Sono trascorsi trent’anni dall’ingresso del Web – con tutte le sue sempre più complesse derivazioni e conseguenze – nella nostra vita quotidiana. Un tempo sufficientemente lungo per avviare e consolidare mutamenti profondi a livello non solo tecnico ma, soprattutto, antropologico. FaceBook è ormai una realtà radicata nel costume e nelle pratiche quotidiane, in grado di condizionare – in un modo o nell’altro – i comportamenti e le modalità di relazione tra individui. È, dunque, giunto il momento di fare un bilancio e tracciare un’analisi di questa mutazione profonda, come ha fatto Stefano Scrima con il suo Digito dunque siamo. Piccolo manuale filosofico per difendersi dalle illusioni digitali, edito da Castelvecchi. Lo scenario ricostruito da Scrima non è rassicurante, e il monito, inequivocabile, è quello di non fidarci di questa grande costruzione virtuale che, a fronte di una totale e pervasiva connessione, ci spinge – all’opposto – verso l’indifferenza e il distacco, negando la naturale tendenza all’empatia. La “vita digitale” porta con sé, infatti, una tendenziale disumanizzazione, ovvero all’annullamento di uno degli aspetti costitutivi dell’umano, appunto. Il processo messo in evidenza da Scrima passa attraverso l’illusione che la connessione virtuale possa renderci partecipi e prossimi più di quanto fosse in passato. Invece, al contrario, i nuovi media ci isolano aiutandoci a costruire una immagine sempre più idealizzata del nostro sé, autocostruita nella costante “esposizione” al pubblico, sempre più “ruolo” e sempre meno “sostanza”. Come smarrito in un salone degli specchi, il nostro io recita una parte e raccoglie gli applausi del pubblico (o i like).
La rete è un trionfo di impulsività, narcisismo, megalomania, velleitarismo, autocelebrazione e vittimismo. Non è difficile spiegare il perché: la possibilità di avere il proprio spazio pubblico, completamente libero, fa gola a molti, sviluppando in loro una necessità sempre più impellente di mettersi a nudo. Una via di fuga dalla triste realtà che non risponde quasi mai alle aspettative, un paradiso digitale in cui poter modellare la nostra personalità secondo le forme dei nostri desideri.
L’analisi di Scrima è approfondita e non sfugge a riferimenti storici e filosofici, cogliendo con grande precisione anche i prodromi più lontani di questo fenomeno, evidenziando quindi le evoluzioni e le trasformazioni della comunicazione umana, fino ad arrivare ai nostri giorni. Ma, anche, mettendo in evidenza gli altri aspetti che riguardano da vicino la comunicazione digitale, che porta con sé un impoverimento generale, un’approssimazione espressiva e di contenuto che conduce sulla soglia dell’”uomo massa digitale”.
In questo senso, travolti dalla rivoluzione del mi piace e la selfite acuta, siamo chiamati a ricordare che esiste, deve esistere, una “fatica di essere umani”, ovvero di stabilire relazioni che siano davvero relazioni. Senza che sia necessario fare un falò dei nostri smartphone o “suicidando” il nostro account FB. Basta distaccarsene.
Paolo Melissi