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Stefano Galardini anteprima. È atroce la luce

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Liguria profonda: “Brutto posto, Malamura, brutta gente, si diceva. Erano rimasti quattro gatti e ancora risolvevano le dispute a coltellate. Rea c’era cresciuta in quel paese di gente cattiva, che si diceva fosse sorto come rifugio per i criminali che scappavano da Ville o dalla Francia con una taglia sul capo, inseguiti dai debiti o dall’ombra della forca.

Un’ipotesi brutale: “«Va che i bambini sono forti. È quando diventano uomini che rammolliscono.»

Una bruttezza poetica: “Quando era uscito dall’adolescenza aveva perso tutti quei tratti che avrebbero potuto farne un bell’uomo. Era cresciuto alto ma curvo, con la mascella forte, ma rovinata dai denti storti; nonostante l’età la barba era ancora nera e folta, ma non riusciva a nascondere la pelle butterata dalle cicatrici di un’acne antica sulle guance. Incappucciato in una cerata blu scuro sembrava un vecchio pescatore consumato dalle fatiche di una vita in mare.

È in libreria È atroce la luce di Stefano Galardini (8TTO Edizioni 2024, pp. 304, € 18).

Stefano Galardini vive tra Genova e Monza, dividendo la sua casa con Niky, un gatto con un solo occhio. Nel 2017 ha pubblicato il suo romanzo d’esordio, Il tempo dentro di noi (Edizione Convalle).

Morra, un piccolo borgo dell’entroterra ligure, viene sconvolto dall’arrivo dell’autostrada, che per alcuni rappresenta una promessa di prosperità, ma per gli agricoltori locali si configura come una minaccia: le loro terre saranno confiscate. Tra questi contadini ci sono Giuà e Rea, profondamente legati al loro territorio. Rea incarna la forza e la bellezza della natura stessa, mentre per Giuà l’amore che ha riversato nei suoi campi è inseparabile da quello per sua moglie.

Con l’avvento dell’autostrada, l’intera comunità deve affrontare cambiamenti inevitabili, ma è una frana, provocata dai lavori di scavo, a distruggere il paese, portando alla luce delle ossa umane. Giuà è subito convinto che si tratti di suo fratello Delio, un contrabbandiere scomparso vent’anni prima in circostanze oscure, insieme al trittico della chiesa di Morra, il più grande tesoro del paese. Da allora, molti hanno sospettato che Delio fosse coinvolto nel furto, poiché, a differenza di Giuà, aveva abbandonato le sue radici per dedicarsi a traffici illeciti.

Con il ritrovamento delle ossa, il passato torna a galla con prepotenza, e Giuà è costretto a fare i conti con una verità inquietante, sepolta per troppo tempo.

Una storia di altri tempi e di altri luoghi, di liguri duri e sentimenti forti ed essenziali. Un libro che parla dell’amore degli uomini e della rabbia irrazionale della gente, che esplode all’improvviso e travolge tutto, del passato che torna e del presente che cambia per inseguire le lucciole del futuro.

Carlo Tortarolo

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«Questo è il lotto 366B.» Studiò il documento, alzò la testa, la riabbassò sulle linee che riproducevano l’orografia della valle sulla mappa piena di appunti e note a matita blu.

Giuà fremette a sentir chiamare il Roveto con quel nome così freddo, sulla lingua gli salì il sapore della colla da buste. Nelle lettere della banca usavano la stessa sigla.

«A noi interessa il 401D, se quello è il nord allora dovrebbe essere da quella parte.»

Giuà scrollò le spalle e puntò il dito. «Quello è il nord.» Non sapeva a cosa facesse riferimento il lotto 401D e neppure gli interessava. «Più avanti in quel boschetto ci sono i ruderi di un vecchio monastero, è abbandonato da prima che nascessi. È ancora terreno mio.» Voleva che se ne andassero, e in fretta anche.

«Passiamo dal suo orto.» Caschetto Giallo studiò ancora brevemente la mappa prima di lasciare che il bruno dai capelli strani gliela ripiegasse goffamente con una mano sola.

«Risalendo la collina dovremmo trovare la strada, e da lì riuscire a tornare alla nostra macchina.» Consultò l’orologio da polso. «Siamo in ritardo.» Si rivolse agli altri due come se fosse colpa loro.

Giuà rimase in bilico su una pietra che si muoveva sotto i suoi scarponi slabbrati e inzaccherati di terra. Si chiese cosa avrebbe fatto Delio, suo fratello, in quella situazione. Probabilmente li avrebbe presi a bastonate e sarebbe andato di notte a mettere le bombe alla base dei piloni dell’autostrada in costruzione, non aveva il senso della responsabilità lui, non ce l’aveva mai avuto. Erano vent’anni che non lo vedeva, ma ancora ne parlava al presente come l’avesse incontrato soltanto il giorno prima.

Il terzetto aveva cominciato a salire la scala che costeggiava le terrazze verso gli ulivi e la casa, Giuà era rimasto indietro, le mani infilate dentro le tasche che stringevano e allentavano la tensione delle nocche piegate a pugno.

Erano quasi arrivati in cima quando una sottile figura leonina gli sbarrò il passo.

«Via di qui.» La donna aveva la pelle del viso color del cuoio, rughe profonde ai lati della bocca stretta e intorno agli occhi scuri. Caschetto Giallo guardò in su e ciò che vide stagliarsi contro il cielo fu a tutta prima una chioma argentea di capelli ricci che sparavano senza una piega precisa in ogni direzione. Un vestito da casa nero a stampe floreali le si stringeva attorno al torso sottile e muscoloso, le gambe lunghe, i piedi neri e callosi erano nudi.

Teneva appeso all’avambraccio come una borsetta un secchio di braci ancora calde, con un attizzatoio incastrato nel mezzo. Aveva appena finito di pulire la stufa, stava andando a svuotare la brace in una buca a lato dell’orto quando il conciliabolo del terzetto con Giuà, suo marito, le aveva fatto cambiare direzione. La cenere, una volta fredda, sarebbe servita come concime per le piante.

L’uomo sorrise. «Stiamo andando via, signora. Ci scusi per il disturbo.»

Tentò di riprendere la salita, ma la mano tesa della donna, dita lunghe e nodi al posto delle nocche, lo bloccò a metà del passo.

«Dietrofront e tornate da dove siete venuti. Da casa mia non passate.» […]

«Dobbiamo solo passare…» provò ancora il perito, ma a quel punto Rea non si ripeté più. Estrasse l’attizzatoio dal secchio, la punta rossa e rovente sibilò nell’aria del mattino puntandosi verso il petto dell’uomo.

«Uno…» cominciò a contare.

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