine tutti gli impegni entro la sera. Utilizzo senza difficoltà anche le ore serali per attività domestiche. Quando invece c’è da scrivere, come in questa fase, mi velocizzo ulteriormente ritagliandomi qualche ora, circa quattro volte a settimana.

In fondo, alla fine della corsa del vivere quotidiano, tu perché scrivi le tue storie?

Scrivo perché ne sento una disperata necessità; perché scrivere mi aiuta a vivere; scrivo per stare in pace con me stessa e col mondo. Quando scrivo il corpo ricorda, ed è un dovere farlo. Si scrive per non dimenticare, per riportare alla memoria pezzi del passato. Si scrive per “espellere” storie che girovagano per la testa e ci ossessionano. Altre volte lo si fa per omaggiare alcune vite. O le persone che abbiamo amato.

Ti andrebbe di raccontarmi perché leggi (ancora, in questo mondo contemporaneo) libri, nonostante tutte le caotiche distrazioni di questa esistenza?

Leggere libri è ormai un bisogno fisico. È il momento in cui mi stacco dalla realtà per inabissarmi in altri mondi, in altre vite. Da questo punto di vista leggere per me è pura magia. La lettura aiuta a sopportare la vita, quando le cose non vanno come vorremmo. Inoltre, è un esercizio che stimola la mia immaginazione e migliora la mia scrittura. La lettura mi costringe a riflettere, a percepire la mia piccolezza nell’universo, i miei limiti. È solo attraverso i libri che possiamo capire coloro che sono diversi per cultura, classe e genere. E imparare ad accettare le differenze. Altrimenti è impossibile.

Stai lavorando a un nuovo libro? Se sì, ti andrebbe di dirmi quali temi affronta e quali conflitti hai messo in campo?

Sì. Sto scrivendo una storia che volevo raccontare da molto tempo. Forse da sempre. I temi che affronto stavolta sono diversi dai precedenti. Si tratta di tematiche più delicate, più difficili. Complesse sia dal punto di vista emotivo, per me che ne scrivo, che dell’esplorazione narrativa. Indago, in particolare, due argomenti che mi stanno molto a cuore, che non mi sento di svelare ora. È una storia ambientata a Napoli, in cui il tema familiare è centrale. E come nei romanzi precedenti anche qui non mancano conflitti interiori e debolezze umane. Per la prima volta, però, scrivo in prima persona, e ammetto che sono molto a mio agio nei panni di Fortuna. È lei che ci parla della sua famiglia e ci racconta la vita di Filomena, la vicina di casa. Fortuna è una diciottenne napoletana che vive in un appartamento del corso Vittorio Emanuele, da cui si vede il mare. È innamorata di Livio e ha una profonda fede in Dio. Per Fortuna il Padreterno è in ogni cosa. Questa ragazzina non è il mio alter ego, ma non è molto lontana da me.

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