“I cadaveri giacquero tutta la notte sul pavimento della sala da pranzo, contratti, riversi, rischiarati dal giallo riverbero della lampada. E per quasi dodici ore, fino al giorno dopo verso mezzogiorno, la signora Raquin, rattrappita e muta, li contemplò ai suoi piedi, non potendo saziarsi gli occhi, tenendo su di loro sguardi di piombo.”
Èmile Zola, Thérèse Raquin, ed. BUR
Billy Summers di Stephen King è un romanzo che mi è piaciuto e tra le ultime cose lette mi ha ricordato Facile preda di John D. MacDonald (Mattioli 1885), autore ben conosciuto ed amato da King che lo considerava a ragione un maestro ed un amico, e possiede per come vedo io le cose l’intreccio di Tutti gli uomini del presidente (All the President’s Men) film cult del 1976 diretto da Alan J. Pakula ed interpretato da Dustin Hoffman e Robert Redford.
E’ certamente un thriller ma è anche un libro memoir che si muove all’interno della trama principale, puntellando la narrazione di rimandi letterari e di schegge di un racconto più intimo.
Billy Summers è una riflessione sul lavoro di scrittore e sulla scrittura, sulla percezione che gli altri hanno di noi e del rischio che si corre quando decidiamo di raccontarci attraverso le storie che rendiamo pubbliche : “Tutti gli scrittori, nel rendere pubblica la propria opera, corrono un grosso rischio… Fa parte del fascino del mestiere. Guardatemi. Vi sto mostrando ciò che sono. Mi sono tolto le vesti. Sono nudo dinanzi a voi”.
Ma è anche l’esercizio di un potere, il potere di plasmare storie, di poterlo fare concretamente ad un certo punto della vita, una cosa che King sa gestire con maestria e con cui ogni volta si mette alla prova. E’ il potere di fare delle scelte.
In questa storia il protagonista William Summers sta portando avanti non due, ma tre vite insieme. Per Nick e Giorgio che lo hanno assoldato e anche per Ken Hoff, personaggi che impareremo a conoscere con lo scorrere delle pagine, è un sicario professionista (ed abilissimo giocatore di Monopoli) di nome Billy Summers. Per gli inquilini della Gerard Tower dove lavora è un aspirante scrittore di nome David Lockridge, lo stesso vale per i residenti di Evergreen Street, a Midwood. Ma a Pearson Street, a nove isolati dalla Gerard Tower e a sei chilometri da Midwood è un mago dei computer sovrappeso di nome Dalton Smith.
E poi come se non bastasse c’è la sua quarta incarnazione, Benjy Compson, quello del libro che Billy sta scrivendo sul serio, quello che fa venire fuori le vecchie cose, quelle dolorose, quelle di cui in un certo senso deve liberarsi o dare vita. Egli è giovane e disgraziatamente ha dell’avvenire.
La lettura corre via spedita, affascina, desideriamo andare avanti, ma ci pone anche una domanda più sottile, più complicata. Ci svela lentamente un’altra narrazione. E’ un gioco letterario ed è lì sotto il nostro sguardo: chi sta conducendo il gioco? Ovvero quale filo stiamo seguendo in realtà? Su quale terreno ci sta portando l’autore? Per quale mare stiamo navigando. E’ un pò come nel libro Benito Cereno di Herman Melville, in cui Amasa Delano salito a bordo della nave, il San Dominick, per buona parte del racconto non sa, e non lo sappiamo noi lettori, della rivolta avvenuta a bordo e non sa che il capitano Cereno dirige la rotta della nave ma non la governa.
Ancora una volta Stephen King ha rubato molte ore alle mie settimane. E’ stato più articolato e meno perturbante di altre volte, ma ha costruito un personaggio con un spesso temperamento letterario, un libro pieno di viscere, elevato, solido e aperto come quei tavoli di redenzione e riflessione delle biblioteche.
Abbiamo molte possibilità per fallire, ma ne abbiamo una in cui sentiamo che le cose si allineeranno tutte, che diremo le parole giuste al momento giusto e faremo una scelta, e le persone vedranno il nostro passaggio e vedranno come mieteremo il nostro campo.
Edoardo M. Rizzoli
Billy Summers
di Stephen King
trad. Luca Briasco
ed. Sperling&Kupfer