I divoratori di Stefano Sgambati è un romanzo sottocutaneo, claustrofobico, ambizioso. Con una scrittura chirurgica, l’autore racconta gli istinti, le fragilità e le voglie che pulsano sotto la pelle dei protagonisti, che spingono per diventare azioni. Anche indecenti. Anche dolorose.
La storia è ambientata quasi tutta nell’arco di una cena al prestigioso Palazzo Senso – ristorante gourmet milanese – dove i clienti sono influenzati dalla presenza della star mondiale Daniel William King e della sua bellissima moglie.
Due celebrità talmente planetarie che non hanno più una privacy, ormai è come se appartenessero al mondo intero. L’attore non è solo vittima del suo pubblico ma anche complice: saluta la gente, accetta di fare i selfie, si mette in posa come se non smettesse mai di recitare. Specchiandosi nel bagno del ristorante, getta via la maschera della celebrità e si osserva semplicemente come una persona. Il lettore scopre presto che dentro di lui vivono due personalità: la star e l’uomo. E ormai la star ha preso completamente il controllo, lasciando all’uomo soltanto dei ritagli di tempo.
Rimasi chiuso lì dentro. Non dentro al bagno: dentro a Daniel King.
Da molto tempo ho cominciato a desiderare di fargliela pagare.
Il tempo del romanzo è un tempo rallentato, è una lente d’ingrandimento dove l’autore accompagna il lettore ad altri tavoli, analizzando le aspirazioni, i tormenti e le reazioni al polo magnetico delle due celebrità.
Elena e Saverio stanno trascorrendo un avventato weekend insieme dopo essersi incontrati al funerale di Irene, un’amica comune, la stessa presente negli Eroi Imperfetti (precedente romanzo dell’autore). Le sensazioni sottopelle dei due ragazzi sono legate dall’attrazione e dai sensi di colpa.
A quel punto fu Elena ad abbassare la voce e a farsi più avanti sul tavolo: «Lei era innamorata di te!».
«E dovrebbe essere colpa mia?»
Elena pensò: ogni cosa è colpa nostra, sempre.
Pensò: non esistono innocenti.
In un altro tavolo ci sono Giordano e Frida, uno stimato professore universitario e una sua lettrice di trent’anni più giovane. I pensieri dell’uomo sono è un occasionale processo di scoperta verso le proprie sensazioni, come se stesse osservando un lato nuovo di sé stesso. Un lato che aveva sempre nascosto.
Nemmeno l’aveva mai trovata bella, Frida non era bella. Più che altro si era appassionato all’effetto che lei generava su di lui.
Più Frida insisteva per sembrare adulta, meno a Giordano interessava.
Lui la pretendeva bambina.
In un altro tavolo si trova la famiglia di Carlo Di Martino, il maître di sala. Il sentimenti del ragazzo oscillano tra l’imbarazzo nei confronti della propria famiglia grottesca e l’orgoglio dei genitori verso di lui, una sensazione che non riesce a gestire con soddisfazione perché ha dovuto ricattare il grande chef Ceravolo per avere quel ruolo.
«Ecco l’unico che in famiglia ha avuto successo!» esclamò suo padre non appena lo vide arrivare.
Carlo salutò tutti con una specie di inchino.
«Guarda, Teresa» disse suo padre alla moglie. «Guarda, questo è tuo figlio!»
Da qualche parte Ceravolo lo stava osservando.
Le sensazioni sottopelle dei personaggi si alternano capitolo dopo capitolo, smascherando contraddizioni, ansie, fragilità, violenza ed egoismo. I divoratori è un libro che spinge il lettore a guardarsi intorno, a capire che negli altri si nascondono le stesse paure, frustrazioni, vizi e segreti che possono essere in noi. È un libro coraggioso perché si distacca dal panorama italiano contemporaneo che cerca di rassicurare il lettore, Stefano Sgambati non vuole rassicurare, vuole scuotere. E per riuscirci davvero, non devi essere solo ambizioso, devi anche essere in grado di farlo. E in questo libro, Stefano Sgambati ci è decisamente riuscito.