Per Le Tre Domande del Libraio su Satisfiction questa settimana incontriamo lo scrittore Giacomo Verri, dal 20 marzo in libreria con Storie di coscienti imperfetti edito nella Collana Orso Bruno di Wojtek Edizioni.
Giacomo Verri ha esordito nel 2012 con Partigiano Inverno (finalista Premio Calvino 2011) pubblicato da Nutrimenti, a cui sono seguiti nel 2015 Racconti partigiani (Biblioteca dell’Immagine) e nel 2019 Un altro candore (Nutrimenti). Scrive per «Avvenire» e «Patria indipendente». Dal 2016 gestisce un blog personale, su cui sono intervenuto anche io con diversi contributi e dal titolo www.giacomoverri.wordpress.com.
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Giacomo, ci siamo lasciati in piena pandemia con la presentazione di Un altro candore. Ci vuoi raccontare cosa è accaduto dopo e poi spiegarci di questo luogo del Piemonte, chiamato Giave, e come sono nati i racconti di Storie di coscienti imperfetti, la loro officina di lavorazione e, infine, come sei arrivato a Wojtek Edizioni?
Caro Antonello, ricordo ancora perfettamente quel passaggio a Parma e la fotografia che scattammo davanti alla vetrina dei Diari di bordo con la copia fresca di Un altro candore. Di lì a poco iniziò il maledetto periodo covid con tutte le funeste conseguenze che si portò dietro. Un periodo durante il quale mi sono adoperato con passione per il mondo di Giave: un lavoro lento ma profondo, intermittente ma tenace. Giave (che altro non è se non il risultato della fusione delle parti iniziali del mio nome e cognome) è così diventata la cittadina ideale entro la quale far confluire l’universo della mia immaginazione. L’avventura era già iniziata con Un altro candore e qui, con Storie di coscienti imperfetti, prosegue. I luoghi e le atmosfere sono modellati su quelli della mia città natale, Borgosesia, ma il fatto che sia un luogo immaginario mi permette di fare di Giave un microcosmo dove inserire tracce provenienti anche da altre realtà, come possono essere i paesi limitrofi a Borgosesia, oppure luoghi molto lontani, come quelli che aleggiano mitici nella mente dei lettori.
La gestazione di Storie di coscienti imperfetti è stata comunque piuttosto lunga: alcuni racconti hanno riposato per anni tra i file del mio computer, altri invece hanno visto la luce molto più di recente, nell’estate del 2023. Tutti, o quasi, sono però legati da una serie di fili che attraversa in modo trasversale il libro intero, così che la raccolta possa, per certi aspetti, essere letta come un “romanzo per racconti”. Diciamo che ci sono una cornice – che è la città di Giave – e un’atmosfera omogenea.
Che dire di Wojtek? È una squadra straordinaria. Ci sono arrivato grazie al mio agente, Marco Nardini di Otago Literary Agency, che ha fatto uno splendido lavoro. E in casa Wojtek c’è una professionalità che può e deve fare invidia alla grande editoria: Eduardo Savarese è un editor certosino, acuto e generoso; Alessia Cuofano è l’ufficio stampa: tenace e combattiva; poi ci sono Ciro Marino che è un vulcano di idee e Bobo Corduas che ha preparato, per il libro, una magnifica copertina. A tutti loro va il mio più caloroso ringraziamento.
Il libro si compone di tre sezioni: “Eroi e no”, “Polittico degli anni Settanta ” e “Iniziare, finire, ricominciare “. Ti va di raccontare nel dettaglio, per i nostri lettori forti di Satisfiction, i personaggi e le storie che animano questi dieci racconti.
Alcuni racconti (ad esempio Difficile come guardare dentro i sassi) sono nati durante la fase iniziale dell’epidemia: per questo la protagonista, Adelina Gioniso, è una vecchia burbera alle prese con il covid tra le mura della casa di riposo di Giave. Sta lì, tra ipocrisie e pannoloni, a fare i conti con una vita intera fatta di scelte orgogliose e di grandi malinconie. È un racconto che adoro. Come penso siano in generale ben riusciti (ma forse è meglio se il giudizio lo daranno i lettori) i testi della sezione centrale, Polittico degli anni Settanta, nei quali, tra l’altro, riprendo in mano le vicende di alcuni personaggi che già erano in Un altro candore. È lì, ad esempio, che ritroviamo l’ex partigiano Claudio Benetti: di lui sappiamo dal precedente romanzo che visse durante i gloriosi mesi della Resistenza una storia d’amore con Franco. Tuttavia l’Italia che nacque alla fine del conflitto non fu esattamente il Paese che gente come lui aveva sognato; insomma, certe libertà – come quella per un uomo di amare un altro uomo – erano rimaste fuori dalla porta. Qui lo troviamo nei mesi in cui finisce in prigione per aver difeso l’onore di una ragazzina.
Di questa sezione centrale indicherei ai lettori pure Lavori domestici, il cui protagonista è Sebastiano Tindarli (anch’egli una vecchia guardia di Un altro candore); qui, tra detersivi, robot da cucina, una vecchia malefica e una canna fumata in una mattina di primavera, lo descrivo alle prese con lo stirare e il pulire i cessi a casa di Nella, la moglie di un dottore che gli aveva erroneamente diagnosticato un cancro. Ne nascerà un’amicizia davvero tanto profonda quanto sopra le righe.
I protagonisti dei racconti inseriti nella sezione proemiale, Eroi e no, sono invece persone che, in base alla propria coscienza imperfetta, e pur conoscendo la distinzione tra bene e male, non sempre sono in grado di optare per la versione più opportuna della loro esistenza, per quella più giusta, o, ancora, per quella che meglio si adatta ai modelli sociali prestabiliti. Vedi ad esempio la storia di Leonessa: una coppia che si risolve ad adottare appunto un animale di quel tipo e a soffrire, con coraggio, il peso di tale scelta. Per me chi è in grado di tener saldo il timone delle proprie decisioni, con grande senso di responsabilità, è un eroe del quotidiano.
Iniziare, finire, ricominciare raccoglie infine testi in cui i personaggi stanno soli di fronte al vaglio di una vita intera, di fronte alla coscienza degli errori commessi, trovando la forza di ricominciare, o di finire con dignità. Adoro, in questa ultima parte, il personaggio di Miranda Pavi, una delle due protagoniste di Donne alla pari: segretaria al liceo di Giave tra gli anni Cinquanta e i Settanta. Sposata con Enrico Morna, pasticciere. Poetessa per passione. Amica – così lei ama definirsi – di Anita Cervi. Le sta molto vicino quando il marito Walter si ammala. Sono pagine di profondo affetto e malinconia in cui, spero, ogni lettore possa immedesimarsi.
Ciò che insomma vorrei ottenere da Storie di coscienti imperfetti è la possibilità per il lettore di sentirsi meno solo, condividendo con i personaggi i guasti e le mancanze del loro essere umani.
Il libro si apre con una insolita “Avvertenza per il lettore” e sin dal primo racconto si è, poi, colpiti da questa scrittura asciutta, rigorosa, chirurgica come un bisturi e perfettamente riconoscibile. Mi piacerebbe capire come hai lavorato sulla scrittura di questi testi e poi, da attento lettore quale sei, mi piacerebbe, anche con te, capire perché in Italia c’è questo pregiudizio molto marcato verso la forma breve della narrazione?
Antonello, ti ringrazio per questo lusinghiero giudizio. La scrittura è davvero stata certosina, attentissima ai particolari, alla costruzione del mondo narrativo, al ritmo dei dialoghi. Fondamentale è stata la rilettura (le infinite riletture) ad alta voce, quasi mai nella mente. Avevo bisogno di sentire le scene come se venissero recitate da degli attori in carne e ossa. Ho anche lavorato molto sull’aggettivazione, specialmente per sottrazione: meno aggettivi ma più precisi. I miei punti di riferimento per stile e atmosfere sono stati i racconti di Carver, Strout, Gurganus, solo per dire i maggiori.
Fermo restando che, finalmente, oggi alcune realtà editoriali stanno puntando molto sul racconto, è indiscutibile il fatto che per troppo tempo su questo genere letterario è gravato il peso di un giudizio non dico negativo ma sminuente. Le ragioni sono tante e, a volte, irrazionali (o incomprensibili); tra esse, indicherei (ma non è la sola) l’assenza (o quantomeno la penuria) in Italia di una solida tradizione di importanti e prestigiosi spazi culturali dedicati a questo genere narrativo: pochi sono i premi (forse il più prestigioso è il Premio Chiara che, purtroppo, non ha neppure lontanamente la stessa risonanza di uno Strega) e pochissime le riviste finalizzate al racconto; né ad esso – aggiungiamo – vengono riservati spazi decisivi sui quotidiani. Insomma, manca, da noi, l’educazione del pubblico alla narrativa breve (salvo, poi, spacciare per romanzi dei racconti lunghi). Un guasto al quale occorre cercare un rimedio.
Buona Lettura del libro di racconti “Storie di coscienti imperfetti” di Giacomo Verri.