Reportage, poesia pura, racconto appassionato dei miti di ogni angolo del mondo, da quelli greci a quelli andini o cinesi. Resoconto di viaggi compiuti a piedi, vademecum, viatico alla comprensione della psicologia analitica specie junghiana… Questo e altro è Il dio degli incroci. Nessun luogo è senza genio, di Stefano Cascavilla.
Architetto, scalatore, viaggiatore a piedi in Europa, esperto di psicologia analitica, mitologo… Stefano ha portato a effetto un miracolo con questo testo, in cui i saperi più alti si coniugano con la sua personale esperienza.
Il lettore che attraversa con l’anima inconscia, pronta a stupirsi e a entrare in sintonia con le pieghe del libro e con gli abissi e le altezze del Cosmo, non potrà che rimanere affascinato dalla cultura senza limiti dello scrittore, dall’esperienza autoptica, dalla maestria con cui maneggia una scienza sapienziale che risale alla notte dei tempi.
Si tocca con mano e con l’anima la certezza che “nessun luogo è senza genio”, come scriveva Servio, retore del IV sec. “Qui staremo benissimo”, disse l’oracolo a Furio Camillo che si accingeva a costruire Roma, una città uni-versale, secondo la definizione dello storico Polibio, verso il cui centro uni-vertono tutte le provincie dell’Impero, che raggiunse la sua massima espansione sotto Traiano.
Anche Alessandria fu costruita nel luogo rivelato da un sogno ad Alessandro Magno. Gli antichi avevano un rispetto sacro del luogo, certi che in questo c’era un genius, che si rivelava ovunque, specie nei crocicchi, presieduti da Artemide-Ecate.
Così, andando dietro questo ragionamento intuitivo, corredato di miti di ogni luogo, si respira l’anima mundi da Plotino a Jung, con riferimenti al demiurgo del Timeo di Platone. Non solo: con devozione per le energie invisibili e pur vere delle filosofie d’Oriente e di Occidente e con afflato mistico pronto a percepire la magia dei luoghi che esercitano la Stimmung del viaggiatore, ci si muove dalla Boemia all’incrocio africano («Definisco questa situazione incrocio africano. Non perché siano un’esclusiva dell’Africa – punti simili ne trovi ovunque ci siano lunghe strade e spazi vuoti da attraversare – ma solo perché tale contesto può forse rendere più facile comprenderne il carattere primario, ancestrale…Riconoscere il genio del luogo vuol dire riconoscere il limite della condizione umana davanti alla sua qualità divina; la provvisorietà dei propositi umani di fronte alla forze invisibili che vi aleggiano intorno»).
In seguito, ci si muove per New York, a Times Square, dove domina Hermes dio dei mercati, per ritornare a Roma dove giace l’effige della Vergine Maria, tra l’antica Prenestina e via di Portonaccio («È il segno che quel luogo possiede ancora oggi una qualità invisibile, un genio, un dio che lo custodisce… Vocatus atque non vocatus, Deus aderit – diceva l’oracolo di Delfi. Il dio – anche quello degli incroci – sarà presente in ogni caso, chiamato o no, che tu lo riconosca o meno»).
Stefano Cascavila ci porta per mano nei luoghi più disparati e lontani. Nel Lazio e nell’Abruzzo, a intuire la presenza di un dio di fronte al massiccio del Gran Sasso, ma anche sull’Olimpo degli antichi dei e poi a Salonicco, sul Karacorum o in una capanna del Malawi, a sentire sulla pelle la stoffa di cui è intessuta la vita dell’uomo tradizionale.
Stoffa che dovremmo tornare a vestire per trovare una connessione uomo-natura, per ritrovare un equilibrio interno ed esterno, che poi è la stessa cosa.
La natura infatti ha un’anima non diversa da quella dell’uomo che, se junghianamente si libera delle sovrastrutture dell’io (solo un iceberg della psiche), troverà gli archetipi collettivi che accomunano tutti gli uomini e questi col Cosmo.
Il coraggio di rischiare di perdersi per ritrovarsi a livello più profondo, lì dove animus e anima si rispecchiano, per sentire la natura non come una proprietà da depredare ma come un sacro tempio che emette suoni, colori, profumi che si corrispondono, come è nel noto testo di Baudelaire.
Ovunque si spinga l’occhio del viaggiatore Stefano, si aprono squarci di anima desta, illuminata, sollecitata a ricreare la connessione antica. Di cui siamo dimentichi perché abbiamo preso il posto della natura e invertito l’ordine del Cosmo, vivendo in un caos interiore che si riflette all’esterno, abitati come siamo da quell’“ospite inquietante”, il nichilismo, come denunciato nel libro di Galimberti.
Nichilismo e relativismo hanno saccheggiato la Terra, creando non-luoghi dove non abita più il genius, ma la scienza predatrice.
Non per questo bisogna tornare a vivere in modo primitivo, ma occorre camminare con l’anima aperta e rispettosa dell’ambiente in cui viviamo, coniugando uomo e territorio.
In quarta di copertina si legge che «Il dio degli incroci presidia i prati di San Bartolomeo nel massiccio del Terminillo come pure la Karacorum Highway o le routes del Nord America. Il Genius loci si rivela nei villaggi d’altura della valle dell’Homboro in Pakistan come a Praga o Berlino. L’autore si imbatte nel genio dei boschi siberiani e nelle divinità delle Ande peruviane, ma anche edifici, mura, torri e fabbriche si comportano come gli ambienti naturali».
Abbiamo perso questo dio con il progresso predatorio, viviamo in una Terra desacralizzata, non ascoltiamo più la nostra anima con i suoi archetipi collettivi. Deserto emotivo e cinismo la fanno da padrone, annientando le risorse del Cosmo.
Non proiettiamo più il bello che socraticamente possediamo e dobbiamo far venire alla luce con l’ironia maieutica e taumaturgica. Non abbiamo rispetto delle qualità dell’anima. Ma mettendoci in cammino con il cuore di Jung o di Hillmann, possiamo tornare a vedere dove ora non vediamo più nulla.
Libro che fa sognare un ritorno all’antico, come auspicava Leopardi, denso di riferimenti culturali senza essere passatista Il dio degli incroci apre anima e cuore e ti spinge a piedi nudi dietro il narratore. Consigliatissimo.
Giovanna Albi
Recensione al libro Il dio degli incroci. Nessun luogo è senza dio di Stefano Cascavilla, Exorma edizioni 2021, pagg. 282, € 16,00